ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 marzo 2012

ROMANO AMERIO - IOTA UNUM- LA PREPARAZIONE DEL CONCILIO

ROMANO AMERIO - IOTA UNUM- LA PREPARAZIONE DEL CONCILIO

La preparazione del Concilio.

1.1   Il Concilio Vaticano II. La preparazione  - 
Sembra che Pio XI abbia pensato a un Concilio che prendesse il Vaticano I e che lo stesso Pio XII abbia incaricato una commissione per verificarne l’opportunità, esprimendo questa parere negativo. Forse perché sembrò sufficiente l’Humani generis, forse si presentì l’aurea mediocrità che avrebbe investito l’assemblea e ne intuì l’incompatibilità col principio cattolico; forse per la tendenza del papa ad assumersi una totale responsabilità di governo non ravvisandosi all’epoca un gran peso nella reciproca cognizione e comunicazione tra i vescovi del mondo, non credendo che basti mettere insieme gli uomini perché si conoscano e conoscano su che cosa deliberare.
Il Vaticano II fu annunciato senza consultazione previa, o per carisma ordinario o straordinario di Giovanni XXIII.
Il papa costituì la Commissione centrale  preparatoria che esprimeva una generale omogeneità con l’intento del Papa. La parte opponente esplicò la sua azione nella fase preparatoria con forza minore dentro e maggiore fuori riservandosi di dispiegare l’azione principale nella fase plenaria dell’Assemblea.

1.2   Esito paradosso del Concilio – 
Il Vaticano II ebbe un esito difforme da quello cui preludeva il Concilio preparato, anzi la preparazione fu accantonata.
Non che mancassero vene di pensiero ammodernante negli schemi preparatori: ad esempio la flessibilità della liturgia era ristretta ai territori di missione senza accenno però alla creatività del celebrante; si trovava nello schema de sacramentis una proposta sull’assoluzione comunitaria, allargata a scapito della confessione individuale; proposte per l’ordinazione di uomini uxorati. Vi era già lo schema sula Liberta religiosa gran novità poi adottata.
Un votum particolare circa la talare diede adito al costume di vestire alla laicale dissimulando al differenza specifica dal prete al laico. Si affacciano nei lavori preparatori opinioni particolari di scuola teologica in senso più lassista.
Maggior influsso ebbe nell’assemblea plenaria, già manifestato nella preparazione, l’influsso di chi voleva innovare l’educazione del clero. La pedagogia secolare della Chiesa, concretata nel sistema dei seminari, implica doversi i preti formare secondo un principio peculiare corrispondente alla peculiarità ontologica e morale del loro stato consacrato. Nello schema si richiedeva, al contrario, una formazione del clero assimilata quanto più possibile alla formazione dei laici: perciò la ratio studiorum dei seminari doveva esemplarsi su quella degli Stati  e in generale la cultura del clero smettere ogni originalità rispetto ai laici. Il motivo sotteso di questa novazione che divenne il tema variamente modulato dal concilio fu che gli uomini di chiesa avrebbero dovuto conformarsi al mondo per esercitare sul mondo al loro operazione specifica di insegnamento e santificazione.
Circa le riunioni dei cristiani non cattolici si cominciò a sentire le voci di pareggiava i protestanti (senza gerarchia, quasi senza sacramenti, senza successione apostolica) agli ortodossi. Pio IX mandò a suo tempo lettere invitatarie ai patriarchi orientali ma non  riconobbe come Chiese le varie confessioni protestanti, considerate semplici associazioni e inviò un appello a tutti i protestanti non perché partecipassero al Concilio, ma perché tornassero all’unità da cui si erano scostati.
Un tratto che accomuna preparazione ed esito è il generale ottimismo che colora le diagnosi e pronostici della Commissione Centrale preparatoria nella sua minoranza. L’idea che l’aumento della cognizione scientifica della natura (cioè il regno della tecnica con cui si identifica la società moderna) affacciatosi nello schema de Ecclesia, sia parimenti il regno della dignità  della felicità umana fu impugnato dalla maggioranza che insisteva sul carattere adiaforo ( di indifferenza) dei progressi tecnici: questi estendono la possibilità della applicazione della moralità, ma non la perfezionano.
Eppure questo motivo della dominazione della terra per mezzo della tecnica verrà sacralizzato nei documenti definitivi investendo il pensiero postconciliare. L’elevazione della tecnica  a forza civilizzatrice  e moralizzatrice dell’uomo partoriva l’idea del progresso del mondo e congiuntamente un gran vento di ottimismo. L’ottimismo poi doveva presiedere a ogni prospettiva dell’assemblea plenaria e oscurare la visione dello stato reale del cattolicesimo.
Un padre conciliare della Commissione preparatoria criticò così questa descrizione fiorita del mondo e della Chiesa: ”Non approvo al descrizione  fatta qui con tanta esultanza dello stato presente della Chiesa, ispirato più alla speranza che alla verità. Perché infatti parli di aumento del fervore religioso, o in confronto a quale epoca intendi? Non si devono forse tenere in conto le statistiche secondo cui la fede cattolica, il culto divino e i pubblici costumi rovinano. Lo stato generale delle menti non è forse alieno dalla religione, essendo separati lo Stato dalla Chiesa, la filosofia dalla fede, l’indagine della scienza dalla riverenza verso il Creatore e lo sviluppo tecnico dall’ossequio dello sviluppo morale? Non soffre forse la Chiesa per la penuria di clero? Molte parti della santa Chiesa non sono forse conculcate dai Giganti e i Minotauri che insuperbiscono nel mondo? Oppure, come nella Cina , travagliate nello scisma? Le nostre missioni, piante e irrigate con tanto zelo e carità non le ha forse devastate il nemico?
L’ateismo non viene forse celebrato non più dai singoli, ma stabilito, cosa inaudita, per legge da intere nazioni? Il numero dei cattolici non decresce proporzionalmente ogni giorno, mentre si espandono smisuratamente maomettani e gentili? Eravamo un quarto del genere umano, simao ridotti a un quinto. E non è forse vero che i nostri costumi paganeggiano col divorzioo, l’aborto, l’eutanasia, la sodomia e Mammona?

