ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 11 luglio 2021

Una sorta di riserva indiana

Il tifo per gli Azzurri, l'unico nazionalismo accettato

I festeggiamenti per le vittorie della nazionale italiana, fino al tifo per la finale, sono le uniche forma socialmente accettate di nazionalismo, sovranismo, orgoglio nazionale. Ci fanno dimenticare le brutture del Covid e delle misure dolorose del governo. Perché la nazione non è lo Stato (che, anzi, tende a soffocarla).

                         

                             L'Italia festeggia la vittoria sulla Spagna

Inghilterra – Italia. Niente pronostici per questa sera. Meglio non «gufare» e poi è più semplice, in questo caso, guardare al passato che al futuro. E dunque domandiamoci: cosa è stata questa nazionale in questo Europeo per i nostri concittadini, almeno per quelli in cui batte un cuore azzurro?

Di certo una boccata di ossigeno, una di quelle senza mascherina, per intenderci. Sarà un luogo comune, anzi affollato quello di dire che la nazionale ha restituito un po’ di serenità al popolo italico dopo un anno e passa di pandemia, ma nel fondo di ogni luogo comune spesso c’è un pizzico di verità. Vederli giocare in modo convincente e poi vincere ha compensato un poco le scelte vessatorie di chi fa il Commissario tecnico dell’Italia, ma che non siede in panchina, bensì al governo e in parlamento. Ad un gol di Chiesa il ricordo dei plurimi lockdown si faceva un poco più appannato, ad uno di Locatelli l’autocertificazione pareva solo un brutto sogno, ad uno di Immobile il coprifuoco sembrava un termine che si potesse applicare solo ai tempi di guerra. L’Italia divisa in zone rosse, arancioni, gialle e bianche, grazie a Mancini è diventata tutta azzurra.

Sarà solo retorica questa – qualcuno penserà - ma è quella buona che nasce dai sentimenti, costumi e tradizioni condivise. Ossia nasce dal sentimento patrio che è vero che riemerge solo quando undici giocatori in maglia azzurra scendono in campo, ma almeno riemerge e questo è più importante di quello che sembri. Infatti l’euforia collettiva e clacsonara che inebria molti è prova provata che esiste la Patria, realtà di diritto naturale incisa a lettere di fuoco nell’anima di tutti e quindi nell’anima di un intero popolo. La differenza tra il tifo per un club di calcio e il tifo per una nazionale sta proprio qui: nel primo caso esprime una fede calcistica per una squadra che può anche rappresentare sul campo l’identità di una città, ma non sempre accade. Oppure, insieme a questa prima eventualità, esprime l’appartenenza ad una storia di un team che ha un suo profilo, un suo carattere con cui ci sentiamo legati. La nazionale invece rappresenta, banale a dirsi, un’intera nazione che è concetto ben diverso da quello di Stato. Con il primo termine si intende l’insieme di tradizioni, costumi, norme non scritte, sensibilità, etc. che innervano un intero popolo, che gli dà forma. Il secondo indica quell’ente che racchiude in sé una serie di apparati per la gestione del res publica su un dato territorio. La nazione è l’anima di un popolo, lo Stato spesso soffoca quest’anima. Di più: nessuno andrebbe a fare caroselli per lo Stato italiano perché, almeno il nostro, è una istituzione senz’anima.

Dunque la Patria e la Nazione esistono e il nostro entusiasmo per ogni pallone buttato in rete dai scarpini azzurri lo testimonia. Allora la nazionale, per paradosso, è diventato l’ultimo baluardo di un sovranismo e di un nazionalismo ancora accettati. Una sorta di riserva indiana in cui ancora è permesso esibire l’orgoglio italico, esultare perché si è migliori di altri almeno a calcio (la più grande bestemmia esistente contro la divinità del politicamente corretto è affermare che qualcuno o qualcosa è migliore di qualcun altro o di qualcos’altro), indulgere in sfottò ai danni di cittadini extraitalici. Un’enclave dove essere fieri di essere italiani, dove si custodisce, seppur sotto le semplici sembianze sportive, la nostra identità, ma non quella artefatta e adulterata fatta inclusività arcobaleno, Ddl Zan, reality Tv, desertificazione nelle chiese e nelle culle, vite da influencer e marce contro il surriscaldamento globale, ma quella autentica e solo apparentemente retorica cesellata lungo i secoli dai nostri poeti, dai nostri pittori, dai nostri musicisti e dai nostri santi. E cosi quando – forse, si spera, chissà, non è detto – esulteremo questa sera dal divano di casa insieme ad amici o parenti, noi in modo indiretto e del tutto inconsapevole daremo gloria a Dante, a Michelangelo e a San Francesco.

