IL CASO
Mario e Speranza, il ministro che aiuta a morire
Speranza ha risposto in meno di 24 ore alla lettera aperta del tetraplegico “Mario”, che invoca il suicidio assistito. Una solerzia che il ministro della Salute non ha avuto con i medici proponenti le cure domiciliari anti-Covid. La “libertà” che Speranza difende è solo quella in linea con l’autoritarismo governativo, come mostrano tutte le restrizioni (infondate) verso i non vaccinati.
Ci eravamo già occupati del caso qualche mese fa. Dieci anni or sono Mario, nome di fantasia, ha un incidente stradale e finisce tetraplegico in un letto. Allora Mario, che oggi ha 43 anni, chiede all’Area Vasta dell'Asur (Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche) di verificare la sussistenza delle condizioni per accedere al suicidio assistito indicate dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale (clicca qui per un approfondimento). Questa sentenza permette in buona sostanza di accedere al suicidio assistito fintantoché non ci sarà una legge ad hoc del Parlamento, legge che, tra l’altro, è già al vaglio della Camera (ne abbiamo parlato qui).
Quali sono le condizioni per chiedere legittimamente di morire tramite la pratica del suicidio assistito? Citiamo la sentenza della Consulta: la Corte “esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 [articoli che riguardano il consenso informato e le terapie del dolore, nda], agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
L’Asur però nega il consenso. Allora Mario, appoggiato dall’immancabile associazione Luca Coscioni che vuole sfruttare il caso per avere una legge sul suicidio assistito il prima possibile, propone un ricorso di urgenza affinché l’Asl verifichi le condizioni previste dalla Consulta. Il ricorso viene respinto: il tribunale argomenta che dopo la sentenza della Consulta è vero che il personale sanitario non è più punibile se aiuta a morire qualcuno, ma questo non vuol dire che lo stesso personale sanitario abbia il dovere di far morire qualcuno se questo qualcuno lo richiede. Dunque, a rovescio, non esiste il diritto al suicidio assistito. Purtroppo il parere della Consulta era diametralmente differente: “La punizione delle condotte di aiuto al suicidio che non abbiano inciso sul percorso deliberativo della vittima risulterebbe ingiustificata e lesiva degli artt. 2, 13, primo comma, e 117 Cost. In tale ipotesi, infatti, la condotta dell’agevolatore rappresenterebbe lo strumento per la realizzazione di quanto deciso da un soggetto che esercita una libertà costituzionale” (e più sopra i giudici identificano tale libertà come diritto a chiedere la morte). I Radicali però non mollano: tramite un’udienza di reclamo del maggio scorso hanno la meglio. Il giudice ordina quanto segue: l’Asur dovrà verificare i requisiti per mezzo del parere di un Comitato etico.
Passano le settimane e nulla succede e quindi Mario, l’11 agosto scorso, scrive una lettera aperta, pubblicata su La Stampa, all’Asur, alle istituzioni e al ministro Roberto Speranza. Le quattro condizioni per accedere al suicidio assistito sono presenti nel caso di Mario. Tra le quattro mettiamo in evidenza i “sostentamenti vitali”, espressione di così ampia portata che è comprensiva di moltissimi interventi sanitari (dunque, sostentamenti vitali non sono solo ventilazione, idratazione e nutrizione assistita). A dircelo è lo stesso Mario nella sua lettera: “Sono tenuto in vita da sostegni vitali […] visto che ho il catetere da dieci anni, vado di corpo con manovre invasive e dolorose e sono assistito 24 ore su 24, dipendo pure da un pacemaker”. In effetti, ognuno di questi interventi se non eseguito porterebbe alla morte e lo stesso pacemaker può essere tranquillamente qualificato come “sostegno vitale”.
Pubblicata la lettera l’11 agosto, il giorno dopo - sì, solo il giorno dopo - il ministro Speranza risponde con una propria lettera aperta, assai lunga, sempre su La Stampa, evidenziando una solerzia che non ebbe, ad esempio, nei confronti di quei medici che tempo fa gli chiedevano di aprire alle cure domiciliari anti-Covid. Citiamo alcuni passaggi della lettera: “Sono personalmente convinto da tempo della necessità e dell’urgenza di un intervento legislativo in materia. […] Una persona […] ha il diritto di chiedere a una struttura pubblica del servizio sanitario l’assistenza al suicidio medicalmente assistito. […] La sentenza della Consulta non può essere ignorata. […] E sulla base di questa convinzione che il Ministero della Salute ha avviato già nei mesi scorsi un confronto con le Regioni che ha l’obiettivo di superare due problemi che rischiano di ostacolare l’attuazione della sentenza della Consulta. […] Il primo riguarda una ricognizione regione per regione sulla natura e sulla composizione dei comitati etici territoriali, per verificare la loro presenza e la loro adeguatezza a svolgere il delicato ruolo che la Consulta ha affidato loro. […] Il secondo riguarda l’opportunità di un’intesa fra Governo e Regioni, che possa consentire a queste ultime di fornire indicazioni chiare e univoche alle rispettive aziende sanitarie locali sulla procedura di applicazione del dispositivo della Consulta”.
