FALSARI E BANALI
Abbiamo, tempo fa, confezionato un intervento in cui dicemmo che ogni crisi culturale inizia con la falsificazione delle parole o, quanto meno, con la loro alterazione il cui significato, capovolto, ridotto o amplificato determina, rispettivamente: 1) una mutazione genetica di segno opposto, 2) un isterilimento semantico e 3) una dilatazione del pensiero.
Si consideri, per la prima connotazione, il versetto 5 del salmo 95 che, in forma chiara, afferma “Omnes dii gentium daemonia”, cioè “Tutti gli idoli dei pagani sono demòni” verità confermata dallo stesso Satana quando, nel deserto, propose la cessione del proprio regno – il mondo – solo se Gesù lo avesse adorato.
Ebbene, domenica 29 agosto 2021, la traduzione del predetto salmo riportava, e riporterà, la seguente dicitura: “Tutti gli dèi pagani sono un nulla”. Chiaro un duplice messaggio: 1) in nome dell’ecumenismo vaticansecondista, gli idoli non rappresentano un che di demoniaco ma sono metafora del nulla, inoffensivo in quanto tale, mercé il trapasso dall’esistere al non esistere; 2) Tutte le religioni sono di pari dignità, secondo la teologia di GPII (cfr. Tertio millennio adveniente n. 6).
Tralasciamo, perché trattata ampiamente in un lungo e argomentato nostro intervento, la falsificazione operata da Paolo VI nella sua riforma della Santa Messa, così come tralasceremo la ridicola e peggiorativa correzione apportata da Papa Bergoglio al Padre nostro e l’eretica variazione condotta sul Gloria. Oggi intendiamo destare l’attenzione su un fenomeno che sta lentamente affermandosi quale modulo di una banalità espressiva con cui vengono confezionate omelie e riflessioni. Ne faremo note alcune.
Siamo assidui al Rosario di Lourdes, trasmesso in diretta tutti i giorni, dalla benemerita TV2000, alle ore 18,00 e, pertanto, se vale la testimonianza de visu atque auditu, ebbene, noi siamo in grado di riferire sulle sciocchezze, sulle banalità e sulle amenità con cui i direttori della devozione vagellano senza avvertire la benché minima sensazione del ridicolo. Ed allora, ecco uscirsene, nel commento al primo mistero doloroso, con una perla del tipo: “Nel Getsemani inizia l’avventura della Passione di Gesù”.
Sì, cari lettori, una av-ven-tu-ra, che tradotta vuol dire vicenda fortunata, spassosa, divertente. Certo, la Chiesa canta, nei riti della Settimana Santa la “felix culpa quae talem ac tantum redemptorem meruit habere”, un paradosso che vuol significare il capovolgimento funzionale dei valori con cui, dal peccato di origine ne è scaturito che il Figlio di Dio si sia incarnato e fatto uomo per la salvezza dell’uomo. Certamente, ma il tragitto della Via Crucis non è un viaggio di piacere tale che si possa aggettivare come avventuroso, esso è un mistero, categoria ontologica che nulla ha da spartire con altri significati ma che esige adorazione, meditazione e adesione. Con il Getsemani ha inizio la nuova Storia segnata dalla Passione e dalla morte di Dio, altro che avventura!
Seconda perla – “Maria assorbe tutte queste cose come una spugna”. L’autore di siffatta espressione non sa che vige, nell’articolazione del pensiero e, quindi, nella formazione del discorso fatto parola, un processo di sedimentazione in ragione della quale, col tempo e l’uso, determinate locuzioni verbali assumono una configurazione che, storicizzata, si pone come un unicum, talché col dire, ad esempio, che il tizio XY è la “pecora nera della famiglia”, si coglie un unico significato, sommamente negativo, prescindendo dal fatto che una vera pecora nera non è, a priori, un elemento equivoco. Ed allora, similmente la spugna, pur essendo di per sé neutra, è diventata, per un processo semantico evolutivo, simbolo di intemperanza riferita al tipo ubriacone per cui si dice “Bere come una spugna” locuzione che per lo più si riduce ad un semplice sintagma “essere una spugna” laddove il termine esprime, per sé stesso, l’idea di smodatezza, eccesso.
Detto ciò, vi pare, cari fedeli, che la Vergine Maria, possa essere assimilata a una spugna? Ma, perché: non v’erano altre espressioni che sapessero rendere l’idea di come la Madre di Dio fosse presente a sé stessa, capace di trattenere nell’anima e nel cuore le gioie e i dolori e viverli nel silenzio? Luca ne dà uno splendido esempio quando, in occasione del ritrovamento del dodicenne Gesù, nel tempio in disputa con i dottori, non comprese, lì per lì, le parole del Figlio, ma tornata a Nazaret, “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (2 31).
Terza perla – “La famiglia, il progetto di Dio, il suo sogno”. A breve commento del quarto mistero gaudioso – la presentazione di Gesù al Tempio – il conduttore si abbandona a questa mirifica immagine di Dio Signore, rappresentato, in prima battuta, come è giusto che sia, come Colui che concepisce e realizza ogni realtà, ma subito dopo, scivolando sul banale, convinto d’aver cavato da chissà quale ispirazione, ci dice di un Dio che sogna e, pertanto, dorme della grossa. Non staremo a puntualizzare il lato semantico né, tanto meno quello teologico per dimostrare l’enorme sciocchezza prodotta e riprodotta coram populo e diffusa per via televisiva. La banalità la si coglie di primo istante perché il Signore Onnipotente, come bene declama il salmista: “Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel” (Ps. 120, 4) – Ecco, non sonnecchierà né dormirà colui che protegge Israele.