Un’ultima nota, la più importante. Mancio, questa sera, fai giocare dal primo minuto Chiesa e non Berardi.

Tommaso Scandroglio

https://lanuovabq.it/it/il-tifo-per-gli-azzurri-lunico-nazionalismo-accettato

In nome del popolo italiano

La nazionale italiana di calcio approda alla finale del campionato europeo: cui prodest? 


Abbiamo mostrato la resilienza che ci contraddistingue come italiani (Leonardo Bonucci).

Quando esci per strada, l’assembramento c’è sempre…allora, anzichè fare queste manfrine, la tengo in tasca, la metto…mettetevi la mascherina! Perché la contagiosità della variante delta si sviluppa in dieci secondi: questi sono i dati che abbiamo (Vincenzo De Luca).

In una piazza gremita di persone, in cui non tutti hanno fatto il vaccino o il tampone, si può generare un focolaio ed è quello che accadrà, perché la variante delta è più contagiosa (Pierpaolo Sileri).

Il virus ama i momenti di felicità. I contagi aumenteranno fra i giovani (Agostino Miozzo).

Con il vaccino, vinciamo insieme (Roberto Mancini).

 

Notti magiche

Le notti degli europei sono state proprio magiche. Hanno regalato alle vite ingrigite degli italiani quel tocco di magia che solo la schizofrenia dissociativa sa dare. Alle 20 in punto è il TG1 a dare il via alla memorabile nottata europea. Per molti, è come un parente; è, anzi, il parente più autorevole. A ridosso della partita, mentre ancora sfrigola la frittatona di cipolle di fantozziana memoria, il TG1 somministra ai teleitaliani le canoniche pillole di teleterrore: sono morti tre novantenni ad Asti, preoccupa la variante Delta, in disco solo col green pass, l’esercito porta il vaccino ai terremotati, i vaccini sono sicuri, ne usciremo solo col vaccino. Poi, dopo la consueta gragnuola di spot transumanisti, inizia l’incontro. Quando le telecamere indugiano sui volti cantanti dei nostri gladiatori durante l’inno nazionale, vacue bandierine si agitano nelle coscienze e il sacro virus viene, per un attimo, avvolto dall’oblio. Lo zelante telecronista riporta alla ragione il sognante telespettatore parlandogli di terzini che hanno avuto il Covid, di portieri in quarantena, di mediani tamponati a tappeto…La verità è che i  nostri campioni se ne sbattono ormai apertamente delle  “norme per prevenire il contagio”, e dopo essersele date in campo, si scambiano abbracci e magliette con gli avversari; gli unici sfigati rimasti con la mascherina sono medici e massaggiatori: che s’ha da fa’ pe’ campa’. Nelle fasi di stanca del match, è il pubblico a diventare protagonista: le telecamere regalano cinque secondi di celebrità a qualche spettatore (“mio cugino è stato inquadrato durante il secondo tempo supplementare di Italia-Austria” scriverà qualcuno nella sua biografia) e ne mettono in risalto il mascherinamento. Questo perché la quasi totalità degli spettatori è priva, in qualunque paese si giochi, dello straccio salvifico, e ciononostante non s’ammala né perisce. Così, mentre al campetto sotto casa nessuno s’azzarda a far due tiri per non violare il “divieto di sport di contatto”, all’Olimpico ci si ansima e sbuffa in faccia come ai bei tempi; mentre i lager estivi per bambini propongono giochi a distanza e asfissia garantita, sugli spalti e nelle piazze si tengono degli assembramenti “buoni”.

