I recenti viaggi di Benedetto XVI in Spagna e in Germania dimostrano certamente due importanti realtà: in Spagna è stata confermata l’esistenza di una generazione di giovani ancora fieri di essere cattolici e per questo raccolti attorno al Papa; in Germania è stata smentita l’esistenza di un ampio dissenso cattolico di base nel clero e nella società.
di Roberto de Mattei
di Roberto de Mattei
I recenti viaggi di Benedetto XVI in Spagna e in Germania dimostrano certamente due importanti realtà: in Spagna è stata confermata l’esistenza di una generazione di giovani ancora fieri di essere cattolici e per questo raccolti attorno al Papa; in Germania è stata smentita l’esistenza di un ampio dissenso cattolico di base nel clero e nella società.
Il fatto che l’appello alla disobbedienza dei movimenti progressisti sia clamorosamente fallito non significa naturalmente che i disobbedienti non ci siano e che non siano presenti nelle parrocchie, nei seminari e nella stessa Conferenza Episcopale Tedesca. Però, se il sostegno mediatico è vasto, l’appoggio popolare è per essi minimo.
La ragione di questa mancanza di consenso del progressismo ecclesiale è legata alla natura stessa del fenomeno. I progressisti non invitano solo alla disobbedienza nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche: essi seminano dubbi, relativismo, indifferenza religiosa. Seguendo i loro appelli, dalla “fede adulta” si passa rapidamente alla perdita della fede stessa.
Le parrocchie dei progressisti si svuotano e spesso gli stessi sacerdoti novatori le abbandonano, annunciando magari il matrimonio e il loro rientro nella vita civile. Al contrario, i luoghi in cui si celebra la liturgia tradizionale e si predica la fede e la morale di sempre sono gremiti di fedeli e sono spesso vivai di vocazioni.
I giovani che ad agosto affollavano le piazze di Madrid, pur senza essere “tradizionalisti”, erano attratti dalla Tradizione della Chiesa, impersonata dal Romano Pontefice, mentre i progressisti che hanno perso la fede non frequentano più le chiese e i luoghi religiosi perché li hanno sostituiti con i nuovi templi della secolarizzazione: cinema, stadi sportivi, spiagge e supermercati.
In Germania il Papa non ha schivato il confronto con “Noi siamo Chiesa”, il più rumoroso movimento di contestazione ecclesiale, con epicentro nei Paesi di lingua tedesca.
Nel discorso a braccio rivolto il 24 settembre ai seminaristi di Friburgo, Benedetto XVI ha rovesciato il significato eversivo delle parole “Noi siamo Chiesa”, affermando tra l’altro: «Fa parte della fede il “tu” del prossimo, e fa parte della fede il “noi”», ma occorre «guardare oltre il “noi” concreto e limitato al grande “noi” della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Quando diciamo: “Noi siamo Chiesa”, sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il “noi” è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il “noi” è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli apostoli e contro i santi: ciò sarebbe una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!».
La Chiesa, ricorda il Papa, non è costituita dai gruppi di base che così si autodefiniscono, e neppure dalla Autorità docente, che ha il compito di insegnare e guidare i fedeli; essa è una comunità più vasta, composta da coloro che sono uniti dalla stessa fede, dallo stesso culto e dai medesimi Pastori.
Ma questa grande Chiesa, di cui ognuno di noi è membro, non è solo quella di oggi e non è quella della maggioranza dei vescovi e dei fedeli, perché il criterio che la definisce non è né l’attualità né la maggioranza, ma ciò che è stato insegnato e creduto in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Il Papa non usa il termine Tradizione ma il suo discorso rende implicito che la Tradizione è la regola ultima della fede della cattolica, soprattutto nei tempi di crisi come quello che attraversiamo.
In Germania il Papa ha parlato anche della necessità di “demondanizzare” la Chiesa, ovvero di svuotarla di quello spirito del mondo che da qualche decennio sembra pervaderla. La Chiesa, ha sottolineato Benedetto XVI, parlando il 25 settembre al Konzerthaus di Friburgo, «deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi dalla mondanità del mondo. Con ciò essa segue le parole di Gesù: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv. 17,16)».
