ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 9 febbraio 2013

Ali Agca conferma la sua verità sui mandanti dell'attentato al Papa


Ali Agca
ALI AGCA

Per il turco, che afferma di essersi avvicinato a Cristo, il Vaticano ha paura di questa ricostruzione


Alì Agca, perché solo ora indica l'Iran come mandante dell'attentato a Karol Wojtyla?

"Parlo solo ora perché, dopo lunghi anni di ricerca spirituale e di meditazione, ho scoperto che Cristo è l'unico re eterno del genere umano. Questa certezza spirituale mi ha spinto ad abbandonare l'ideologia fanatica dell'Iran perché il mondo ha bisogno solo di Crito per poter uscire dall'infernale crisi internazionale che sta rovinando il genere umano in ogni campo: politico, economico, sociale, morale, culturale. Anche la religione islamica sta vivendo una terribile crisi finale.Il popolo islamico può uscire dal suo inferno attuale soltanto accettando Gesù come unica guida umana, spirituale e morale".


Perché è stato scelto proprio lei per uccidere Giovanni Paolo II?

"L'Iran mi ha scelto perché avevo un legame precedente con l'ayatollah Alì Ekber Mehdi Pur, che era il rappresentante di Khomeini in Turchia. Inoltre la mia lettera con la minaccia di uccidere il Papa era già stata pubblicata sui giornali il 27 novembre 1979 (anniversario della crociata contro il mondo islamico proclamata da Urbano II). In essa qualificavo Karol Wojtyla come il capo dei crociati da uccidere. Khomeini vide in questa coincidenza un segno della volontà divina e fu uno dei motivi per cui mi scelse. Sono dati misteriosi che non si possono valutare secondo una logica scientifico-razionale. Del resto anche Karol Wojtyla dopo l'attentato andò a Fatima, il 13 maggio 1982, per inginocchiarsi davanti alla statua della Madonna parlando di coincidenze nel piano divino".

Che legame c'era fra i lupi grigi e Islam sciita?

"Durante la rivoluzione iraniana, non esisteva alcun settarismo e quasi tutti i musulmani consideravano Khomeini il capo mondiale dell'Islam. Iran e Lupi Grigi erano accomunati anche da un profondo odio contro la civiltà occidentale (ebraica e cristiana) e contro il comunismo.

Perché il Vaticano ha smentito la sua verità sul mandante iraniano?

"Il Vaticano teme questa terribile verità per le sue conseguenze imprevedibili sul dialogo interreligioso in corso nel mondo. Anch'io sono un sostenitore del dialogo e della fratellanza tra tutti (cristiani, musulmani, ebrei,non credenti), tuttavia il dialogo va edificato sulla verità. Oggi il regime di Teheran è avversato da almeno  il 90% del popolo iraniano. Mi ha sorpreso,inoltre, che nel 2007 Benedetto XVI abbia incontrato il re dell'Arabia Saudita senza chiedergli libertà religiosa per tutti. I regimi tirannici (come quelli iraniano e saudita) vanno abbattuti pacificamente anche per il bene del popolo musulmano  

Nella sua autobiografia "Mi avevano promesso il paradiso", lei sostiene di aver distrutto le lettere ricevute dall'allora cardinale Joseph Ratzinger. Perchè?

"Nei venti anni di carcere trascorsi in Italia, ho ricevuto diverse lettere da eminenti personalità vaticane, inclusi i cardinali Angelo Sodano e Joseph Ratzinger e il portavoce papale Joaquin Navarro-Valls. Dopo un po' di tempo ho ditrutto quelle lettere, però in un incontro nel carcere di Ancona al mio avvocato Ferdinando Imposimato mostrai alcune lettere a me indirizzate dal cardinale Ratzinger nelle quali si parlava del segreto di Fatima. E' una circostanza già confermata ai giornali dallo stesso Imposimato. Inoltre il portavoce vaticano dice che il segretario di Wojtyla, monsignor Dziwisz avrebbe ascoltato la mia conversazione in carcere il 27 dicembre 1983 con il Papa, ma questo è assolutamente falso. Dziwisz, infatti, si trovava accanto ai giornalisti che stavano osservando l'incontro tra me e il Papa". 

Perché ha pubblicato le sue memorie in Italia e non in Turchia?

