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domenica 10 marzo 2013

La chiesa che danza al Conclave


Tra rivoluzione, messe pop e ortodossia, le chance del cattolicesimo latinoamericano, il più grande serbatoio di fedeli del mondo. Assediato però dalle sette

Per avere una prova dello stato di salute della chiesa cattolica in America latina è sufficiente dare uno sguardo al santuario Theotokos Madre di Dio di San Paolo, in Brasile. E’ la chiesa più grande del Sudamerica, superando di gran lunga il santuario di Nostra Signora di Aparecida. Inaugurata alla fine del 2011, si estende su uno spazio di 30 mila metri quadrati. L’altare è alto cinque metri, un’enorme croce di quarantaquattro metri d’altezza conduce i visitatori al complesso voluto da don Marcelo Rossi, brillante sacerdote quarantaquattrenne di origini marchigiane che in cinque anni è riuscito a creare questo “santuario, polo di riflessione, di meditazione e attrazione turistica” capace di accogliere fino a centomila fedeli.

Don Rossi in Brasile è una vera star: è cantante (ha venduto 12 milioni di cd, conquistando dal 1998 a oggi dodici dischi di platino), scrittore (il suo libro “Agape” ha scalato le vette nelle classifiche dei libri più venduti, mettendo a rischio i record di Paulo Coelho) e ogni tanto si improvvisa attore. Nel 2008 riuscì a portare tre milioni di giovani all’autodromo di San Paolo per un raduno segnato da “musica e preghiera”. Lui si schermisce, dice di essere “solo un sacerdote e non un artista”. Rossi è oggi il capofila del rinnovamento carismatico brasiliano, la versione cattolica del pentecostalismo che negli ultimi decenni ha cercato di occupare “il vuoto lasciato dalla Teologia della liberazione”. Il suo è un tentativo di fermare l’emorragia verso il protestantesimo e le chiese pentecostali che negli ultimi trent’anni si sono fatte sempre più largo nella popolazione, conquistando anno dopo anno milioni di individui prima cattolici – i fedeli alla chiesa di Roma sono oggi il 68 per cento della popolazione, mentre all’inizio degli anni Ottanta erano il 90. Un problema ben chiaro al cardinale Claudio Hummes, che già al sinodo dei vescovi sull’Eucaristia del 2005 si domandava fino a quando il Brasile potrà dirsi paese cattolico.
Le gerarchie ecclesiastiche brasiliane ammoniscono sul rischio di inseguire i raduni di massa degli evangelici dove è lo show ad avere la parte preponderante, con balli, canti e guarigioni improvvise. Ma don Rossi si è sempre richiamato al magistero di Roma, professando la propria totale fedeltà alla dottrina cattolica. Il suo, spiega, è solo un ritorno alle origini, all’annuncio del Vangelo. La particolarità è che tutto ciò è fatto con la musica. Nel 2007, durante la visita di Benedetto XVI a San Paolo, a don Rossi toccò il compito di intrattenere la folla in attesa del Papa, con balli e canti collettivi. Un copione che potrebbe ripetersi quest’anno, a luglio, quando si aprirà la Giornata mondiale della gioventù a Rio de Janeiro. Non sarà un evento solo brasiliano, ma dell’intera area geografica che – nonostante la concorrenza di sette e chiese protestanti organizzate con radio, giornali e televisioni – rappresenta ancora oggi il cuore pulsante del cattolicesimo.
E’ lì che vive il 42 per cento dei cattolici di tutto il mondo, dal Messico alla Terra del Fuoco. “La Giornata mondiale della gioventù avrà un’eco profonda in tutto il Brasile e in tutta l’America latina dove è forte la presenza di giovani aperti alla ricerca spirituale e al senso della vita”, diceva poche settimane prima della rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, fino al 2011 arcivescovo di Brasilia. Il tema dell’evento del prossimo luglio è l’evangelizzazione, inserita in una più ampia dimensione missionaria: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” è il motto. Un appuntamento che ha richiesto uno sforzo organizzativo senza precedenti, simile a quello messo in piedi per i Mondiali del 2014 e le Olimpiadi del 2016.