Le partite sono solo una scusa. Il vero fine di questo baraccone è diffondere capillarmente la propaganda della nuova normalità sanitaria. Durante un tg particolarmente ispirato, una garrula inviatuccia, probabile nipote di qualche  boiardo trapassato e/o amante di qualche puttaniere di Stato, belava alle pecore a casa la sua eccitazione mentre gli spettatori entravano allo stadio “esibendo il Green Pass”. Fra il primo e il secondo tempo, dopo una magia di Insigne e un paratone di Donnarumma, ecco il capolavoro: il doppio spot della RAI “Riprendiamoci il gusto del futuro” in cui telefigurine, campionesse dello sport e “persone comuni” invitano a farsi il vaccino “senza cincischiare”. Per chi se lo fosse perso, qui sotto il più riuscito dei due spot orwellian-goebbelsiani. Da notare l’appropriazione (più o meno indebita) del già ambiguo simbolo della V (la Vendetta decantata da un celebre film), che diventa, a detta loro, “la V di Vita, la V di Vittoria, la V di Vaccino”.

 

In ginocchio da te

Il covidismo è solo una delle dimensioni attraverso le quali si sviluppa il disegno del Nuovo Ordine postumanista, quello al cui servizio lavorano pure calciatori, allenatori, arbitri e cronisti. Un altro fronte di lotta, che ha perso un po’ di smalto dopo un periodo di sovraesposizione, è quello rappresentato dalla causa Black Lives Matter. In tal senso, alcune nazionali partecipanti agli europei si sono rese protagoniste di un rituale inginocchiamento prima del calcio d’inizio. L’Inghilterra ed il Belgio hanno capeggiato le schiere dei paesi “woke”, con Il centravanti belga di origine congolese Romelu Lukaku ad assumersi la leadership “spirituale” del movimento associando alla genuflessione pure un bel pugno chiuso. Altri paesi dalla consolidata fama plurietnica e antirazzista si sono rivelati assai più freddi: è il caso della Francia, i cui giocatori hanno scelto di non inginocchiarsi nella partita d’esordio contro la Germania. L’Italia, dal canto suo, ha manifestato il suo atavico cerchiobottismo. Dopo che nella partita con il Galles, forse colti alla sprovvista, si erano inginocchiati, a fronte della totalità dei gallesi, solo cinque italiani (di cui due, peraltro, di origine brasiliana) ed erano divampate le proverbiali “polemiche social” contro i calciatori ignoranti e razzisti e lo stesso Enrico Letta si era speso per l’inginocchiamento di massa, lo spogliatoio azzurro s’era riunito in assemblea ed aveva deliberato per il “ni” (oppure, se preferite, per il “forse” o per il “dipende”) rispetto alla cruciale questione. All’atto pratico, contro gli austriaci son rimasti tutti in piedi, contro i belgi si son tutti genuflessi. Questa la dichiarazione rilasciata in proposito dal capitano Giorgio Chiellini: “Se e quando ricapiterà una richiesta di altre squadre ci inginocchieremo per sentimento di solidarietà e di sensibilità verso le altre nazionali e cercheremo di combattere il nazismo in altro modo“. Insomma, si fa come fanno gli altri e si cerca di combattere il nazismo: italiani brava gente. Le nazionali dell’Europa Orientale son rimaste invece tutte in piedi. Presentate come espressione di biechi regimi larvatamente razzisti, è stato più volte sottolineato il fatto che non schierassero (Ungheria a parte) alcun giocatore di colore. La civiltà da una parte, con il suo policromatismo postcoloniale; la barbarie dall’altro con la sua uniformità etnico-cromatica; in mezzo al guado, l’Italia dei terroncelli, senza manco un Balotelli, che proprio non vuole diventare grande.

