No, gli untori no, per favore.
Sono stupito che tanti non colgano la totale differenza che c’è tra queste due posizioni.
Un conto è che lo stato dica: “Cari ultracinquantenni non vaccinati, siete troppi. Io rispetto la vostra libertà di opinione ma, considerata l’alta contagiosità del virus e la percentuale di casi in cui l’infezione evolve in malattia grave, è molto probabile che alla prossima ondata epidemica voi vi infetterete a centinaia di migliaia, e decine di migliaia di voi avranno bisogno di essere ricoverati in ospedale. Se le risorse del sistema sanitario fossero illimitate, ci potrei anche stare; non ne farei neanche una questione di soldi, perché il valore dei soldi va rispettato ma quello della libertà personale è inestimabile. Il punto è che, a causa della vostra sciocca ostinazione – tale è per la maggioranza degli italiani, voi invece avete rispettabilmente l’avviso opposto – finirete per occupare i reparti ospedalieri e le terapie intensive, mettendo in crisi il sistema e causando un grave danno alla salute, e perfino alla vita, di molte altre persone altrettnato bisognose di cure. Questo non lo posso accettare, quindi ora, in nome di un interesse pubblico superiore al vostro diritto, il parlamento voterà una legge che vi impone di vaccinarvi immediatamente e prevede per i trasgressori sanzioni proporzionate alla gravità della materia.
Questa sarebbe una posizione ragionevole, costituzionale, democratica, libera, civile, da stato laico e non da stato etico … metteteci voi le qualificazioni positive che più vi piacciono. Un bambino direbbe: una cosa buona. Su questa base di ragionevolezza rispettosa di tutte le persone, per parte mia guarderei senza scandalo gli eventuali renitenti subire tutte le conseguenze della loro disubbidienza civile. Saremmo sempre nel fisiologico funzionamento del sistema legale.
Tutt’altro paio di maniche è che si dica – come purtroppo mi pare che si stia facendo – che i non vaccinati sono cattivi cittadini, anzi proprio delle brutte persone, perché si sottraggono a un “dovere civile e morale” (come dice Mattarella) o rifiutano di compiere “un atto di amore” (come dicono molti vescovi); anzi, sono dei “nemici del popolo”, perché “ci fanno ammalare” (se non: “ci fanno morire”). Untori, praticamente. Tale posizione (che qui ho espresso in termini un po’ forti e sbrigativi, ma credo sostanzialmente corretti) ha due difetti. Il primo è che è falsa. Così, perlomeno, si deve concludere se la si mette a confronto con altre due affermazioni che provengono dalle stesse autorevoli fonti che supportano l’attuale Kulturkampf anti-antivaccinista. Ci dicono infatti le autorità – e noi ci crediamo, perché come è noto «Brutus is an honourable man» – che il vaccino è parzialmente ma largamente efficace nell’impedire l’infezione ed estremamente efficace nel prevenire l’aggravamento della malattia. Se questo è vero, diventa impossibile negare che la possibilità che il non vaccinato “mi faccia ammalare, anzi mi faccia morire” sia molto ridotta. In secondo luogo, le stesse autorità ci avvertono, benché con minore entusiasmo, che anche i non molti vaccinati che si infettano possono contagiare. Se questo è vero, diventa impossibile negare che, se è per questo, anche il vaccinato “mi può fare ammalare, anzi mi può far morire”.
Ma la posizione a cui purtroppo si sta dando libero corso nel nostro paese non è solo falsa, è anche cattiva perché potenzialmente violenta. Considerate bene la frase «io non voglio accanto a me un non vaccinato», che probabilmente avrete sentito, o forse anche pronunciato, come espressione dello stato d’animo generale che approva senza problemi l’incipiente regime del lasciapassare vaccinale. Consideratela non solo nel suo aspetto semantico, ma anche in quello, per così dire, sintattico, cioè guardando alla relazione tra le parti che compongono l’enunciato. Provate perciò a sostituire «non vaccinato» con qualcos’altro (sapete benissimo ache voi che cosa metterci) e riflettete. Se non ci trovate niente di problematico, temo che voglia dire che il problema è bello grosso e voi ne fate parte.
Ultima annotazione. In diciotto mesi, l’accordatura del discorso pubblico, cioè il La a cui tutti si devono intonare per non fare stecche, è passata da “abbracciamo un cinese!”, brandito con sussiego contro chi provava a suggerire una certa cautela con i provenienti dal Celeste Impero, a “io non voglio accanto a me un non vaccinato”. In diciotto mesi. Se tanto mi dà tanto …
Fuori dalla #Costituzione.
Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 32, comma 2: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Articolo 3, comma 1: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Articolo 4, comma 1: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il di-
ritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto».
