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Il documento è del 1931. Ne fu probabile autore un cardinale olandese. Le riforme che si attendono erano già tutte lì. E anche le critiche erano le stesse di oggi, se non più duredi ***
CITTÀ DEL VATICANO, 25 aprile 2013 – Una curia con "più rappresentanza e più collegialità". Una curia con "più dialogo in senso bidirezionale in una organizzazione moderna ed efficiente". Una curia con una piena "rivalutazione dell’ufficio episcopale". Una curia con "soprattutto meno italiani".
Sembrerebbero, questi, i punti programmatici di quella riforma della curia vaticana che papa Francesco ha messo in cantiere – anche tramite la costituzione di un gruppo di otto porporati consiglieri – per applicare le indicazioni dai cardinali che lo hanno eletto, formulate nelle congregazioni generali che hanno preceduto il conclave.
In realtà questo programma non è la risposta alle disfunzioni curiali evidenziatesi in modo drammatico durante il pontificato di Benedetto XVI.
È un programma più antico. Molto più antico. Addirittura di trent’anni prima del Concilio Vaticano II.
Per comprendere meglio come i problemi e le critiche della curia romana non siano nati con papa Joseph Ratzinger basta sfogliare un volume di recente pubblicazione, una miscellanea in onore dello storico gesuita Marcel Chappin per il suo 70° compleanno, curata dai professori Paul van Geest, olandese, e Roberto Regoli, italiano.
L’opera in questione, infatti, edita dall’Archivio Segreto Vaticano di cui Chappin è stato vice-prefetto negli ultimi anni, ospita un curioso ed interessante contributo di Hans de Valk che analizza un documento anonimo, compilato nel 1931 e titolato “De quibusdam rebus in ecclesiastico regimine emendandis”: “Su alcune cose da cambiare nel governo ecclesiastico”.
Si tratta di un testo di una ventina di pagine, che gli studiosi hanno ritrovato in alcuni archivi, compreso l’Archivio Segreto Vaticano, in versione latina e tedesca, e che porta la firma di "Paulus Bernardus a S. Catharina", uno pseudonimo dietro il quale si celerebbe – ma al riguardo le prove non sono definitive – l'olandese Willem Marinus van Rossum (1854-1932, nella foto), redentorista, creato cardinale da Pio X nel 1911 e prefetto di "Propaganda Fide" con Benedetto XV e Pio XI.
"Le proposte di riforma della curia – scrive de Valk nel suo saggio – sono vecchie come i sette colli" di Roma. E in effetti, prima di analizzare il documento del 1931, egli ricorda come già all'inizio Novecento erano fioriti programmi di riforma della curia. E sottolinea come essi provenissero da ambienti sia progressisti che tradizionalisti.
Il ritratto della gerarchia ecclesiastica che viene fuori dal documento del 1931 è impietoso. Ecco come de Valk lo sintetizza:
"La maggior parte dei vescovi invece che essere di quel carattere forte necessario oggi, invece che essere personalità dinamiche e attive, seppure uomini pii e religiosi sono effettivamente allo stesso tempo mediocri, e perfino meno che mediocri. Alcuni sono apatici, timidi, indolenti o vanesi; altri sono conformisti, burocrati o introversi; molti sono amministratori goffi e ignoranti. […] A volte l’intero episcopato di un paese sembra una collezione di storpi".
De Valk riproduce in nota l’originale latino che è ancora più colorito:
"Aliquando autem totus episcopatus alicuius nationis ita est compositus, veluti si coecorum, claudorum et infirmorum omne genus esset refugium".
E aggiunge che "il problema è aggravato dalla tendenza della Santa Sede di nominare prelati solo obbedienti e compiacenti".
Altrettanto impietoso è il ritratto che il documento fa del collegio cardinalizio. Riferisce de Valk:
"Per quanto riguarda i cardinali, il senato della Chiesa e gli elettori del papa, qui la situazione è anche peggiore, particolarmente nel caso di quelli addetti alla curia romana. Il sacro collegio contiene troppe non-entità che hanno raggiunto il loro rango per non aver mai fatto domande scomode. Il merito di molte eminenze non è la loro eccellente esperienza pastorale o cultura, ma l’aver lavorato in un ufficio vaticano per un tempo molto lungo. Senza alcuna conoscenza reale del mondo o della vita della Chiesa universale, sono comunque promossi automaticamente e messi in posti di comando molto superiori ai loro modesti talenti".