Molti potrebbero essere i commenti a questa lettera, ma qui ne vogliamo evidenziare uno che non tocca tanto la vicenda del povero Mario, bensì le “vicende” esistenziali di tutti noi. Il commento si potrebbe così articolare in forma di domanda: caro Ministro, uno vuole morire e Lei lo aiuta, e invece uno vuole andare al ristorante senza essere vaccinato e Lei glielo impedisce? O, per dirla in altri termini: Lei ci tiene alla morte di Mario così tanto da agevolarlo e invece, chissà perché, ci tiene alla vita di noi tutti così tanto da obbligarci a vaccinare? E se volessimo anche noi, come Mario, morire per mano del Covid? Perché non permettercelo?
Si risponderà: la scelta di Mario non espone altri a rischi mortali, la scelta di non vaccinarsi sì. Pur volendo tralasciare la questione della pericolosità dei vaccini e la reale letalità di questo virus - questioni che starebbero a monte di molte altre - l’obiezione appena indicata sarebbe vera se il vaccino impedisse la trasmissibilità del virus. Ma le cose non stanno così (e il beneficio di una seppur minore trasmissibilità data dal vaccino è superato dai rischi di questo), come più volte da queste colonne autorevoli esperti hanno argomentato. Inoltre il rischio mortale quasi si azzera se consideriamo che coloro che non vogliono vaccinarsi non impediscono agli altri di farlo o di curarsi con le terapie domiciliari. Insomma il non vaccinato non attenta alla vita degli altri che, nella maggior parte dei casi, hanno comunque a disposizione gli strumenti necessari per non morire di Covid.
I motivi di questa disparità di trattamento tra Mario e chi non vuole vaccinarsi allora sono altri. Escludiamo il principio di autonomia ossia la libertà personale. Se il ministro vuole tutelare la libertà di Mario tanto da permettergli di suicidarsi, a maggior ragione dovrebbe tutelare le nostre libertà che chiedono assai meno: salire su un treno, partecipare ad uno spettacolo teatrale o ad una conferenza, far visita ad un parente in ospedale, andare al ristorante o in palestra. L’apparente schizofrenia si spiega con il principio di autoritarismo. Nel caso di Mario, dato che questi sposa un principio avallato anche dall’autorità governativa, allora deve essere aiutato nei suoi propositi eutanasici, nel caso dei vaccini invece coloro che non sposano gli orientamenti dello Stato, il quale esige che tutti si vaccinino, devono essere messi nelle condizioni di piegarsi ai diktat governativi. Dunque non è rilevante la libertà in quanto tale, ma verso quale scelta si orienta la libertà. Se tale scelta è benedetta da chi siede nella stanza dei bottoni deve essere agevolata, altrimenti ostacolata. Nel caso di Mario, dunque, questi si può anche non curare, nel secondo caso invece ci dobbiamo curare tutti a forza.
Inoltre la pandemia ha offerto una sponda straordinaria per favorire una deriva tipica degli stati autoritari: il controllo sociale. Tutti i governi di area levantina sono statalisti: lo Stato è al centro della vita sociale e dunque lo Stato deve controllare tutto e tutti. Da qui l’elefantiasi della macchina burocratica che nasce come strumento per sorvegliare i cittadini. Il Green pass è l’ultimo di questi ritrovati di controllo capillare dei consociati. Va da sé che l’antitesi del controllo sociale è la libertà individuale. Ecco scattare l’obbligo vaccinale, ma non l’obbligo a vivere per Mario proprio perché il nostro ordinamento è filo-eutanasico.
Quindi possiamo concludere che questo apparente strabismo mette bene in evidenza che autoritarismo e liberalismo sono fratelli. Promuovere solo quelle libertà individuali benedette da chi ha il potere. Le altre devono essere vietate.
Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/mario-e-speranza-il-ministro-che-aiuta-a-morire
LA TESTIMONIANZA
"Il vaccino mi fa bruciare, soffro da mesi. A chi è come me dico: parlate"
Febbre costante, bruciori, scosse continue e un deperimento dei nervi che i medici ancora non riescono a spiegarsi. Il calvario di Alessia D’Arrigo che da Messina ha trovato il coraggio di raccontare in un video la sofferenza subito dopo la prima dose di Astrazeneca. "Secondo i medici è un'infezione dei capillari causata dalla proteina spike, sono stata malissimo e ancora oggi soffro, oltre a non avere diritto neanche al Green pass. A chi mi cerca e mi racconta il dolore delle reazioni avverse da vaccino dico di parlare e di vincere la vergogna".
