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sabato 30 marzo 2013

Già stanco, prima del programma preparato?


“Dossetti, un’eredità per la nuova epoca di papa Francesco”

Intervista con lo storico del cristianesimo Alberto Melloni: «Dalla collegialità alla riforma della Curia, Una testimonianza rimasta lettera morta»

BRUNO QUARANTATORINO
Dossetti l’indicibile, a un secolo dalla nascita, a quasi diciassette dalla scomparsa.
Sembra brillare nel titolo del nuovo studio di Alberto Melloni, espunta la «e» ( Dossetti e l’indicibile ), la luce fioca che grava sul monaco-politico, tra i padri della Costituzione. Sia la Chiesa, sia la città dell’uomo si ostinano a nutrire nei confronti del «professorino» una diffidenza financo radicale, confessata, comunque, più nel recinto sacro che in quello laico: dal cardinal Biffi al cardinal Re, di riserva in riserva mai sopita, semmai enfiata (il ruolo nel Vaticano II, la visione politica, la statura teologica...).

Si intona soprattutto a Alberto Melloni, ordinario di Storia del Cristianesimo e direttore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, la definizione dello storico che diede Fichte: «profeta del passato». In primis il passato profetico che è il Concilio (ha lavorato alla Storia diretta da Giuseppe Alberigo) e il suo mentore, Roncalli, un’epoca non di rado ignorata, sottovalutata, fraintesa.
Giuseppe Dossetti
GIUSEPPE DOSSETTI

La sua frequentazione di Dossetti. «Nato a Genova, Dossetti, come me, si è formato a Reggio Emilia. Dapprima ho assistito alle messe che celebrava a Monteveglio. Lo conoscerò di persona quando Alberigo mi propose di lavorare a Bologna, nel Centro dove ci troviamo. La fedeltà alla Scrittura, la capacità di leggere la Storia, la ricerca che consente di interpretare e di dominare il percorso storico: ecco la lezione del “professorino” in talare».

Dossetti e la Costituente. «Si oppose a chi, come Pertini, voleva identificare la Costituente con i Cln. Fautore della via democratica all’Assemblea che scriverà la Carta: i suoi membri eletti dal popolo. Nella commissione dei 75 risalterà la sua impronta ermeneutica: i principi fondamentali come chiave di lettura della Costituzione».

Gli articoli più dossettiani? 
«L’art. 1, la Repubblica fondata sul lavoro; l’art. 8 sulla libertà religiosa, l’art. 11 “L’Italia ripudia la guerra...”, ripudiare, non rifiutare, ripudiare è un verbo che appartiene al suo vocabolario di canonista; l’art. 7, i Patti Lateranensi, corollario di una riflessione sulla storia unitaria, un antidoto contro le tentazioni antirisorgimentali d’Oltretevere». 

Il 18 aprile del 1948. Di lì a po­ co,«Dossetti e l’indicibile»
«Il quaderno scomparso - e ritrovato - di “Cronache sociali”, la rivista di Dossetti. Vi si rivendicava l’autonomia dei cattolici in politica e la liceità di un partito di democratici, nel quale potessero militare anche i cattolici».

Che cosa lo ispirò? 
«Una lettura altra, rispetto all’establishment democristiano ed ecclesiale, del ’48, pre e post. Pre: nei Comitati civici di Gedda, Dossetti intravedeva la morte della Dc come partito di centro che guarda sinistra, secondo la definizione degasperiana, da De Gasperi coniata per trattenere Dossetti. Post: secondo Dossetti, il voto del 18 aprile aveva annientato il fascino del comunismo. Di qui lo spazio per una diversa stagione politica, ad hoc per il partito che immaginava». 

Che ricorda il Partito demo­ cratico di salvatorelliana me­ moria. «Per esempio». 

E invece sulla paura del co­ munismo camperà, sino ad oggi, una certa Italia. Uno spauracchio miccia del suc­ cesso berlusconiano nel ’94, dal ’94. Allora Dossetti so­ stenne: «E questo mi sembra il momento di dire che c’è un’incubazione fascista». 

«Dossetti, gobettianamente, riteneva il fascismo l’autobiografia della nazione. Non riconducibile a una specifica epoca. Ma una costante della vita italiana, ancorché, di volta in volta, variamente rivestito».

 Dossetti si dimette nel 1952 da deputato. Sarà ordinato sacerdote nel 1959.«Lascia la Camera consapevole che l’azione politica, senza una cultura religiosa appropriata, è destinata a fallire. E così vara nel 1953 un Centro di documentazione, circondandosi di energie nuove: da Giuseppe Alberigo a Paolo Prodi. Concentrandosi, per cominciare, sulla storia dei Concilii». 

Quasi l’intuizione del Vatica­ no II prossimo venturo. Sarà il «perito esterno» di Lercaro, a seguire «perito conciliare». Il suo contributo?
«Distinguere, innanzitutto, la Tradizione dalla tradizione, ossia le incrostazioni degli ultimi due, tre secoli: antiprotestanti e antimoderne».

Inoltre? 
«La collegialità episcopale, rimasta lettera morta. La povertà della Chiesa, sia in senso materiale sia in senso culturale, spogliarsi cioè della cultura greca, la verità in forma platonica. La libertà religiosa, che sarà affermata, ma, secondo Dossetti, non propriamente ancorata a un riferimento cristologico. Né sarà accolto l’auspicio della beatificazione conciliare di papa Giovanni, per lui Padre e Maestro».

E ancora... 
«La Gaudium et Spes. Propose invano la condanna teologica delle armi atomiche, come distruttive del Creato. Una questione che minerà i rapporti fra Lercaro e Montini, costando all’arcivescovo bolognese la cattedra di San Petronio».

Secondo Jemolo: «Mai stato smentito che il cardinal Ler­ caro desiderasse Dossetti suo successore nella chiesa di Bologna»
«Vero. Se non che Montini non sarà del parere. E comunque: Lercaro potrà manifestargli il suo desiderio. Siamo nel 1966, il vescovo bolognese è in auge, artefice della riforma liturgica. Paolo VI (Scola, se eletto Papa, si sarebbe chiamato Paolo VII, per stemperare l’ipoteca ciellina) non è ancora spaventato, come di lì a qualche anno. Ha avocato a sé temi come il celibato, la pillola, la sinodalità, la guerra, la riforma della Curia. Non riuscirà a risolverli. Nè i suoi successori. Ratzinger non si dimette a caso».

Sul tavolo di Alberto Melloni, la copia di un libro di Bergoglio in attesa d’essere tradotto: Sobre el cielo y la tierra . Sovviene padre Michele Pellegrino: «Dai tetti in giù non arrischio previsioni».

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