Particolarmente feroce è la critica alla eccessiva italianità della curia. Riferisce de Valk:
"Quasi la metà dei cardinali e la grande maggioranza di essi sono italiani, come se lo Spirito Santo abbia una chiara preferenza per la nazione italiana ("veluti si solos Italos Spiritus Sanctus dignos invenerit ut eos tamquam S. Pontificis et proximos consultores et electores illustraret"). Ciò solo aggrava la questione, perché anche se gli italiani possono avere molti talenti, essi non sono certamente noti per le loro capacità organizzative. Questo per la Chiesa universale è allo stesso tempo un insulto e una ingiustizia. I pochi eccellenti prelati stranieri presenti in curia sono l’esempio di quale potrebbe essere l’alternativa".
Il documento del 1931 non risparmia neanche i pontefici, visto che "dal XIX secolo il trono papale è stato adornato da una serie di papi mediocri, con la possibile eccezione di Leone XIII".
Ma di fronte a questo quadro quali sono le proposte di riforma delineate da "Paulus Bernardus" ovvero (forse) il cardinale van Rossum?
Ecco come le riporta de Valk, per i vescovi:
"Cambi radicali sono necessari nel sistema di reclutamento o elezione [dei vescovi e dei cardinali]. La nomina dei vescovi non dovrebbe essere lasciata esclusivamente alla Santa Sede, dove generalmente i candidati sono poco conosciuti, mentre le informazioni raccolte sono spesso tendenziose o inattendibili".
E per i cardinali:
"Per enfatizzare il carattere universale della Chiesa, il sacro collegio dovrebbe essere internazionalizzato e il numero degli italiani drasticamente ridotto. Dovrebbe essere promosso il carattere internazionale della curia romana, le cosiddette cariche cardinalizie devono essere abolite. Solo i veri principi della Chiesa, noti per le loro eminenti qualità, dovrebbero essere innalzati alla porpora; uomini cioè colti, pii e zelanti, che conoscono il mondo, sono esperti, ben informati e quindi capaci di agire come reali consiglieri del papa".
Quanto al governo della Chiesa universale, l'anonimo estensore del documento lamenta che "il papa, il segretario di Stato o il suo sostituto decidono ultimamente tutto, e così sono sottoposti ad un carico di lavoro umanamente impossibile da compiere. Combinato con sempre maggiori questioni da affrontare e l’esagerata propensione al segreto, questo può solo portare ad un ritardo nel risolvere anche gli affari più urgenti".
Tra i rimedi, il documento del 1931 auspica che "più spazio dovrebbe quindi essere dato all’antico sistema del governo collegiale".
Inoltre, la curia dovrebbe essere arricchita di "esperti selezionati internazionalmente, in modo da poter agire o reagire velocemente; nuovi canali di comunicazione sarebbero aperti, per prevenire che possano arrivare alla Santa Sede solo informazioni parziali e tendenziose. In questo modo lo stato degli affari della Chiesa universale può essere monitorato più da vicino e potrà essere più facile comunicare con i vescovi, guidandoli e ammonendoli se necessario".
Si tratta di proposte di riforma che risalgono ormai a più di ottanta anni fa. Il Concilio Vaticano II ne ha fatte proprie alcune.
Di suo, de Valk scrive che Paolo VI nel 1967 e Giovanni Paolo II nel 1988 con le loro ristrutturazioni della curia romana "hanno compiuto molte di queste riforme" auspicate nel documento del 1931.
Molte ma non tutte. Sarà papa Francesco a realizzare quelle mancanti?
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Il libro:
"Suavis laborum memoria. Chiesa, Papato e Curia Romana tra storia e teologia. Scritti in onore di Marcel Chappin SJ per il suo 70° compleanno", a cura di Paul van Geest - Roberto Regoli, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano, 2013, pp, 618, euro 35,00.
Alle pagine 183-205 del volume il saggio in lingua inglese di Hans de Valk ha per titolo: "'Some matters that should be improved in the government of the Church'. A remarkable Proposals for the Reform of the Roman Curia, 1931".
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350506
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