"Perché la mia autobiografia l'ho scritta in italiano. Ormai conosco la lingua italiana meglio di quella turca, tanto che non sarei in grado di tradurre perfettamente il libro in turco. Al portavoce vaticano che si chiede perché dobbiamo credere ad Alì Agca, rispondo: perché allora dovremmo credere al vaticano quando uan lettera ufficiale di un consigliere vaticano indica a papa Ratzinger di non parlare mai della scomparsa di Emanuela Orlandi? E perché dobbiamo credere al Vaticano quando utilizza per la carità solo il 20% dell'otto per mille, mentre Bill Gates cinquanta miliardi di dollari e sono soldi interamente suoi? Inoltre il portavoce vaticano ha dichiarato che l'editore Chiarelettere spera dal mio libro un secondo successo di vendite dopo il libro sulel carte segrete del Papa, pubblicato dallo stesso editore. Dunque il Vaticano cerca di affondare il mio libro sia per salvare il dialogo intereligioso nel mondo sia per rancore verso il mio editore e verso di me".
GIACOMO GALEAZZIROMA


Attentato a Papa Giovanni Paolo II, Ali Agca: “Sono cresciuto nell’odio”

Pubblichiamo stralci dal libro del cittadino turco che il 13 maggio 1981 ferì Woityla, “Mi avevano promesso il paradiso, la mia vita e la verità sull’attentato al papa”, edito da Chiarelettere in libreria dal 1 febbraio. L’autore sostiene che i motivi di quell’attacco sono attuali e che l’intero occidente è ancora in pericolo

Attentato a Papa Giovanni Paolo II, Ali Agca: “Sono cresciuto nell’odio”
1983. L’inaspettata visita del pontefice. Certo, è vero, avevo partecipato anch’io all’organizzazione dell’omicidio. Ma non avevo sparato. Un uomo ci può mettere anni a capire di aver sbagliato. La conversione, chiamiamola pure così, può essere molto lenta, una goccia che cadendo sempre nello stesso punto riesce a intaccare anche la scorza più dura. Anche per me è stato un cambiamento di sguardo e di prospettiva lento, maturato nei lunghi anni in cui sono stato costretto alla detenzione. Eppure questo cambiamento ha avuto un inizio. C’è stato un giorno, un’ora, perfino un minuto preciso nel quale la metamorfosi è cominciata. Il 27 dicembre 1983 uno spillo bucò quasi impercettibilmente l’enorme massa di odio che avevo dentro. L’odio, quell’odio cieco che chiede solo morte, ha impiegato poi anni ad andarsene del tutto. Eppure il miracolo è stato possibile, e lo è stato grazie a quella puntura, a quello spillo invisibile. Quel giorno, mentre ero rinchiuso in una cella d’isolamento del carcere di Rebibbia, dopo il tentato omicidio a Giovanni Paolo II, un secondino ha aperto lo spioncino della porta blindata e si è rivolto a me. “Mehmet Ali Agca, preparati. Una persona ha chiesto di vederti”. Non conosco nessuno in Italia. Nessuno ha mai chiesto di me. “Chi è?”, chiedo incredulo. “È lui, Ali”. “Lui chi?”.
1980. “L’Iran e Khomeini mi attendono”. La bella Igdir mi accoglie fra i suoi antichi palazzi. Dopo ore di autostop e passaggi improvvisati arrivo in una delle città turche più a oriente, a un passo dal confine armeno e iraniano, cinquanta chilometri a nord di Dogubeyazit, in mezzo a una vasta pianura dove crescono inaspettatamente copiosi frutteti e campi di cotone. È qui che cerco ristoro prima di fare ingresso nel paese di Khomeini. Igdir è importante per la Turchia ma anche per il mondo giudaico. È l’Antico Testamento a riportare che, quando le acque del Diluvio si ritirarono, Noè e la sua famiglia, scendendo dal monte Agri (Ararat), giunsero nella sua fertile vallata. Qui la discendenza di Noè mise radici, stabilendosi a sud e a ovest, lungo i fiumi Dicle (Tigri) e Firat (Eufrate), dando vita a quella che viene chiamata la seconda generazione umana. Vero o falso che sia il testo sacro di coloro che per me sono ancora gli infedeli giudei e cristiani, resta il fatto che è da questa pianura che si gode la visuale più bella del monte Agri. E ma la godo, questa vista, prima di fare il grande salto. Queste montagne sanno di storia. Queste valli profumano di sacro, di cose antiche gradite a Dio. E io mi sento immerso in questi luoghi, come un figlio prediletto designato a un grande compito. Aspetto che l’Iran mi mandi una guida, qualcuno di fidato per attraversare il confine. So che Mehdi Pur è persona influente. Senza dubbio ha già comunicato a chi di dovere il mio arrivo. (…) Dopo venti giorni finalmente arrivo a Teheran. È ormai la fine di gennaio. Vengo ospitato in una lussuosa villa a nord della città, in un quartiere d’élite che prima dell’arrivo di Khomeini era abitato da sporchi burocrati statali. Dopo qualche giorno di gran gozzovigliare, cibo, bere e tanto riposo, fa il suo ingresso nella mia villa l’uomo che addirittura più dell’imam Mehdi Pursi rivelerà essere importante e decisivo per la mia esistenza: Mohsen Rezai. Ha solo 25 anni. È il pupillo dell’ayatollah Khomeini. (…)
di Mehmet Ali Agca dal libro: “Mi avevano promesso il paradiso” edito da Chiarelettere

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.