La mondanizzazione della Chiesa non è altro che la sua secolarizzazione, ovvero la perdita della sacralità che è ad essa inerente. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II molti cattolici accettarono come un fatto positivo il processo di secolarizzazione del linguaggio e delle strutture ecclesiastiche. Ma se il Cristianesimo si subordina al secolarismo, esso deve relegare in secondo piano la sua dimensione soprannaturale e perde la sua anima e la sua identità.
Il regno di Cristo viene trasformato in regno mondano e ridotto a struttura di potere. La Chiesa deve opporsi al secolarismo e allo spirito del mondo, perché se Essa non cristianizza il mondo, il mondo secolarizza la Chiesa. Opporsi a questo processo di secolarizzazione, significa cristianizzare la società. Demondanizzare la Chiesa, come il Papa auspica, equivale a risacralizzarla.
Il movimento “Noi Siamo Chiesa”, nato nel 1995, si propone l’elezione democratica dei vescovi, gli ordini sacri alle donne, l’abbattimento della divisione tra clero e laicato, l’eliminazione dell’obbligo del celibato per il clero, una nuova morale della sessualità: in una parola la secolarizzazione della Chiesa, che essi considerano un positivo portato del Concilio Vaticano II.
Uno dei più noti aderenti del movimento è l’ottuagenario Giovanni Franzoni, ex prete ed ex abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura, uno dei pochissimi Padri conciliari ancora sopravvissuti (insieme, in Italia, al suo amico mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea).
In un discorso tenuto lo scorso 18 settembre a un convegno teologico madrileno, dopo aver ricostruito gli umori, le attese, le delusioni dei progressisti, durante e dopo l’assise conciliare, Franzoni giunge a questa conclusione: «Volendo ora sintetizzare, descriverei così il nodo del contrasto che grava sulla Chiesa cattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del Concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili».
Per Franzoni dunque, come per tutti i progressisti, la luce che guida il processo di secolarizzazione della Chiesa, e la sua rottura con la Tradizione, è il Concilio Vaticano II. La strada suggerita da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è quella, opposta, della risacralizzazione della Chiesa e della società, reinterpretando il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione.
(RC n. 69 - Novembre 2011)
Il fatto che l’appello alla disobbedienza dei movimenti progressisti sia clamorosamente fallito non significa naturalmente che i disobbedienti non ci siano e che non siano presenti nelle parrocchie, nei seminari e nella stessa Conferenza Episcopale Tedesca. Però, se il sostegno mediatico è vasto, l’appoggio popolare è per essi minimo.
La ragione di questa mancanza di consenso del progressismo ecclesiale è legata alla natura stessa del fenomeno. I progressisti non invitano solo alla disobbedienza nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche: essi seminano dubbi, relativismo, indifferenza religiosa. Seguendo i loro appelli, dalla “fede adulta” si passa rapidamente alla perdita della fede stessa.
Le parrocchie dei progressisti si svuotano e spesso gli stessi sacerdoti novatori le abbandonano, annunciando magari il matrimonio e il loro rientro nella vita civile. Al contrario, i luoghi in cui si celebra la liturgia tradizionale e si predica la fede e la morale di sempre sono gremiti di fedeli e sono spesso vivai di vocazioni.
I giovani che ad agosto affollavano le piazze di Madrid, pur senza essere “tradizionalisti”, erano attratti dalla Tradizione della Chiesa, impersonata dal Romano Pontefice, mentre i progressisti che hanno perso la fede non frequentano più le chiese e i luoghi religiosi perché li hanno sostituiti con i nuovi templi della secolarizzazione: cinema, stadi sportivi, spiagge e supermercati.
In Germania il Papa non ha schivato il confronto con “Noi siamo Chiesa”, il più rumoroso movimento di contestazione ecclesiale, con epicentro nei Paesi di lingua tedesca.
