Verso l'iniezione letale...una soluzione Radicale
Superate le 750mila firme per il Referendum sull'eutanasia. Se vincessero i radicali non solo sarebbe legittima l’iniezione letale su paziente consenziente, ma anche qualsiasi modalità per uccidere.
Sintetizzando la definizione di eutanasia contenuta nel documento della Congregazione per la dottrina della Fede Iura et bona, potremmo dire che per eutanasia si intende un atto volto a procurare la morte di un innocente al fine di eliminare ogni dolore. Tenuta per valida questa definizione ne discende che sia l’assassinio che il suicidio possono essere qualificati come condotte eutanasiche.
Rifacendoci quindi a questa definizione, domandiamoci: nel nostro ordinamento giuridico, attualmente, quali sono le modalità legittime per praticare l’eutanasia? Sono sostanzialmente quattro.
La prima è stata sdoganata ormai da molti anni dalla giurisprudenza che, interpretando in modo volutamente erroneo l’art. 32 della Costituzione secondo il quale nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento terapeutico eccetto nei casi previsti dalla legge, ha legittimato il rifiuto di cure anche salvavita, dunque ha legittimato il suicidio tramite omissione terapeutica.
Nella legge 219/17 possiamo rinvenire la seconda e terza modalità per praticare l’eutanasia. Questa legge infatti permette, oltre alla non attivazione, anche l’interruzione di qualsiasi terapia, comprese quelle salvavita, tra cui i mezzi di sostentamento vitali conosciuti come nutrizione e idratazione assistita (implicitamente si ammette anche la ventilazione assistita). Tale modalità può quindi configurare un’esimente al reato di omicidio del consenziente ex art. 579 cp (cfr. art 1 comma 6 lege 219/17). Infatti, ad esempio, il paziente attaccato un respiratore potrebbe chiedere al medico di farlo addormentare e poi interrompere la ventilazione assistita al fine di morire. La terza modalità, contenuta sempre nella legge 219, è la sedazione continua profonda che, in dosi eccessive, blocca i centri del respiro provocando la morte. Pensiamo a questo proposito al paziente terminale malato di tumore che vuole morire e quindi usa dell’escamotage della sedazione continua profonda per chiudere gli occhi per sempre. Anche in questa ipotesi ci troveremmo di fronte ad un caso di omicidio del consenziente non punibile dalla legge.
La quarta modalità è stata introdotta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019 (clicca qui per un approfondimento): parliamo del suicidio assistito. Il medico consegna al paziente un preparato letale che sarà assunto dal paziente stesso. La Consulta ha indicato quattro condizioni per accedere al suicidio assistito, condizioni che sono presenti in un disegno di legge attualmente all’esame della Camera (clicca qui per un approfondimento). A differenza della prima modalità qui indicata, si tratterebbe di un suicidio tramite atto commissivo e non omissivo.
Ma all’orizzonte ecco spuntare una quinta modalità per accedere alla cosiddetta dolce morte: l’iniezione letale. Marco Cappato, in collaborazione con l’Associazione “Luca Coscioni” e con il Comitato promotore di cui fanno parte il Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, +Europa, oltre ai Radicali Italiani hanno proposto un referendum che vuole abrogare in parte l’art. 579 cp che sanziona l’omicidio del consenziente. Dato che Cappato & Co. ieri hanno annunciato di aver raccolto più di 750mila firme, saremo chiamati alle urne e ciò molto probabilmente avverrà nella primavera del 2022.
Attualmente l’art. 579 cp così recita: “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno”. I radicali vogliono eliminare queste parole: “la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano”. Se dunque vincessero i “Sì”, uccidere una persona con il suo consenso non sarà più reato, eccetto nel caso in cui la vittima sia un minore o un incapace o nel caso in cui il consenso sia stato estorto in qualsiasi modo. Un nota bene. Se vincessero i radicali non solo sarebbe legittima l’iniezione letale su paziente consenziente, ma anche qualsiasi modalità per uccidere il consenziente: con un’arma da fuoco, con un coltello, con l’impiccagione, con il veleno, con l’affogamento, etc.
I proponenti il referendum molto probabilmente non sarebbero d’accordo con questa interpretazione. Secondo loro l’omicidio del consenziente dovrebbe comunque rispettare delle condizioni per essere legittimo e solo il medico, tramite alcune procedure cliniche, potrebbe provocare la morte di una persona. Infatti l’Associazione Luca Coscioni così si esprime: “Con questo intervento referendario l’eutanasia attiva sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul ‘Caso Cappato’. […] La Corte, essendo intervenuta nella sentenza Cappato sull’art. 580 cp, può fare ricadere la disposizione come abrogata in una cornice normativa già delineata dalle sue pronunce in materia. La norma che residua, infatti, ha al suo interno l’espressione ‘col consenso di lui’ il cui significato risulta coordinato alle leggi dell’ordinamento e agli interventi della Corte”.