Figuriamoci se sogna.
Si consideri, per la prima connotazione, il versetto 5 del salmo 95 che, in forma chiara, afferma “Omnes dii gentium daemonia”, cioè “Tutti gli idoli dei pagani sono demòni” verità confermata dallo stesso Satana quando, nel deserto, propose la cessione del proprio regno – il mondo – solo se Gesù lo avesse adorato.
Ebbene, domenica 29 agosto 2021, la traduzione del predetto salmo riportava, e riporterà, la seguente dicitura: “Tutti gli dèi pagani sono un nulla”. Chiaro un duplice messaggio: 1) in nome dell’ecumenismo vaticansecondista, gli idoli non rappresentano un che di demoniaco ma sono metafora del nulla, inoffensivo in quanto tale, mercé il trapasso dall’esistere al non esistere; 2) Tutte le religioni sono di pari dignità, secondo la teologia di GPII (cfr. Tertio millennio adveniente n. 6).
Tralasciamo, perché trattata ampiamente in un lungo e argomentato nostro intervento, la falsificazione operata da Paolo VI nella sua riforma della Santa Messa, così come tralasceremo la ridicola e peggiorativa correzione apportata da Papa Bergoglio al Padre nostro e l’eretica variazione condotta sul Gloria. Oggi intendiamo destare l’attenzione su un fenomeno che sta lentamente affermandosi quale modulo di una banalità espressiva con cui vengono confezionate omelie e riflessioni. Ne faremo note alcune.
Siamo assidui al Rosario di Lourdes, trasmesso in diretta tutti i giorni, dalla benemerita TV2000, alle ore 18,00 e, pertanto, se vale la testimonianza de visu atque auditu, ebbene, noi siamo in grado di riferire sulle sciocchezze, sulle banalità e sulle amenità con cui i direttori della devozione vagellano senza avvertire la benché minima sensazione del ridicolo. Ed allora, ecco uscirsene, nel commento al primo mistero doloroso, con una perla del tipo: “Nel Getsemani inizia l’avventura della Passione di Gesù”.
Sì, cari lettori, una av-ven-tu-ra, che tradotta vuol dire vicenda fortunata, spassosa, divertente. Certo, la Chiesa canta, nei riti della Settimana Santa la “felix culpa quae talem ac tantum redemptorem meruit habere”, un paradosso che vuol significare il capovolgimento funzionale dei valori con cui, dal peccato di origine ne è scaturito che il Figlio di Dio si sia incarnato e fatto uomo per la salvezza dell’uomo. Certamente, ma il tragitto della Via Crucis non è un viaggio di piacere tale che si possa aggettivare come avventuroso, esso è un mistero, categoria ontologica che nulla ha da spartire con altri significati ma che esige adorazione, meditazione e adesione. Con il Getsemani ha inizio la nuova Storia segnata dalla Passione e dalla morte di Dio, altro che avventura!
Seconda perla – “Maria assorbe tutte queste cose come una spugna”. L’autore di siffatta espressione non sa che vige, nell’articolazione del pensiero e, quindi, nella formazione del discorso fatto parola, un processo di sedimentazione in ragione della quale, col tempo e l’uso, determinate locuzioni verbali assumono una configurazione che, storicizzata, si pone come un unicum, talché col dire, ad esempio, che il tizio XY è la “pecora nera della famiglia”, si coglie un unico significato, sommamente negativo, prescindendo dal fatto che una vera pecora nera non è, a priori, un elemento equivoco. Ed allora, similmente la spugna, pur essendo di per sé neutra, è diventata, per un processo semantico evolutivo, simbolo di intemperanza riferita al tipo ubriacone per cui si dice “Bere come una spugna” locuzione che per lo più si riduce ad un semplice sintagma “essere una spugna” laddove il termine esprime, per sé stesso, l’idea di smodatezza, eccesso.
Detto ciò, vi pare, cari fedeli, che la Vergine Maria, possa essere assimilata a una spugna? Ma, perché: non v’erano altre espressioni che sapessero rendere l’idea di come la Madre di Dio fosse presente a sé stessa, capace di trattenere nell’anima e nel cuore le gioie e i dolori e viverli nel silenzio? Luca ne dà uno splendido esempio quando, in occasione del ritrovamento del dodicenne Gesù, nel tempio in disputa con i dottori, non comprese, lì per lì, le parole del Figlio, ma tornata a Nazaret, “serbava tutte queste cose nel suo cuore” (2 31).
Terza perla – “La famiglia, il progetto di Dio, il suo sogno”. A breve commento del quarto mistero gaudioso – la presentazione di Gesù al Tempio – il conduttore si abbandona a questa mirifica immagine di Dio Signore, rappresentato, in prima battuta, come è giusto che sia, come Colui che concepisce e realizza ogni realtà, ma subito dopo, scivolando sul banale, convinto d’aver cavato da chissà quale ispirazione, ci dice di un Dio che sogna e, pertanto, dorme della grossa. Non staremo a puntualizzare il lato semantico né, tanto meno quello teologico per dimostrare l’enorme sciocchezza prodotta e riprodotta coram populo e diffusa per via televisiva. La banalità la si coglie di primo istante perché il Signore Onnipotente, come bene declama il salmista: “Ecce non dormitabit neque dormiet qui custodit Israel” (Ps. 120, 4) – Ecco, non sonnecchierà né dormirà colui che protegge Israele.
Figuriamoci se sogna.
del Luciano Pranzetti
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