Non è un caso se un autorevole membro della curia romana, il cardinale Francesco Coccopalmerio, attuale presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi, ha detto poco prima dell’inizio delle Congregazioni generali nell’Aula nuova del Sinodo che in riferimento alla scelta del successore di Joseph Ratzinger “è giunto il momento di guardare anche fuori dall’Italia e dall’Europa e in particolare di considerare l’America latina”. Lo schema latino-americano, del resto, si ripete nei decenni. Nei Conclavi del 1978 il cardinale argentino Eduardo Pironio fu un candidato accreditato, ma mai in corsa; mentre otto anni fa, nel segreto della Cappella Sistina, fu un altro argentino, il gesuita Jorge Bergoglio, a coagulare attorno alla propria persona il maggior numero di consensi dopo Joseph Ratzinger. Oggi la punta di diamante è rappresentata dall’arcivescovo di San Paolo, Odilo Pedro Scherer, che secondo il vaticanista Andrea Tornielli sarebbe il “candidato” del decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano. Scherer, però, scriveva ieri Sandro Magister sul suo blog, “non è popolare nemmeno tra i vescovi brasiliani, che chiamati a eleggere il presidente della loro conferenza, due anni fa, lo bocciarono senza appello”. E’ tutt’altro trascurabile, poi, che “non brilli come arcivescovo della grande San Paolo, capitale economica del paese”. Schermaglie romane.
Il rapporto di Roma con ciò che rimane della Teologia della liberazione non è circoscritto al Brasile, ma investe ancora oggi altre aree del continente sudamericano. In Perù, è durato più di un anno lo scontro tra il Vaticano e le autorità della Pontificia università cattolica del Perù di Lima, dove per anni occupò una cattedra proprio il padre della Teologia della liberazione, Gustavo Gutiérrez. Il direttivo dell’università si rifiutava di uniformare i suoi statuti alla costituzione apostolica “Ex corde ecclesiae” promulgata da Giovanni Paolo II nel 1990 che regola i legami tra Roma e gli istituti cattolici nel mondo.
Una posizione intransigente che ha portato allo scontro con il Vaticano (in particolare con il segretario di stato Tarcisio Bertone) e con l’arcivescovo di Lima, il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, considerato uno degli esponenti più conservatori del clero sudamericano. A nulla sono servite neppure le mediazioni del cardinale Peter Erdo, inviato in Perù da Bertone per risolvere la situazione. Il risultato è che l’Università non potrà fregiarsi più né del titolo di pontificia né potrà definirsi cattolica. Cipriani ha anche privato sei sacerdoti vicini alla Teologia della liberazione della licenza per l’insegnamento della teologia, vietando loro al contempo di assumere incarichi amministrativi.
Più rosea e serena sembra essere invece la situazione in Messico. Se la chiesa cattolica brasiliana tenta di difendersi dall’avanzata prepotente delle sette inaugurando nuove immense chiese e organizzando raduni di massa a ritmo di musica, la realtà messicana vede (in qualche sua regione) addirittura aumentare il numero dei seminaristi dopo anni di crisi. Nonostante anche qui si avverta un calo dei fedeli cattolici, passati dall’88 all’84 per cento nell’ultimo decennio, la chiesa messicana è viva, come dimostra il successo dell’ultimo grande viaggio intercontinentale (Libano a parte) di Benedetto XVI. A León centinaia di migliaia di giovani e vecchi accompagnavano ai bordi delle strade il corteo papale, un calore e un entusiasmo che convinsero il Papa ad affacciarsi dal balcone del palazzo presidenziale di Guanajuato per salutare la folla, quando già il sole stava tramontando.
Il Messico, entro pochi anni, potrebbe diventare il primo paese al mondo per numero di cattolici, e la grande speranza di quella terra nel prossimo Conclave è riposta nell’arcivescovo di Guadalajara (nonché presidente della locale Conferenza episcopale), il cardinale Francisco Robles Ortega. Sessantaquattro anni appena compiuti, rientra pienamente in quel profilo di “papabile” abbozzato qualche giorno fa dal cardinale sudafricano Wilfrid Fox Napier: giovane, energico, pastore (Robles Ortega è stato vescovo a Toluca e arcivescovo a Monterrey). Presidente delegato all’Assemblea del Sinodo sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” del 2012, ha una solida formazione teologica derivata dalla laurea in Teologia dogmatica conseguita alla Pontificia Università Gregoriana. L’arcivescovo di Guadalajara pone al primo punto della sua agenda la necessità di procedere alla “nuova evangelizzazione”, una missione che per l’America latina – dice – “si è tradotta ormai nella convocazione di una missione continentale”.

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