I radicali ci stanno dicendo che per accedere legalmente all’omicidio del consenziente occorrerà rispettare i vincoli indicati dalla legge 219 e quelli previsti dalla Consulta. Ma le cose non stanno così, infatti la legge 219 prevede sì dei vincoli, ma solo in riferimento ad alcune precise modalità di omicidio del consenziente, non facendo parola dell’iniezione letale. Lo stesso dicasi della Consulta che ha indicato delle condizioni a cui attenersi, ma solo in riferimento al suicidio assistito, non all’omicidio del consenziente. In caso di abrogazione parziale dell’art. 579 cp potrebbe darsi che la Corte costituzionale richiami le condizioni previste per l’aiuto al suicidio e le applichi all’omicidio del consenziente, ma è solo una ipotesi. E inoltre sarà necessario che tali eventuali indicazioni confluiscano in un testo di legge. Infine non si potrà applicare per analogia, al nuovo art. 579 cp, quanto contenuto nella legge 219 e, tantomeno, quanto disposto dalla Consulta dato che si tratta di materia penale in cui è vietata sia l’analogia legis che l’analogia iuris.
Il referendum dei radicali è la conclusione logica di alcune premesse già enucleate dai giudici negli anni scorsi quando più volte permisero il suicidio tramite l’astensione di terapie salvavita, quando acconsentirono all’uccisione di Eluana Englaro e quando non sanzionarono quella di Piergiorgio Welby. Tali premesse si arricchirono – o s’impoverirono - poi della legge 219 ed infine della sentenza, prima menzionata, della Consulta. La premessa di fondo che ha fatto crollare tutto il castello è stata la seguente: basta che tu legittimi una sola modalità per praticare l’eutanasia e poi non puoi che legittimare tutte le altre modalità, compresa l’iniezione letale. Se dici “Sì” all’eutanasia, non puoi che dire “Sì” anche a tutti i mezzi per dare la morte: se accetti un fine, non puoi che accettare tutti i modi consoni per soddisfare il fine. In particolare, come visto, la legge 219 già permette alcune condotte che configurano l’omicidio del consenziente e dunque apparirebbe irrazionale non permetterne altre: se è legittimo uccidere il consenziente staccandolo dal respiratore, perché non dovrebbe essere legittimo ucciderlo con una iniezione che, tra l’altro nella percezione comune, apparirebbe come una modalità meno cruenta di dare la morte?
Rifiutare, di contro, l’estensione di modalità eutanasiche sarebbe illogico e discriminatorio, come ha sottolineato sempre l’Associazione Luca Coscioni sul suo sito: “Proprio al fine di non creare discriminazioni tra tipi di malati, emerge l’esigenza di ammettere l’eutanasia a prescindere dalle modalità della sua esecuzione concreta (attiva od omissiva)”. Il paziente che vuole morire, ma non è attaccato ad una macchina per vivere e non è in grado di assumere da sé un preparato letale e non vuole passare per l’iter tortuoso della sedazione continua profonda, allo stato attuale si vedrebbe escluso da qualsiasi pratica legale di eutanasia. L’iniezione letale eliminerebbe questa discriminazione.
Per chiudere prendiamo a prestito le parole della Conferenza episcopale italiana che si è espressa con preoccupazione in merito a questa iniziativa referendaria e così si è pronunciata a riguardo: “Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano, la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. Non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire”.Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/verso-liniezione-letaleuna-soluzione-radicale
L’eutanasia e i paradossi del principio di autodeterminazione
Messaggio alla Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca
Cari fratelli e sorelle,
la Lettera della Congregazione per la dottrina della fede “Samaritanus bonus” (14 luglio 2020) sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita illustra in modo ampio e approfondito la dottrina della Chiesa sui temi dell’eutanasia e del suicidio assistito. Il principio fondamentale è che la vita mantiene la sua dignità dal suo inizio fino alla sua naturale conclusione. Pertanto, come ha bisogno di essere accudita e custodita nel suo inizio così deve essere amorevolmente assistita nel momento finale, soprattutto in presenza di gravi e invincibili malattie, attraverso le cure palliative e la terapia del dolore. Un bambino non perde la sua dignità anche se è in tutto dipendente dalla cura dei genitori. Allo stesso modo, una persona gravemente malata conserva il suo inalienabile valore anche se impossibilitato ad agire. In questa prospettiva, «una società merita la qualifica di “civile” se sviluppa gli anticorpi contro la cultura dello scarto; se riconosce il valore intangibile della vita umana; se la solidarietà è fattivamente praticata e salvaguardata come fondamento della convivenza» (Samaritanus bonus, V, 1).
I promotori dell’iniziativa referendaria, invece, in perfetta sintonia con lo “spirito del tempo”, si muovono in una visione antropologica totalmente differente, sintetizzata dallo slogan: “Liberi fino alla fine”. L’idea fondamentale è la seguente: niente e nessuno deve poter limitare la libertà personale, soprattutto quando si tratta di questioni che toccano la propria persona e il proprio destino. L’io individuale non deve avere altra norma e altra regola se non la propria insindacabile decisione anche di fronte alla morte.