1.3   Ancora l’esito paradosso del Concilio. Il Sinodo Romano – 
Oltre alla diversità dei documenti preparatori rispetto a quelli finali l’esito paradosso è provato da tre fatti: la fallacia rispetto alle previsioni del papa e dei preparatori del Concilio; l’inanità effettuale del Sinodo Romano indetto come anticipazione del Concilio; la nullificazione immediata della Veterum sapientia.
Il papa voleva un rinnovamento e un adeguamento funzionale della Chiesa, riteneva anche di averlo preparato e pensava di poterlo concludere entro pochi mesi.
Il rovesciamento delle previsioni nacque dall’essere abortito il Concilio quale era stato preparato.
Il Sinodo romano per Giovanni XXIII doveva essere la prefigurazione e una realizzazione anticipata del Concilio, quasi modellando sulla Chiesa particolare romana tutto l’orbe.
 Dai testi del Sinodo in tutti gli ordini della vita ecclesiale si propone una vigorosa restaurazione. La disciplina del clero era modellata sullo stampo tradizionale fondata sui due principi della peculiarità della persona consacrata e abilitata a esercitare le operazioni del Cristo e quindi inconfondibilmente separata da i laici; e dell’educazione ascetica.
Il Sinodo prescriveva una condotta differenziata dalle maniere laicali: abito ecclesiastico, sobrietà del vitto, astensione dai pubblici spettacoli, fuga dalla profanità. Della formazione culturale del clero se ne occupò un anno dopo con la Veterum sapientia. Il papa ordinò poi che si ripubblicasse il Catechismo Tridentino.
Non meno significativa la legislazione liturgica del Sinodo: si conferma solennemente l’uso del latino, si condanna ogni creatività del celebrante; si ribadisce la necessità di battezzare i bambini quanto prima, si prescrive il tabernacolo nella forma e nel sito tradizionali, si comanda il canto gregoriano, si sottopongono all’approvazione dell’Ordinario i nuovi canti popolari, si allontana dalle chiese ogni profanità. Il rigore antico del sacro viene ristabilito vietando alle donne l’accesso al presbiterio.
E così il Sinodo romano che doveva essere la prefigurazione e norma del Concilio precipitò in pochi anni nell’oblio. Per dare un saggio di tale nullificazione osserverò che, avendo ricercato, in Curie e archivi diocesani, i testi del Sinodo Romano non ve li trovai e dovetti estrarli da pubbliche biblioteche civili.