Prima della partita Germania-Ungheria del 23 giugno, un’altra nobile causa si è affacciata sul palcoscenico degli europei di calcio. A Monaco di Baviera, sede dell’incontro, il comune aveva deliberato di tingere (virtualmente) lo stadio dei colori dell’arcobaleno in segno di solidarietà verso la comunità LGBTQ ungherese vessata dalle leggi “omotransfobiche” di Orban. L’UEFA, organizzatrice del torneo, ha vietato l’iniziativa e l’amministrazione comunale ha deciso di arcobalenare tutta la città, supportata dal solito coro della stampa e della televisione. Per la cronaca, i rozzi magiari, ospiti sgraditi alla festa del Pensiero Unico e chiaramente sfavoriti sul piano tecnico, hanno messo sotto i tedeschi fino all’ottantaquattresimo minuto. A quel punto il centrocampista Leon Goretzka ha trovato il gol del 2-2 ed ha festeggiato giungendo le mani a forma di cuore per omaggiare l’Amore Universale LGBTQ, mentre nell’arena bavarese sventolavano migliaia di bandiere arcobaleno (distribuite dalla pervicace amministrazione comunale). Questo per dire che l’Amore, alla fine, vince Sempre (o almeno pareggia).

W l’Italia (l’Italia che resilie)

Dopo la vittoriosa semifinale contro la Spagna, la retorica militaresco-tardorisorgimentale che accompagna tali accadimenti ha raggiunto i suoi  vertici. Gli Azzurri hanno infatti vinto “soffendo”, esibendo il classico catenaccio col contropiede in canna, dopo aver mostrato nelle precedenti partite un calcio offensivo e arrembante, sostanzialmente estraneo alla tradizione pedatoria nazionale. I professionisti dell’informazione hanno subito colto al balzo la palla lanciatagli dal buon Bonucci (quello che “abbiamo mostrato la resilienza che ci contraddistingue come italiani“) e hanno preso a celebrare “l’Italia resiliente di Draghi”, quella che non si arrende alle avversità e via ricamando. Sulle piazze piene di giovinastri alticci, invece, si è preferito glissare: pure quelli, tutto sommato, sono assembramenti “buoni”, o quantomeno innocui. Si tratta del medesimo copione andato in scena per altre piazzate calcistiche: la celebrazione dello scudetto dell’Inter, le feste per la promozione in Serie A di Salernitana e Venezia, l’oceanica commemorazione di Maradona che si tenne a Napoli. Trattandosi di “assembramenti” privi di qualsivoglia spessore politico, il Sistema chiude volentieri qualcuno dei suoi mille occhi mediatici o polizieschi.  Avendo covato nel loro seno una minoranza di covidisti ortodossi, però, dopo l’inevitabile “bufera social” lorsignori hanno dovuto dare qualche spiegazione a quanti abbaiavano alla luna sulla mancanza di mascherine e distanziamenti. Ed ecco dunque un Sileri che parla di ripristino dell’obbligo mascherinale, un Sala che annuncia controlli vigileschi, un Galli che minaccia ancora confinamenti, un Bassetti che rivela un’amara verità: la vera finale non sarà contro l’Inghilterra, ma contro la “variante delta”. La tensione, tuttavia, va scemando, il “nervosismo” per le varianti si avverte solo in televisione, la campagna vaccinale langue. In attesa di trovate migliori, esce dal cilindro un bell’allarme covid a Coverciano, con positività di tre giornalisti RAI, fra i quali Alberto Rimedio, il telecronista della nazionale.

In un altro articolo, ponevo un interrogativo socio-calcistico: gli italiani avrebbero mangiato la foglia dopo le feste di piazza per la nazionale di calcio? L’avrebbero visto, il re nudo?

