Prime ammissioni del maggiordomo papale recluso da due settimane
In
Vaticano vengono riferitii contatti e rapporti di amicizia del
maggiordomo papale Paolo Gabriele con officiali della Segreteria di
Stato. Ma anche con almeno un paio di cardinali di primissimo piano
nella Curia romana, con cui intratteneva molte conversazioni. Insomma, a
più persone faceva confidenze, magari anche su cosa accadeva
nell’Appartamento. E si tratta di tutti contatti su cui ora si concentra
l’attenzione sia degli inquirenti impegnati nell’indagine penale, sia
della Commissione incaricata dal Papa e presieduta dal cardinale
giurista Julian Herranz, non a caso composta da porporati, gli unici
autorizzati a indagare sui pari grado.
Ad accorgersi che qualcosa non
funzionava è stato il segretario personale del Papa, Gaenswein, il
quale, prima che Gabriele venisse arrestato, ha avuto con lui un animato
colloquio, essendosi accorto che dal suo tavolo mancavano carte che
erano lì poco prima. E tra i documenti trafugati (trovati in gran
quantità in casa di Gabriele) vi sarebbero non poche carte gestite
proprio da don Georg. Contesta invece l’accusa di ricettazione che il
Vaticano ha ventilato verso chi ha pubblicato i documenti riservati il
giornalista Gianluigi Nuzzi, autore del libro «Sua Santità». «Si
presuppone che le fonti avrebbero rubato i documenti originali e che
questi siano stati passati ai giornalisti. Tutti i documenti li ho
ricevuti in fotocopia. Gli originali devono essere in Vaticano. La
cessione di fotocopie non è reato». In Curia non sfugge che i documenti
del libro vanno dal 2006 (anno in cui Gabriele prende il posto di Gugel)
a dicembre scorso. «Dopo la condanna, scontata ma mite, e il quasi
certo perdono papale, scatterà il licenziamento», si osserva. Per ora
Paolo Gabriele resta in cella. Sua moglie e i tre figli abitano lì a
pochi metri dalla Gendarmeria dov’è è recluso da due settimane. Nella
stessa palazzina di via Sant’Egidio vivono la governante di Ratzinger,
Ingrid Stampa e il ghostwriter papale monsignor Giampiero Gloder. Un
gendarme all’ingresso vigila sulla loro privacy. La moglie del
maggiordomo esprime il dolore per quel mercoledì di due settimane fa in
cui «lo hanno portato via alle quattro di pomeriggio, da allora è lì in
caserma e chissà quando uscirà». «E’ solo il primo dei numerosi
interrogatori», spiegano in Segreteria di Stato a poche ore
dall’apertura dell’istruttoria formale contro l’aiutante di camera del
Pontefice. E aggiungono: «Con tutti i documenti riservati che aveva in
casa, la sua posizione è pesante». «Il Papa può graziarlo in qualunque
momento», specifica padre Federico Lombardi. In Vaticano si applica il
codice di procedura penale del 1913 e a «Paoletto» è stata sollevata
l’imputazione di furto aggravato in quanto reato commesso da persona che
frequentava abitualmente l’abitazione del derubato (il Papa). Cioè,
abuso di fiducia. Dunque, collabora con i magistrati l’aiutante di
camera sospettato di essere il «corvo». Un interrogatorio lungo, durato
diverse ore, in due tranche (mattina e pomeriggio). Per l’accusa di
furto aggravato, in caso di condanna, rischia una pena da uno a sei
anni. In Curia lo descrivono come un uomo che, pur nella sua posizione
di membro della «famiglia pontificia», parlava tanto, aveva molti
contatti e interlocutori dentro e fuori i confini della Città leonina:
parlava con monsignori, cardinali, amici fuori dal Vaticano, tra cui
anche giornalisti. Raccontava cose riguardanti il Papa, si incontrava
anche nei bar all’esterno del Vaticano, e in più si era abituato, dicono
nelle Sacre Stanze, a fare fotocopie di tutto, di tutto quello che
passava, dialogava con più persone. Paolo Gabriele, il maggiordomo
infedele del Papa rischia da 1 a 8 anni di carcere per furto aggravato:
la pena e’ infatti da 1 a 6 anni con una sola aggravante, da 2 a 8 se le
aggravanti contstate saranno due. Lo ha precisato il giudice vaticano
Paolo Papanti Pelletier, ordinario di diritto civile all’Universita’ di
Tor Vergata, che e’ uno dei tre membri del Tribunale dello Stato della
Citta’ del Vaticano che sara’ chiamato a giudicare l’imputato -
attualmente agli arresti - in caso di un eventuale rinvio a giudizio. Se
saranno contestati altri reati la pena potra’ essere leggermente
aumentata, ma ad esempio non piu’ di un anno sara’ aggiunto per il reato
di rivelazione di "segreto politico". "In base al Trattato Lateranense
del 1929 che ha creato lo Stato della Citta’ del Vaticano (esteso 0,44