1.4   Ancora l’esito paradosso del Concilio. La “Veterum sapientia” – 
L’uso della lingua latina è, non metafisicamente, ma storicamente, connaturato alla Chiesa cattolica. Segno primario della continuità storica della Chiesa: siccome non vi è interno senza esterno e tale interno sorge, fluttua, s’innalza, s’abbassa con l’esterno, è sempre stata persuasione della Chiesa che l’esternità del latino servisse per preservare e conservare perpetuamente l’interno della Chiesa.
Con la Veterum sapientia Giovanni XXIII voleva operare un ritrarsi della Chiesa nei suoi principi, condizione questa, nella sua mente, per il suo rinnovarsi. L’importanza della Veterum sapientia non è annientata dall’oblio in cui è stata fatta cadere immediatamente, perché i valori non solo tali solo se accettati. 
L’enciclica è una affermazione di continuità: La cultura della Chiesa si continua dal mondo ellenico e romano: lettere della Chiesa dei primordi sono greche e latine. Ma poi vi è una continuità che travalica la cronologia dell’era cristiana e va a ripigliare tutta la sapienza pagana. Non possiamo lasciar cadere la dottrina che fu dei Padri Greci e latini richiamata dal Pontefice secondo cui vi fu continuità tra il mondo di pensiero di cui visse la sapienza antica e il modo di pensiero elaborato dopo la Rivelazione del Verbo incarnato.
Il pensiero cristiano elaborò il contenuto soprannaturalmente rivelato ma sposò anche il contenuto rivelato naturalmente. Così il mondo classico non è estraneo alla religione. Questa ha per essenza una sfera di verità irraggiungibile da lume naturale e sovrappone ad esso, ma include la sfera di ogni verità umanamente conseguibile. La cultura cristiana è dunque preparata e aspettata obbedienzialmente, come dissero i medievali, dalla sapienza antica perché nessuna verità, giustizia, bellezza le rimane estranea.
Nella Veterum sapientia si stabilisce che la ratio studiorum ecclesiastica riacquisti la propria originalità fondata sullo specifico homo clericus; che conseguentemente si risostanzi l’apprendimento delle discipline tradizionali, massime latino e greco,, che si espungano o accorcino le discipline del cursus laicale, che si stavano introducendo o ampliando. Prescrive che le scienze fondamentali nei seminari come la dogmatica e la morale si professino in latino con manuali latini. Chi tra gli insegnanti si mostrasse renitente alla latinità venisse rimosso. Veniva decretata l’erezione di un Istituto superiore di latinità nella Chiesa che avrebbe dovuto formare latinisti per tutta la cattolicità.
Ne è seguita invece la disintegrazione generale della latinità: occorreva quella forza pratica che si esercitò per esempio con la Riforma Gentile. La riforma degli studi ecclesiastici osteggiata da molti lati e con vari motivi fu annichilita. E il papa ordinò allora che non se ne esigesse l’esecuzione. In talune biografie su Giovanni XXIII se ne tace del tutto.
Resta il problema se la cancellazione sia la conseguenza di una mancanza di saggezza nel promulgarla o l’effetto di una mancanza di intrepidezza nell’esigerne l’esecuzione.

1.5   I fini del Concilio Vaticano I – 
Sino al Vaticano I l’assemblea ecumenica fu sempre convocata per tre scopi: causa fidei, causa unionis, causa reformationis. Nel Vaticano I alla causa fidei furono esplicitamente o implicitamente, ricondannati gli errori trafitti dal Sillabo; alla causa unionis fu riaffermata la necessità che l’unione derivasse da una ri-unione o accessione delle confessioni acattoliche alla Chiesa romana; per la causa reformationis fu rinnovato il principio della dipendenza di tuttti i fedeli dalla legge naturale e dalla legge divina possedute dalla Chiesa. A questa dipendenza pose il sigillo la definizione dogmatica dell’infallibilità didattica del papa.