Colonna portante di questa visione è il “dogma laico”, ritenuto inamovibile e incontestabile, del diritto illimitato di ogni individuo a decidere del proprio destino rimuovendo ogni possibile vincolo etico e sociale. La libertà si pone in modo assoluto e si qualifica come “autodeterminazione estrema”. Nel “moderno giardino dell’Eden”, vige la legge di andare “al di là del bene e del male” (F. Nietzsche) ossia l’imperativo a superare ogni morale oggettiva in vista della trasmutazione di tutti i valori ad opera di una libertà dell’individuo che deve essere senza limiti e senza divieti non solo divini, ma anche umani. Criticando questa visione, il noto moralista Mons. Mauro Cozzoli ha precisato che «la libertà cresce e matura nel passaggio dalla libertà di scelta (autodeterminazione) alla libertà morale (autodeterminazione per il bene), cui i classici riservavano il nome libertas, chiamando la prima arbitrium. Fissando la libertà sull’arbitrium, l’individuo non diventa libero ma libertario» (Avvenire, martedì 12 luglio 2011).
In riferimento al tema dell’eutanasia, mi permetto di evidenziare quattro paradossi in cui si incorre quando si passa dalla libertas all’arbitrium. Il primo paradosso si riferisce al fatto che la vita è intrinsecamente limitata nel suo inizio e nella sua fine. Essa scorre tra due estremi: la nascita e la morte. Vivere significa riconoscere il limite intrinseco al nascere e al morire. Accettare di vivere anche per un solo istante, significa implicitamente accettare la limitatezza della vita. Se il limite è parte integrante della vita, lo è necessariamente anche della libertà. Non esiste una libertà in astratto, ma solo in quanto legata alla nascita. Ora, se non si è liberi di nascere come si può essere liberi di morire? In realtà, si è solo liberi di vivere. «Il miracolo della libertà – scrive Hannah Arendt – è insito in questo saper cominciare che, a sua volta, è insito nel fatto che ogni uomo, in quanto per nascita è venuto al mondo che esisteva prima di lui, e che continuerà dopo di lui, è un nuovo inizio» (H. Arendt, Cos’è la politica?, tr. it. Marina Bistolfi, Einaudi, Torino 2006, p. 26).
Il secondo paradosso consiste nel fatto che l’eutanasia e il suicidio assistito sono presentati surrettiziamente come espressione di libertà. In realtà, sono solo una “fuga dalla vita e dalla libertà”. Con l’eutanasia e il suicidio assistito si spezza il filo che lega la libertà al suo cominciamento. In tal modo, questa estrema decisione diventa espressione di una forma radicale di protesta e di rivolta contro la vita che non è stata scelta e voluta, ma imposta da un atto precedente alla propria volontà. La vita stessa è, dunque, intesa come una sciagura da cui fuggire, non solo perché carica di dolore invincibile, ma soprattutto perché frutto di un’azione avvenuta senza il personale acconsentimento.
A tal proposito, è significativa l’espressione di Sileno, che Nietzsche indica come portatore della saggezza dionisiaca e del senso tragico dell’esistenza. Così scrive il filosofo tedesco: «L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde infine tra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile, il demone tacque; finché, costretto dal re, uscì da ultimo fra stridule risa in queste parole: “Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto”» (F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 2018, pp. 31-32).
Il terzo paradosso si riferisce al fatto che se il “suicidio assistito” deve essere consentito quando la malattia irreversibile riguarda il corpo, non si vede il motivo per il quale non dovrebbe essere praticato anche quando tocca la psiche. A rigor di logica, anche a chi ha perso il gusto della vita e “vive senza vivere” dovrebbe essere consentito quanto è permesso a chi è affetto da una malattia incurabile. Non si soffre di meno nell’anima, rispetto a quanto si soffre nel corpo. Si svela così la tragicità della “cultura di morte” che aleggia nel nostro tempo. Essa, come un’ombra oscura, spinge la vita in un abisso senza senso.
Il quarto paradosso consiste nella palese contraddizione tra la libertà posta in modo assoluto in ambito individuale e la libertà che si esercita in modo condizionato in ambito sociale. Se si accetta l’idea che la libertà deve esprimersi in modo assoluto sul piano dei diritti individuali, non si vede il motivo per il quale la stessa cosa non debba valere anche per le norme, i limiti e i divieti imposti dalla società. A tutti dovrebbe essere consentito di vivere liberi da ogni imposizione esterna alla propria libertà di autodeterminazione. Il buon senso, però, intuisce che se la libertà si dovesse esprimere in modo assoluto anche in ambito sociale si aprirebbe la porta all’anarchia e alla dissoluzione di qualsiasi forma di società e si andrebbe incontro a un “suicidio sociale” non meno deleterio del “suicidio assistito”.
La Vergine Maria Assunta in cielo in anima e corpo ci insegni ad avere cura dei nostri fratelli ammalati, soprattutto di quelli affetti da gravi patologie, conforti tutti noi con la sua presenza materna e ci aiuti ad avere lo sguardo rivolto al cielo, dove Ella ci attende con amore di Madre.
+Vito Angiuli
Ugento, 15 agosto 2021 Il vescovo
Solennità di Maria Assunta in cielo
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