chilometri quadrati), Papa Pio XI - ha spiegato il magistrato in un
briefing tenuto oggi nella Sala Stampa della Santa Sede - doveva dotarsi
di uno strumento giuridico completo: per questo furono recepiti il
codice penale Zanardelli del 1889, allora in vigore, e il codice di
procedura penale Finocchiaro-Aprile del 1913: si tratta di testi
legislativi di stampo liberale, con forti garanzie per gli imputati e
pene molto miti". E’ stato poi il Codice Rocco - ha ricordato Papanti - a
creare altri reati politici e contro al sicurezza dello Stato e ad
aggravare le pene per quelli previsti, ma qui - ha scandito - vige il
principio della legalita’: se un fatto non e’ previsto come reato dalle
leggi, allora non puo’ esserci condanna". Senza entrare nello specifico
dei procedimenti in corso, riguardo ai quali sara’ presumibilmente
chiamato a far parte del Collegio giudicante, Papanti ha dunque molto
alleggerito la situazione di Gabriele, chiarendo che i reati ipotizzati
dalla stampa con pene fino a 30 anni in Vaticano non esistono. E,
dunque, Gabriele paghera’ pochissimo. Quanto a un possibile perdono del
Papa, Papanti ha ammesso che "puo’ intervenire in qualunque momento,
anche nella fase istruttoria, ma i precedenti sono che il perdono e’
arrivato dopo la condanna definitiva, che arrivera’ con la sentenza di
terzo grado". Quando? "Per la mia esperienza di sei anni di Tribunale,
posso dire - ha risposto il giudice - che nessuna causa ha superato i 2
anni mezzo di lunghezza nei primi due gradi e in Cassazione non e’
previsto un nuovo processo ma solo un giudizio di legittimita’, valuta
cioe’ se sentenza la di appello ha commesso errore di diritto".
Attualmente, ha aggiunto, "si e’ gia’ svolta un istruttoria sommaria,
condotta prima della nomina degli avvocati dal promotore di giustizia,
professor Nicola Picardi, con perquisizioni e almeno un interrogatorio
dell’imputato. Ora l’istruttoria formale e’ condotta dal giudice unico,
professor Paolo Bonnet, che dirige indagini complesse, interroga,
dispone perquisizioni e acquisisce documenti. Poi o proscioglie, se
soggetto imputato si rivela estraneo ai fatti, o rinvia con sentenza se
emergono fondati indizi". "Ma questo eventuale rinvio - ha tenuto a
precisare il giudice vaticano - non e’ una condanna, dice solo che il
caso presenta sufficienti indizi di colpevolezza". "L’istruttoria, sia
sommaria che formale, non e’ pubblica - ha spiegato - a garanzia
dell’imputato, del quale se non fosse trapelato non avremmo nemmeno
fatto il nome, e non e’ pubblica anche a garanzia di altri soggetti che
possono essere coinvolti ma poi non rinviati e che non sarebbe
eticamente giusto dare in pasto all’opinione pubblica". Quanto alla
durata della carcerazione preventiva, il professor Papanti ha chiarito.
"50 giorni che possono essere raddoppiati se il caso e’ complesso, e
dopo il rinvio puo’ durare tre anni, ma non ci si arrivera’ mai, perche’
i giudici vaticani non hanno l’aggravio di lavoro che affligge i
tribunali italiani". Riguardo al problema delle aggravanti, il
magistrato ha spiegato che "non esiste il concorso", ma e’ un’aggravante
il fatto che un reato sia commesso ai danni di chi ti da’ fiducia.
Invece il reato di rivelazione di segreti politici prevede da 1 a 3 anni
(ma si applica la pena minima nel caso di somma di piu’ reati). Per
eventuali "complici" di Gabriele esiste invece il reato di
"ricettazione" e di "offesa al Sovrano" che puo’ essere a mezzo stampa.
Dove Gabriele scontera’ la pena, se non interverra’ il perdono? "Non
certo - ha risposto Papanti - in una delle camere di sicurezza della
caserma dei Gendarmi:stanze di 3,5 x 4 metri, con scrittoio, letto e
senza tv". E cosi’ il maggiordomo infedele dovrebbe rinunciare
all’ottimo vitto della caserma e alla possibilita’ di essere
accompagnato a messa in una cappella esterna, per scontare invece la
pena in un carcere italiano. "In quel caso - ha chiarito Papanti -
sarebbe preso in consegna dalla Polizia Penitenziaria e portato in un
carcere italiano: la Gendarmeria, infatti, non puo’ svolgere nessun
compito di polizia sul territorio italiano, e infatti non e’ vero che li
abbia svolti in questo caso". "Per quanto attiene alla collaborazione
con la giustizia italiana, e’ prevista dal Trattato, ma deve essere
richiesta per rogatoria", ha concluso. E il portavoce padre Lombardi ha
ripetuto: "finora non c’e state nessuna richiesta di nessun tipo di
collaborazione alle indagini".
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.