1.6   I fini del Vaticano II – 
Le tre cause tradizionali sono presenti anche nel Concilio Vaticano II. In Presbyteriun ordinis,12 si afferma che il fine del Concilio è triplice: ”rinnovazione interna della Chiesa, la diffusione del Vangelo nel mondo e il colloqui col mondo (sembrerebbe de fide propaganda).    
Paolo VI nel discorso di apertura del secondo periodo articolo al Concilio quattro fini: il primo la presa di coscienza della Chiesa si se stessa da esplorarsi, ordinarsi ed esprimersi “non peraltro con definizioni dogmatiche” riguardo a “quel che la Chiesa pensa di sé”. Qui, si vede ombra di soggettivismo, perché non importa quel che la pensa di sé ma quello che è.
Il secondo fine è la riforma. Cioè lo sforzo di correggersi e riportarsi al suo divino modello, attraverso il risveglio di energie spirituali latenti in seno alla Chiesa: si tratta di attuare e perfezionare.
Il terzo è la causa unionis riguardo agli altri cristiani cui afferma solo la Chiesa cattolica può loro offrire la perfetta unità di Chiesa restando nella piena dottrina tradizionale affermando poi che “ i  movimenti recenti e tuttora in pieno sviluppo in seno alle comunità cristiane da noi separate dimostrano che l’unione non si può raggiungere che nell’identità di fede, nella partecipazione ai medesimi sacramenti e nell’armonia organica di un’unica direzione ecclesiastica”. Però suppone che l’aspirazione dei separati all’unità sia alla dogmatica, alla sacramentalità e alla autorità che stanno nella Chiesa cattolica. Invece i protestanti concepiscono l’unità come un mutuo avvicinamento di tutte le confessioni verso un unico centro non coincidente col centro della Chiesa romana.
Il quarto fine è “lanciare un ponte verso il mondo contemporaneo”, definendolo in senso missionario(la Chiesa “scopre e corrobora la sua vocazione missionaria”). Ma l’uso del termine sorpassa la realtà storica poiché la Chiesa propagò sempre il Vangelo e fu sempre animata dallo spirito missionario.
Il papa concepisce il dialogo col mondo come identico col servizio che la Chiesa deve prestare al mondo e talmente dilata l’idea del servizio, da dire espressamente che in Padri non sono convocati per trattare le cose loro, cioè della Chiesa, ma quelle del mondo. Il papa sembra qui tacere, per fugare sospetti di dominio, l’idea di conquista  sostituita da quella di servizio. Ma è parola del Cristo: Ego vici mundum.

1.7   Le aspettative attorno al Concilio – 
I fini sono della volontà, ma le previsioni sono del sentimento e del desiderio. Si inventò il termine trionfalismo per dipingere un supposto atteggiamento della Chiesa del passato, senza accorgersi che quella coloritura era contraddetta sia dai patimenti stessi della Chiesa sia dalla accusa di isolarsi difensivamente e di separarsi dal mondo. La colorazione generale del momento era speranzosa e ottimista. Speranza non in senso teologale, che ha la sua causa in una certezza soprannaturale ma storica e mondana, che si regge sulle congetture.
Paolo VI non nega la realtà fatta di ateismo, persecuzioni religiose, avidità di ricchezza e di piaceri …”dovremmo essere spaventati piuttosto che confortati, addolorati piuttosto che rallegrati”. Ma il papa adopera un condizionale e d’altronde seguiva i passi del discorso inaugurale di Giovanni XXIII. Ma nel discorso di Paolo VI l’ottimismo non solo colora la previsione ma s’impianta vigorosamente anche nel presente stato della Chiesa, mostrando quanto ampio fosse l’excursus del papale pensiero tra i suoi estremi: “Godiamo, fratelli: quando mai la Chiesa fu così consapevole di sé stessa, quando mai così felice e così concorde e così pronta all’adempimento della sua missione?”          .
Il 18 aprile Paolo VI affermava in un’omelia:”Nessun altro Concilio nella storia della Chiesa di Dio ha avuto proporzioni più ampie, lavori più assidui e tranquilli, temi più vari e più largamente interessanti”. Ma l’imponenza esteriore del Vaticano II grazie all’enorme apparato moderno di informazione, che SOLO MIRA A STAMPARE NEGLI ANIMI IMPRESSIONI, agitò largamente l’opinione mondiale e creò, ben più importante del Concilio reale, IL CONCILIO OPINATIVO. In un’epoca in cui le cose valgono quanto si riesce a persuadere che valgano il Concilio doveva necessariamente diventare un fenomeno di opinione.
Comparare un Concilio con un altro è pericoloso dovendosi precisare su quale aspetto lo si voglia comparare. Il Lateranense V (1512-1517) fu nullo quanto ad efficacia, ma  i decreti dogmatici troncarono il neoaristotelismo, anatemizzando i fautori dell’immortalità dell’anima. Solo il Tridentino pareggiò chiarificazione dottrinale ed efficacia pratica.       
E’ possibile però comparare tipo di Concilio a tipo di Concilio, e allora appare chiaro che il tipo dogmatico, che stabilisce la dottrina immutabile,  prevale sul tipo pastorale, dominato dalla storicità, decretando decreti passeggeri e riformabili. Nel Vaticano II la proposta di esporre prima la dottrina e poi la pastorale venne respinta. Nel Vaticano II non appare altro genere dogmatico che non sia duplicazione dei Concili precedenti.