Una possibile risposta è nel finale de In nome del popolo italiano, film del ’71 di Dino Risi, con Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman nei panni rispettivamente di un giudice integerrimo e di un cinico arrivista incriminato per la morte di una ragazza. Dopo alterne vicende, il giudice giunge in possesso di un documento che lo conduce alla Verità sul caso di cui si stava occupando. Combattuto sul da farsi, si trova a maturare le proprie riflessioni mentre prendono piede i barbari festeggiamenti (viene pure data alle fiamme un’auto con targa britannica) per una vittoria della nazionale che, nella finzione filmica, avviene proprio contro l’Inghilterra.”Amo vinto! Amo battuto l’Inghiltera!” urla un energumeno a torso nudo prima di lanciarsi dal balcone e rotolarsi sull’asfalto abbracciando un altro coattone.

L’informazione indipendente è stata caustica sugli assembramenti calcistici. Un popolo che si mobilita per il calcio con una tale veemenza mentre gli vengono sottratti, senza colpo ferire, i più elementari diritti è un popolo che merita di essere inghiottito dai buchi neri della storia. Inoltre, il regime ha già messo le mani avanti: questa sarà la sua vittoria e già si sprecano i parallelismi fra l’11 luglio di quarant’anni fa con Pertini al Bernabeu e l’11 luglio di quest’anno con Mattarella a Wembley. Eppure, davanti ad una catartica, ignorante, strafottente, italianissima festa di popolo, il giocattolo potrebbe sfuggirgli dalle mani. Ci si aggrappa a tutto, in nome del popolo italiano.

https://comedonchisciotte.org/in-nome-del-popolo-italiano/

Italia-Inghilterra: il lato A e il lato B del complotto

Premessa: siamo italiani, siamo calciofili, siamo adulti e vaccinati (si fa per dire, ovviamente) e dunque non vediamo l’ora che gli azzurri sollevino la coppa sul prato di Wembley dando scacco alla Regina. È un atteggiamento qualunquista e populista? Può darsi, ma chissenefrega. In un mondo dove “mai ‘na gioia”, gioire per una grande vittoria sul campo è un cucchiaino di zucchero buono in una tazza di nero caffè. E lo pigliamo volentieri, alla faccia di quelli che lo sport è solo uno strumento del potere e poi ti citano l’immancabile “panem et circenses” e ti dicono che loro domenica sera guarderanno un film di Totò. E però.

E però vogliamo metterci anche nei panni di costoro i quali non hanno mica poche ragioni da spendere. Ne hanno tantissime. Il calcio –  e tutto lo sport ai massimi livelli – è davvero un mezzo supremo di manipolazione di massa. Da ben prima delle Olimpiadi del 1936 e del documentario “Olympia” di Leni Riefenstahl. Dunque, guardandola anche in questa prospettiva, in chiave complottista, la finale di  domenica sera si presta a due letture maliziose mica da ridere: la prima tradizionale, diciamo pure un po’ “vecchiotta”, la seconda molto più aggiornata, diciamo pure più plausibile. Il lato A e il lato B del complotto, insomma.

Lato A: il risultato di Italia-Inghilterra è già scritto: vinceranno i ragazzi di Southgate; giochiamo fuori casa nella tana degli inglesi, davanti a sessantamila spettatori tutti di bianco vestiti; i Leoni sono arrivati in fondo favoriti da un rigore ridicolo a testimonianza del favore arbitrale di cui (già) godono; Ceferin, presidente della Uefa, adora il premier inglese perché si è opposto per primo al progetto Superlega e odia l’Italia perché italiana, e bianconera, è la squadra più invischiata in quello stesso progetto secessionista. Dunque, è inutile affannarsi in attesa della “notte magica”, perché Dio –  domani, e come sempre –  salverà la regina. E qualcuno, dietro le quinte, gli darà pure una mano.

Lato B: il risultato di Italia-Inghilterra è già scritto: vinceranno i ragazzi di Mancini. Per uno strano scherzo del destino, non c’è mai stata una finale più politica di questa, in tutta la storia degli europei,  e forse dei mondiali. Per la precisione, un vero e proprio duello all’Ok Corral tra unionisti e sovranisti. Chi è infatti il simbolo per eccellenza, sopra ogni altro, della UE, per aver gestito le aurifere (monetarie) fonti dell’Europa unita, per averla salvata dall’orlo dell’abisso, per aver promesso che avrebbe fatto “whatever it takes”, per aver compiuto il miracolo di convertire il paese più riottoso e populista del vecchio continente sulla retta via comunitaria? Draghi. E Draghi è il premier italiano.