Nel discorso a braccio rivolto il 24 settembre ai seminaristi di Friburgo, Benedetto XVI ha rovesciato il significato eversivo delle parole “Noi siamo Chiesa”, affermando tra l’altro: «Fa parte della fede il “tu” del prossimo, e fa parte della fede il “noi”», ma occorre «guardare oltre il “noi” concreto e limitato al grande “noi” della Chiesa di ogni luogo e di ogni tempo, per non fare di noi stessi il criterio assoluto. Quando diciamo: “Noi siamo Chiesa”, sì, è vero: siamo noi, non qualunque persona. Ma il “noi” è più ampio del gruppo che lo sta dicendo. Il “noi” è l’intera comunità dei fedeli, di oggi e di tutti i luoghi e tutti i tempi. E dico poi sempre: nella comunità dei fedeli, sì, lì esiste, per così dire, il giudizio della maggioranza di fatto, ma non può mai esserci una maggioranza contro gli apostoli e contro i santi: ciò sarebbe una falsa maggioranza. Noi siamo Chiesa: siamolo! Siamolo proprio nell’aprirci e nell’andare al di là di noi stessi e nell’esserlo insieme con gli altri!».
La Chiesa, ricorda il Papa, non è costituita dai gruppi di base che così si autodefiniscono, e neppure dalla Autorità docente, che ha il compito di insegnare e guidare i fedeli; essa è una comunità più vasta, composta da coloro che sono uniti dalla stessa fede, dallo stesso culto e dai medesimi Pastori.
Ma questa grande Chiesa, di cui ognuno di noi è membro, non è solo quella di oggi e non è quella della maggioranza dei vescovi e dei fedeli, perché il criterio che la definisce non è né l’attualità né la maggioranza, ma ciò che è stato insegnato e creduto in tutti i luoghi e in tutti i tempi.
Il Papa non usa il termine Tradizione ma il suo discorso rende implicito che la Tradizione è la regola ultima della fede della cattolica, soprattutto nei tempi di crisi come quello che attraversiamo.
In Germania il Papa ha parlato anche della necessità di “demondanizzare” la Chiesa, ovvero di svuotarla di quello spirito del mondo che da qualche decennio sembra pervaderla. La Chiesa, ha sottolineato Benedetto XVI, parlando il 25 settembre al Konzerthaus di Friburgo, «deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi dalla mondanità del mondo. Con ciò essa segue le parole di Gesù: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv. 17,16)».
La mondanizzazione della Chiesa non è altro che la sua secolarizzazione, ovvero la perdita della sacralità che è ad essa inerente. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II molti cattolici accettarono come un fatto positivo il processo di secolarizzazione del linguaggio e delle strutture ecclesiastiche. Ma se il Cristianesimo si subordina al secolarismo, esso deve relegare in secondo piano la sua dimensione soprannaturale e perde la sua anima e la sua identità.
Il regno di Cristo viene trasformato in regno mondano e ridotto a struttura di potere. La Chiesa deve opporsi al secolarismo e allo spirito del mondo, perché se Essa non cristianizza il mondo, il mondo secolarizza la Chiesa. Opporsi a questo processo di secolarizzazione, significa cristianizzare la società. Demondanizzare la Chiesa, come il Papa auspica, equivale a risacralizzarla.
Il movimento “Noi Siamo Chiesa”, nato nel 1995, si propone l’elezione democratica dei vescovi, gli ordini sacri alle donne, l’abbattimento della divisione tra clero e laicato, l’eliminazione dell’obbligo del celibato per il clero, una nuova morale della sessualità: in una parola la secolarizzazione della Chiesa, che essi considerano un positivo portato del Concilio Vaticano II.
Uno dei più noti aderenti del movimento è l’ottuagenario Giovanni Franzoni, ex prete ed ex abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura, uno dei pochissimi Padri conciliari ancora sopravvissuti (insieme, in Italia, al suo amico mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea).
In un discorso tenuto lo scorso 18 settembre a un convegno teologico madrileno, dopo aver ricostruito gli umori, le attese, le delusioni dei progressisti, durante e dopo l’assise conciliare, Franzoni giunge a questa conclusione: «Volendo ora sintetizzare, descriverei così il nodo del contrasto che grava sulla Chiesa cattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del Concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili».
Per Franzoni dunque, come per tutti i progressisti, la luce che guida il processo di secolarizzazione della Chiesa, e la sua rottura con la Tradizione, è il Concilio Vaticano II. La strada suggerita da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è quella, opposta, della risacralizzazione della Chiesa e della società, reinterpretando il Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione.
(RC n. 69 - Novembre 2011)
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