Parliamoci
chiaro. La Messa di Paolo VI è valida e tutti ci andiamo, volenti o
nolenti. Resta il fatto però che quella antica è tutt'altra cosa... E
non parlo di motivi estetici, ma prettamente spirituali! C'è poco da
fare. Girate la frittata come volete, ma la Messa di S. Pio V ti fa entrare a contatto col Crocifisso. Nella Messa nuova, invece, per capire di stare sotto la Croce ci vuole davvero tanta fede.
Ora,
tra le riforme del Concilio Vaticano II, quella liturgica è senza
dubbio la più discussa. I cambiamenti avvenuti sembrano in effetti
costituire una vera e propria rottura con le norme fondamentali della
liturgia romana e dello stesso diritto liturgico. Ma cosa è accaduto
realmente? A questa domanda cerca di rispondere il giovane Daniele Nigro nel suo I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II (Sugarco Edizioni, pp. 136, € 15, prefazione del card. Raymond Leo Burke).
In
questi ultimi 50 anni le norme liturgiche sono state disattese e la
vigilanza delle autorità ecclesiastiche è quasi del tutto mancata. Molte
formule della tradizione da fisse sono diventate modificabili, la
musica liturgica è scaduta in canzonette troppe volte ridicole,
l’architettura sacra ha prodotto degli edifici orribili e per nulla
adatti alla preghiera, il latino è stato abbandonato, nelle chiese sono
scomparse le balaustre e gli altari sono stati trasformati in mense. I ministri di Dio, poi, si sono spesso macchiati di gravi abusi. “Dopo
il Concilio non si è trattato più di mitigare la rigidità della legge,
ma si è arrivati a minimizzarla al punto che risulta inutile porre il
problema dell’osservanza, tanto meno quello della sua forza vincolante;
in tal modo l’uso della liturgia ha ceduto il passo all’abuso”
(p. 108). Eppure da sempre la Chiesa ha fissato delle regole ben
precise, racchiuse nelle rubriche, per normare quello che è il suo culto
pubblico ufficiale, la cui sacralità e santità “comporta un mistero che chiede di essere avvicinato con la massima riverenza” (p. 50). Come diceva San Roberto Bellarmino, infatti, “il fine precipuo dei divini uffici non è l’istruzione o la consolazione del popolo, ma il culto dovuto a Dio dalla Chiesa” (p. 31). Ora, visto che “l’abuso
liturgico implica gravi responsabilità personali e sociali, perché può
trasformare un mezzo salvifico (…) in una privazione o diminuzione di
grazia” (p. 117), è più che mai necessario che i laici facciano sentire la propria voce, a norma del diritto canonico. È un dovere del fedele segnalare gli scempi, “pena l’omissione e in un certo senso un concorso di colpa” (p. 118).
Secondo Nigro, la crisi dello ius liturgicum non è frutto solo di una cattiva interpretazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium. “Se
si ammette che il principio dello sperimentalismo ha dato luogo alla
malintesa creatività (…); che quello dell’adattamento ha dato luogo
all’inculturazione selvaggia o meno (…); che quello dell’antirubricismo
ha dato origine agli abusi e ai reati, si dovrà ammettere pure che essi
sono i punti deboli o almeno ambigui insiti nella Costituzione liturgica
e soprattutto nella riforma conciliare” (pp. 112-113). Il semplice fatto che ad essa siano seguite numerose istruzioni chiarificatrici (tra cui la Redemptionis Sacramentum, del 2004, che però nessuno si è mai preso la briga di far rispettare) significa effettivamente che qualcosa non va. Purtroppo si è cercato di rimediare troppo tardi! Un’ulteriore
correzione di rotta, volta a ribadire il principio della continuità
dottrinale e liturgica con la tradizione, è venuta da Benedetto XVI col
Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, che ha ridato
finalmente piena cittadinanza nella Chiesa alla messa in rito antico.
Ma anche in questo caso, mancando seri provvedimenti autoritativi e
disciplinari, l’esempio e l’insegnamento liturgico del Papa risultano
ignorati e in molti casi addirittura osteggiati. È vero che oggi la liturgia è tornata al centro del dibattito. Ma
è pur vero che della cosiddetta “riforma della riforma”, la cui
realizzazione appare assai remota, in tanti parlano senza però far
capire in cosa dovrebbe consistere. Quale progetto di preciso si
vuol portare avanti? Forse non sarebbe male tornare al Messale del 1965,
accettato anche da mons. Lefebvre… Ma questa è, ovviamente, un’opinione
del tutto personale su cui si potrebbe aprire una discussione con chi
ne sa più del sottoscritto in campo liturgico.
di Federico Catani
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.