E chi è il simbolo per eccellenza, sopra ogni altro, del cosiddetto exit, l’unico ad avercela fatta, il solo ad aver dimostrato che un altro mondo è possibile, oltre al pantano di regolamenti, commissioni, consigli e burocrazie in cui lentamente affogano le democrazie d’Europa? Boris Johnson. E Johnson è il premier britannico. Pensate cosa significherebbe sul piano simbolico un trionfo dell’Italia di Draghi sull’Inghilterra di Johnson. La Ue, in questa prospettiva, “conquisterebbe” sportivamente l’Inghilterra, espugnando il “tempio” della perfida Albione. Dove non riuscirono gli aerei della Luftwaffe,  arriverà il “tiraggiro” di Insigne. E qualcuno, dietro le quinte, gli darà pure una mano.

Aggiungeteci il coming out della Ursula che tiferà per noi. Se fossimo inglesi, non dormiremmo sonni tranquilli. Ma siamo italiani e, se va dritta, esulteremo lo stesso, nonostante la Von der Leyen e nonostante la chiave politica indigesta di una nostra vittoria: un cucchiaino di ignobile aceto in una tazza di dolce frappè.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com https://scenarieconomici.it/italia-inghilterra-il-lato-a-e-il-lato-b-del-complotto/

Patrioti di giornata

L’Italia è risorta. Alla stadio, in tv, nelle piazze, nei bar e nelle case. È risorta a cottimo, in questo luglio a volto scoperto, dopo due sfide, col Belgio e la Spagna e stasera si annuncia la gloriosa epifania a Londra, nella finale con l’Inghilterra, la perfida Albione diventata perfida Brexit, che ha lasciato l’Europa ma non molla il campionato europeo. A celebrare l’evento nella cattedrale dello Wembley ci andrà il nostro papa in borghese, sua eminenza Mattarella I, detto Serginho. Eravamo l’ultima repubblica in semifinale, in mezzo a tre monarchie. Poi, espugnati i regni di Spagna e di Danimarca, siamo rimasti noi contro la Corona Inglese, l’Impero di Sua Maestà, la Sterlina, il ciuffo biondo e la variante inglese.

È curioso questo patriottismo d’occasione e di giornata rispuntato dal nulla e dalla pandemia, quest’italianità giocosa, non dantesca, non sabauda, non garibaldina, ma calcistica, televisiva, chiellina e mancina; questo amor patrio all’ultimo stadio. Quintali di mattarellate patriottarde, sciami di bellaciao e retoriche della Resistenza ci sono scivolati addosso come noiosi ossequi al patriotticamente corretto. Poi arriva l’inno di Mameli cantato a squarciagola dalla Nazionale e l’Italia s’è desta davvero, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Un paese di figli unici riscopre i Fratelli d’Italia. Brividi di irredentismo, orgoglio italiano, facce tricolori come testimonial di una passione Nazionale che ci mette la faccia. E vai con l’Italia. Sarà vera gloria? Ai posteri cioè a stasera l’ardua sentenza.

Resta comunque un mistero quella molla arcana e arcaica che resiste alle massicce dosi di globalizzazione inoculate mille volte al dì; quella passione che ci muove dentro e si esprime all’esterno, che ci fa sentire noi rispetto a loro. Un patriottismo inestirpabile, irriducibile, che ha bisogno poi di farsi abbraccio, corteo e coralità, non può esaurirsi con la Dad, da remoto. Il calcio riscopre la nostra pulsione originaria.