Poco più di quarant’anni, sposata, due figli, una laurea in Scienze Naturali e l’insegnamento di Scienze degli Alimenti alle Scuole superiori, finalmente nella propria terra messinese, dopo tanta fatica e tanti chilometri percorsi in tutta Italia. Una vita che sembrava finalmente stabilizzarsi, quella di Alessia D’Arrigo; ma poi è arrivato il vaccino. Quello efficace e sicuro.
Dopo tanta sofferenza, paura e smarrimento, Alessia, sostenuta dall’amico Daniele Zuccarello, ha infine deciso di parlare e di raccontare a tutti il suo calvario, che ancora non è finito. Lo ha fatto prima con un video e ora concedendo questa coraggiosa intervista a La Nuova Bussola Quotidiana.
Alessia, il suo coraggio alimenterà altro coraggio.In effetti, pensavo di essere un caso unico e invece non lo sono.Daniele: Dopo il video, sono stato contattato da tantissime persone con reazioni gravi al vaccino Pfizer. Alcuni anche con bruciature esterne. Mi ha contattato anche un'insegnante, alla quale hanno dato perfino l’Unzione degli Infermi: ti ho detto tutto.
Quando è iniziata questa “avventura”?
È iniziata martedì 9 marzo, quando ho fatto la prima e unica dose di Astrazeneca. Era circa mezzogiorno. Già nel pomeriggio mi è venuta la febbre a 38.5°C. Ho pensato ad una normale reazione al vaccino. Anche perché io non ho mai avuto nulla in vita mia; mai preso un antibiotico, non sono nemmeno un soggetto allergico. E infatti l’indomani ero già sfebbrata, ma avevo qualcosa di strano alla testa, un misto di annebbiamento e mal di testa. Parlando con amico medico, gli confido questo strano malessere e, informato della vaccinazione, mi manda subito a fare dei prelievi per controllare la coagulazione.
Cosa è risultato?
lunedì ho avuto gli esiti: avevo tutti i livelli della coagulazione sballati, soprattutto il D-dimero. Mi rivolgo subito al medico di famiglia, che mi prescrive l’eparina. Non appena faccio l’eparina, mi ricompare la febbre, 37.2°C, che non mi ha più lasciato, fino ad oggi. Sabato 20 marzo, erano circa le 22 – me lo ricordo benissimo -, ho incominciato a bruciare all’interno: tutto il petto e il braccio sinistro. Dei dolori atroci, come se mi stessero dando fuoco all’interno.
E che cos’ha fatto?
Mio marito decide di portarmi al Pronto Soccorso, dove mi fanno l’ECG e nuovi prelievi per controllare la coagulazione. Risultato: mi tolgono l’eparina, perché i valori erano rientrati, e mi mandano a casa, dicendomi che era una questione psicologica. Tra domenica e lunedì il bruciore diventa sempre più forte e si aggiungono dei dolori, come degli spilli, e dei crampi alla schiena e alle gambe. A volte mi facevo accendere l’asciugacapelli con l’aria fresca, per cercare di alleviare il dolore.
Di nuovo al Pronto Soccorso?
Esatto. Questa volta presso il Policlinico Universitario di Messina. Lì mi fanno quattro tamponi, mentre io non ce la facevo più per i dolori: mi sembrava che nel mio corpo accendessero tanti accendini, in contemporanea. Dopo otto ore, oltre ai tamponi, un solo prelievo e un antidolorifico, che non mi ha fatto nulla. Mi dimettono, dicendomi che si trattava di una lombosciatalgia e prescrivendomi del paracetamolo.
Non è possibile...
È tutto scritto nei referti. Riferisco al mio medico di famiglia, che liquida tutto come una questione psicologica e mi prescrive dei calmanti. A questo punto ne parlo con un altro medico, un pediatra, e mi suggerisce di rivolgermi ad un neurologo. Al Centro neurologico, non appena mi mettono gli aghi per l’elettromiografia, sono stata io a mandare la scossa... Mi hanno prescritto una RM all’encefalo e alla schiena, che ho dovuto fare privatamente, a mie spese, perché i tempi erano lunghissimi. Grazie a Dio, non c’erano lesioni.
E dunque, che cosa le hanno detto?
Hanno parlato di una polineurite, poi mi hanno spiegato che la guaina mielinica che ricopre i nervi della schiena e delle gambe si era bruciata. Ho dovuto fare una cura a base di cortisone e i bruciori piano piano sono andati via. Il problema è che la febbre persiste; i globuli bianchi erano alti, nonostante l’emocoltura avesse dato esito negativo. Ho fatto dei day-hospital nel reparto di malattie infettive, dove mi hanno controllato di tutto e di più: dalle malattie infettive a quelle autoimmuni, marker tumorali, reumatest, etc. Non mi hanno riscontrato nulla, eppure ho una VES e una PCR alte.