1.8   Le previsioni del card. Montini. Suo minimismo – 
Il documento di riferimento è si trova in una pubblicazione dedicata all’Università Cattolica sul futuro Concilio: ”Il Concilio deve indicare la linea del relativismo cristiano, fin dove la religione cattolica deve essere ferrea custode di valori assoluti e fin dove può e deve piegarsi all’accostamento, alla connaturalità della vita umana quale storicamente si presenta (Oss. Rom. 8-9 ottobre 1962). Da questo discorsi si arguisce che il Concilio NON PREPARA UN’ESPANSIONE DEL CATTOLICESIMO MA LO PROPORZIONA IN MODO CHE SIA RIDOTTO AL MINIMO IL SUO SOPRANNATURALE E LA RELIGIONE SIA FATTA COMBACIARE AL MASSIMO COL MONDANO. Non può la Chiesa essere lievito che monti la massa, mutandone la base, ma piuttosto  SI FARA’ IMPREGNARE DAL MONDO PERCHE’ COSì IMPREGNATA IMPREGNERA’ IL MONDO. Una dichiarazione che sembra esigere uno stato di necessità a transigere col mondo. Il supposto è che l’uomo si debba accettare come è, mentre in realtà la religione  lo piglia sì come è, ma non lo accetta come è, perché egli è corrotto: la religione ha di mira come deve essere per risanarlo dalla corruzione e salvarlo.
Questa dichiarazione del ’62 la si può ricongiungere con quella paradossale del 18 febbraio ’76 quando affermò che: ”non dovremo temere un giorno d’essere forse in una minoranza,  non arrossiremo dell’impopolarità .. non faremo caso di essere dei vinti, se saremo testimoni della verità e della libertà dei figli di Dio”. La prospettiva di immiserimento e di inazione si respira ancora di più nella invocazione alle esequie per Aldo Moro: ”Un sentimento di pessimismo viene ad annientare tante speranze serene e a scuotere la nostra fiducia nella bontà del genere umano”. Qui geme l’uomo ma più ancora geme il Pontefice, prossimo alla linea dell’ombra, sopra il supposto che giace infranto tutto il pontificato suo. Giulio Andreotti ricorda che il Papa parlava “quasi rimproverando il Signore per quanto era accaduto”.

1.9 Le previsioni catastrofali - 
La dottrina di un cambiamento della concezione tanto della dottrina della creazione tanto di quella della salvezza apportata da Gesù fu abbracciata tanto allo stato di diluizione popolare, sia nelle forme di una serrata azione di gruppi che impressero al Concilio moti importanti. Sono i fautori dell’indirizzo catastrofale quelli che osano attribuire a Giovanni XXIII il disegno di “far saltare dal di dentro il monolitismo staliniano della Chiesa cattolica” (Corriere della sera, 21 aprile 1967). Essi sono i discepoli del teocosmologismo confusionale e poetico di Theilard de Chardin:”penso il grande fatto religioso attuale il risveglio di una Religione Nuova che fa, poco a poco, adorare il Mondo e che indispensabile all’umanità affinché continui a lavorare. E’ fondamentale che mostriamo il Cristianesimo come capace di divinizzare lo sforzo e l’opera naturali umane”. Il Monitorio del S. Uffizio contro le dottrine theilardiane sotto Giovanni XXIII era caduto in obsolescenza. Persuasi giustamente della irreformabilità essenziale della Chiesa, i novatori si propongono di spingere questa Chiesa oltre sé medesima, alla ricerca di un metacristianesimo (theilardismo), perché una religione rinnovata è una nuova religione.
Il cristianesimo per non morire dovrebbe attuare una mutazione nel senso genetico e teilhardiano. Ma per non morire la religione deve andare oltre se stessa, viene da dire che deve morire per non morire.

Ringrazio l'amico Piero Mainardi per aver riportato, in forma sintetica, importanti passaggi del libro di Romano Amerio, Iota Unum, e di avermi concesso di riportarli nel mio blog.  

Pubblicato da Daniele Sottosanti 

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