Ma il calcio è pure la nostra infanzia collettiva, il nostro tornar bambini, in comunità come all’asilo. Ci piacciono le guerre incruente, le guerre per finta e per procura, con delega ai nostri atleti a difendere la bandiera, la dignità e il primato della nostra Nazione. Un popolo di individualisti con tendenza all’autodenigrazione e al vituperio nazionale, una massa di single irriducibili a far squadra e sistema, po’ global un po’ chissenefrega, si lascia infiammare dalla passione per la patria quando si entra in campo. Ma il calcio è sempre stato misteriosamente un portatore insano di consenso patrio. Cominciò la Nazionale di Vittorio Pozzo, quando vinse i due mondiali, il ’34 e il ’38 del secolo scorso: e quel mitico allenatore per eccitare i calciatori faceva cantare gli inni patriottici, incluso Giovinezza, negli spogliatoi. Si dopavano così, era la loro anfetamina. Ma se è per questo l’amor patrio fu celebrato anche in altri sport, pensate alle Olimpiadi. O pensate a Primo Carnera, il gigante venuto dal povero Friuli, che riscattò in America l’onore dei nostri emigrati e il nostro orgoglio patrio, battendo fior di pugili, bianchi e neri. In tempi a noi più vicini, fu memorabile quella volta, alle Olimpiadi, che Nino Benvenuti, il pugile venuto dalle terre irredente, fece svettare il tricolore più in alto delle bandiere americane e sovietiche, che erano i padroni del mondo. Poi resta fin troppo mitica la notte patriottica in Messico, nell’estate del ’70, quell’Italia-Germania 4-3. Ricordo quella notte in cui fu permesso a noi ragazzini di guardare la tv, come un evento magico, non meno prodigioso di quello dell’estate precedente, quando l’uomo andò sulla luna. L’Italia vinse e fa niente che poi perse la finale col Brasile di Pelè. Ma non c’è partita quando gli uomini sfidano gli dei.

La vera riscoperta dell’amor patrio tramite il calcio, avvenne nel Mundial dell’82, quando l’Italia vinse in Spagna il suo titolo mondiale. Venivamo da decenni in cui il tricolore lo vedevi solo nelle piazze di Almirante, agitato dai missini; e sembrava quasi un simbolo proibito, fascista, minoritario, contro l’Italia maggiore e ufficiale. Col mundial dell’82, il Tricolore tornò nelle piazze e rappresentò una nazione e non più una fazione, si fece unanime. Venne l’Italia di Spadolini, Pertini e Craxi con cui raggiunse il suo apice a Sigonella, quando l’amor patrio per una volta uscì dalla ricreazione e dal puro gioco per farsi storia e dignità nazionale. Forse ci costò caro quell’atto d’insubordinazione agli Usa… Dopo il mundial, Giano Accame scrisse un saggio dedicato al Socialismo Tricolore che cominciava proprio dal calcio: In principio fu il Pallone; in effetti quello fu l’incipit.

Ma la passione tricolore durò forse un decennio, poi fu svenduta e travolta a colpi di privatizzazioni e di commissariamenti tecnici e giudiziari. Risorse poi nella politica con formazioni che si chiamavano Alleanza Nazionale e Forza Italia, una gran furbata di Berlusconi che riprendeva il grido calcistico e riportava in politica gli azzurri. Poi l’Italia si eclissò nelle braccia dell’Europa e sotto i piedi degli eurocrati, dei debiti e dell’euro. Ora te la rivedi uscire, a sorpresa, dal calcio, mentre l’Italia premia la Meloni come Miss Italia, almeno nei sondaggi, la più amata dagli italiani.

Che ne sarà di questa ventata tricolore dopo quel che succederà stasera? Se perdiamo riprenderemo a dividerci tra vittimismo e autodenigrazione e a imprecare. Se vinciamo, ci sentiremo eroi, patrioti e risorgimentali, almeno per 6-8 ore, come l’effetto della rinazina. Poi dell’Italia cosa resterà? Forse la scia bianco, rosso e verde che lasciano nel cielo le frecce tricolori. Perché il nostro patriottismo è così breve e giocoso, aereo e vaporoso, come si addice a un popolo di sfiduciati cronici che ogni tanto torna bambino e riscopre festoso le sue origini.

MV, La Verità (10 luglio 2021)

http://www.marcelloveneziani.com/articoli/patrioti-di-giornata/

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