La sua è una storia incredibile. Ma non è la sola e non è neppure rara.
Dopo che ho fatto il video, ci sono state molte persone che mi hanno contattata chiedendo aiuto, perché stanno male. Io non faccio altro che dare il numero di quei medici che si sono resi disponibili ad aiutare me. Alcuni di questi medici mi hanno detto che potrebbe trattarsi di un’infiammazione dei capillari, causata dalla proteina spike, ma ancora nulla di certo. Ora intraprenderò questa strada.Adesso come sta?
Oltre alla febbre, ho nelle gambe sempre la pelle d’oca e avverto brividi; così come sento il gelo nella colonna vertebrale. Però se mi tocca le guance, le braccia, io brucio.
I suoi problemi non sono però finiti, e non solo dal punto di vista della salute.
All’HUB vaccinale mi hanno detto che il ciclo vaccinale è concluso con l’esonero, ma non possono rilasciarmi il green-pass, perché non ho due dosi di vaccino. Così, al numero 1500, dopo ore di attesa, mi propongono fare la seconda dose con Pfizer o Moderna.
Come è cambiata la sua vita?
Premetto che a me, non mi tocca più nessuno. Ho già dato abbondantemente: se facevo il Covid mi ero già sbrigata. E poi, ancora non so cos’è successo nel mio corpo, cosa ci hanno messo dentro. Morale della favola: non potrò andare al lavoro e mi sospenderanno. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso; e così ho deciso: adesso parlo. Ero in perfetta salute e poi, per causa loro, non ho potuto più guidare, non potevo gestire i miei figli, non riuscivo a camminare e adesso non posso nemmeno andare al lavoro.
Che sensazione ha avuto da parte del mondo medico?
Al Pronto Soccorso, appena dicevo la parola “Astrazeneca”, c’erano medici che si allontanavano; chi non poteva andarsene, faceva finta di non sentire. Nessuno che mi dicesse: sì, è possibile che sia un problema collegato al vaccino. Per il mio ormai ex-medico di famiglia, il problema era nella mia testa, perché i vaccini sono sicuri. Questo almeno a marzo; forse adesso qualcuno inizia ad ascoltare.
I suoi colleghi?
A livello di colleghi e amici ho avuto il massimo della solidarietà. Chi mi conosce, sa che non esagero, e non sono fissata con la salute. Molti, dopo essermi venuti a trovare, non hanno fatto la seconda dose, perché sono rimasti impressionati dalle mie condizioni.
Daniele: Ieri mi ha chiamato un’altra insegnante giovanissima, che ha fatto Pfizer dopo l’obbligo del green-pass per gli insegnanti, ed ora ha una miocardite. Ma nessuno le crede. E anche lei, se non conclude il ciclo vaccinale, starà a casa. Qui è saltato veramente tutto.
Alessia, in ultimo, vorrebbe fare un appello alle persone che come lei hanno avuto reazioni gravi dopo la vaccinazione o ai medici che queste cose le vedono in continuazione, a farsi avanti?
Chi sta male, deve parlare. Bisogna arrivare ad avere dei medici che studino questi effetti avversi e inizino a darci una mano. Anche perché questi sono gli effetti, parlo per me, dei primi cinque mesi: ma cosa sappiamo di quel che succederà più avanti? Devono parlare tutte le persone che stanno male. Io ho atteso del tempo, un po’ per vergogna, un po’ perché pensavo di essere io la sfortunata. Ma da domenica ad oggi, ho ricevuto più di mille messaggi di gente che sta malissimo. Dal momento che i medici non ci ascoltano, non denunciano, metteteci la faccia, come ce l’ho messa io. L’ultima cosa che avrei fatto nella mia vita è un video pubblico; ma sono disperata. Se lo facciamo tutti, cominceranno a prenderci in considerazione. Non potranno più dire che gli effetti collaterali sono inesistenti. Le faccio un esempio.
Prego.
Io ho avuto un amico che ha avuto due ictus. Ha fatto il vaccino il 2 marzo: due giorni dopo ha avuto il primo ictus; l’altro si è verificato a giugno. Gli ho detto: parlane; ma ha lasciato perdere, come se tanto le cose non si possano cambiare. Mai si è sentito come quest’anno, di persone giovani che muoiono nel sonno per un “malore”, o per incidenti stradali dovuti a un “malore”.
Luisella Scrosati
- IL NOBEL MONTAGNIER IN ITALIA: È DITTATURA SANITARIA di Alessandra Nucci
https://lanuovabq.it/it/il-vaccino-mi-fa-bruciare-soffro-da-mesi-a-chi-e-come-me-dico-parlate
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