Giudichi chi può se sia dentro o sia fuori dalla Costituzione repubblicana il recente provvedimento con cui, in assenza di una legge che obblighi alla vaccinazione, il governo ha di fatto impedito di lavorare a chi, esercitando un proprio diritto e sulla base di una propria opinione (che io, insieme a molti altri, considero sbagliata e irragionevole, ma non importa), non si è vaccinato. Costituzione che, si noti bene, obbliga la Repubblica addirittura a promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro. Imporre di fatto (e perciò in modo illegale) ai cittadini la vaccinazione oppure un tampone ogni due giorni al costo mensile di almeno 200 euro, solo per poter lavorare (!), significa forse rispettare il principio di uguaglianza davanti alla legge senza discriminazioni a causa delle opinioni politiche, il diritto al lavoro e il diritto di disporre del proprio corpo? O significa piuttosto la negazione pratica di quei principi e di quei diritti?
Il processo di uscita dalla Costituzione era già in corso da molti anni, ma fino al 2019 aveva riguardato prevalentemente la seconda parte della carta costituzionale, relativa all’ordinamento dello stato: si pensi alla trasformazione di fatto da repubblica parlamentare a semipresidenziale; all’abnorme dilatazione dei poteri della magistratura, ormai quasi completamente fuori dai limiti del quadro costituzionale; alla rinuncia alla sovranità senza i limiti previsti dall’articolo 11 Cost., eccetera. La pandemia ha accelerato questo processo e ha ne permesso un salto di qualità, andando direttamente a ledere la prima parte, quella ben più delicata e preziosa perché riguarda i diritti e doveri dei cittadini, e gli stessi principi fondamentali. Ciò è avvenuto e sta avvenendo nel disinteresse e/o nell’acquiescenza generale. Prima si è consentito allo sciagurato governo Conte di agire come se il nostro ordinamento prevedesse uno stato di eccezione, nella forma in cui nell’antica Roma, quando c’era un’emergenza, il senato decretava: videant consules ne quid detrimenti res publica capiat. Faccia l’esecutivo quello che vuole, strapazzi come gli pare i diritti dei cittadini, purché ci salviamo da questa pandemia. Solo che un articolo del genere, nella nostra Costituzione, proprio non c’è. L’emergenza c’era – e ben più grave di quel che pensava quell’inetto governo – ma il modo di affrontarla, a prescindere dal giudizio sui risultati, è stato del tutto fuori dalla Costituzione. Ora il governo Draghi continua sulla stessa linea e con quest’ultima misura forse fa ancora peggio.
Temo che ce ne pentiremo amaramente, quando sarà troppo tardi (se già non lo è). L’uscita dalla Costituzione è un madornale errore, che pagheremo tutti molto caro. Non ho mai idolatrato quel testo (a differenza di certi “cattolici adulti”) e lascio volentieri ai guitti che l’hanno inventata la fanfaronata della “costituzione più bella del mondo”, ma non vi è dubbio a) che la Carta del ’48 sia stata un dignitoso compromesso tra culture politiche che tali erano sul serio e che seppero confrontarsi politicamente in modo efficace; b) che il pensiero cattolico non fu irrilevante nella sua ideazione e stesura (come invece sarebbe quasi certamente oggi); c) che essa ha reso possibile il periodo di massima libertà e democrazia mai goduto da questo paese; d) che se la si riscrivesse oggi il risultato sarebbe infinitamente peggiore. Teniamocela, che ci conviene (se non è già troppo tardi).
Per quanto mi riguarda, sono molto contento di essere nato e vissuto per buona parte della mia esistenza come cittadino della Repubblica Italiana, piuttosto che come suddito del Regno d’Italia, ed anche – in quanto romagnolo – dello Stato Pontificio. (Su quest’ultimo punto, confesso di avere avuto, fino al marzo del 2013, qualche lieve e occasionale punta di nostalgia, ma le vicende successive mi hanno provvidenzialmente guarito da quel puerile vaneggiamento. Ora la sola idea del papa-re mi procura un genuino terrore). Stamattina, mentre facevo colazione, ho sentito che alla rassegna stampa di RaiNews 24 qualcuno leggeva un editoriale, non so di chi né dove pubblicato, in cui si affermava che quello attuale non è un governo di unità nazionale, ma piuttosto un governo di affidamento personale. Il paese consegnato nelle mani del dottor Mario Draghi. Mi pare verosimile. E per quanto si possa essere sollevati dal pensiero che a Palazzo Chigi non c’è più l’avvocato Conte, la siderale superiorità dell’attuale presidente del consiglio rispetto al predecessore tuttavia non lascia tranquilli. Mi pare che Draghi a Palazzo Chigi voglia dire che qualcuno dei “piani superiori” – quelli, per intenderci, dove risiedono the powers that be, come li chiamano gli anglosassoni con un’espressione presa dalla Bibbia di Re Giacomo – è sceso di persona giù in cucina, a comandare direttamente a sguatteri e camerieri, per manifesta incapacità dei cuochi e maggiordomi precedenti. Ora, se uno da lassù scende downstairs, a fare i lavori in prima persona, si intende che è risoluto ad essere obbedito. Molte cose stanno cambiando, e molte altre cambieranno …
Nôtre chère republique! La rimpiangeremo.
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