ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 3 aprile 2013

Disastrosi nel genoma: Nec rubricant nec cantant

Nec rubricat nec cantat

Perché al gesuita Papa non piacciono riti e “clericalismi”

Prime critiche (liturgiche) a Francesco. Ma nella sua “sciatteria” c’è teologia

L’idillio tra i grandi media e Papa Francesco continua. Piacciono le sue omelie brevi, sorprende il suo fermare la jeep che lo porta tra i fedeli che gremiscono piazza San Pietro, commuovono i suoi abbracci ai malati e i baci ai bambini. Si sprecano i paragoni: c’è chi vede in lui un nuovo Albino Luciani e c’è chi nota una somiglianza nello stile con Giovanni XXIII. Roncalli, però, la mozzetta la portava. Non solo, ma fu proprio il successore di Pio XII a riportare in auge il camauro nella versione invernale. E’ uno degli episodi cui si appigliano i tradizionalisti che avanzano sul Web le prime critiche a Francesco. Sul Corriere della Sera di ieri, Luigi Accattoli ricordava come le critiche riguardino le vesti, la liturgia, l’uso delle lingue e la preferenza per il titolo di “vescovo di Roma” anziché di “Papa”. Il sito messainlatino.it, poche ore dopo l’elezione di Bergoglio, ricordava come il nuovo Pontefice si fosse “distinto per un’applicazione tiepida, per usare un eufemismo, del Summorum pontificum (il motu proprio di Papa Ratzinger che consente la celebrazione della messa tridentina, ndr)”. Seguiva una laica preghiera per il maestro delle cerimonie liturgiche: “Povero Guido Marini, chissà quanto poco durerà ancora. Manco la mozzetta è riuscito a mettergli addosso”.

Più articolate le critiche alla scelta di celebrare la messa in Coena Domini nel penitenziario di Casal del Marmo. Sul sito cattoliciromani.com si è discusso sulla stola indossata dal Papa: diaconale e non episcopale, trasversale e non dritta: “Un abuso”, secondo qualche liturgista. A creare più preoccupazione è stata però la scelta di lavare i piedi anche a due donne per di più non cattoliche. Il blog rorate-caeli.blogspot.com ha avvertito che “solo uomini scelti” possono partecipare a quel rito. Altre critiche sono state sollevate per la semplificazione dell’apparato simbolico che accompagna le celebrazioni liturgiche: casule semplici, niente troni, omelie dall’ambone, durata ridotta delle messe – scelta che il vaticanista Sandro Magister, sul suo sito, ha definito “non sempre comprensibile”, come nel caso della veglia pasquale, quando sono state “ridotte all’osso le letture bibliche e si è letteralmente mutilata la prima”. Osservazioni anche sul fatto che Papa Francesco non canta né usa il recto tono per la benedizione Urbi et Orbi. “Il gesuita nec rubricat nec cantat”, non canta né si occupa delle rubriche liturgiche, ha detto con una battuta padre Lombardi (gesuita pure lui) rispondendo a chi mostrava perplessità per l’innovazione introdotta dal Papa argentino, dimenticando quella “certa afonia” di cui la Sala stampa aveva già parlato ricordando i problemi di salute del Pontefice.

“Troppi precetti fanno male alla chiesa”
Ma Francesco, e ancor prima Jorge Mario Bergoglio, è sempre stato così. E’ un gesuita, e la sua insofferenza per i cerimoniali e i rituali l’aveva già espressa più volte. L’ultima qualche mese fa, nell’omelia a chiusura dell’incontro della Pastorale urbana a Buenos Aires: “Gesù mangiava con i peccatori e a chi si scandalizzava diceva che i pubblicani e le prostitute li avrebbero preceduti nel Regno dei cieli. Sono quelli che hanno clericalizzato la chiesa del Signore, che la riempiono di precetti. Questi sono gli ipocriti di oggi”. L’allora arcivescovo della capitale argentina aggiungeva che “clericalizzare la chiesa è un’ipocrisia farisaica”.
E ancora, nella predica della messa crismale, il Papa ricordava che “la liturgia non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato”. I discorsi di Francesco sono diretti, chiari, brevi, ma mai banali. Nelle messe mattutine a Santa Marta il Papa invita a riflettere sul perdono, la pazienza, la gioia oscura del pettegolezzo. Dietro il parlare facile di Bergoglio che segue la grande concettualizzazione di Joseph Ratzinger, dietro il “buon pranzo” con cui saluta i fedeli che gremiscono piazza San Pietro per l’Angelus o il Regina Coeli, c’è un fondo teologico. I gesuiti sono sempre stati grandi teologi, e lo stesso Bergoglio, qualche decennio fa, stava preparando una tesi di dottorato in Teologia su Romano Guardini. Fino a oggi ha preferito citare le massime della nonna o di qualche anziana signora confessata vent’anni fa in cattedrale. Intanto, però, come riportato ieri dalla Stampa, si confronta per la stesura delle omelie con Luis Francisco Ladaria Ferrer, arcivescovo spagnolo, gesuita che Benedetto XVI nominò segretario della congregazione per la dottrina della fede.
Francesco appartiene a un ordine particolare, quello che per volontà di Ignazio di Loyola non contempla i quattro aspetti caratterizzanti l’organizzazione monastica: le decisioni prese a maggioranza dai membri della stessa comunità riuniti nel capitolo, l’elezione del superiore da parte delle comunità, la stabilitas loci (abitare fino alla morte nella stesso luogo) e, soprattutto, la recita corale dell’ufficio divino. I gesuiti sono solitari, pregano da soli nelle loro stanze, danno forma a una spiritualità radicata negli Esercizi. Da sempre favorevoli alla pratica della confessione generale come sintesi di un percorso di introspezione e scoperta di sé, non è un caso che tra le prime omelie di Francesco abbia trovato uno spazio di rilievo il tema della confessione – che per un gesuita deve essere frequente, in modo da ricavare consolazione e forza interiore. I gesuiti sono autonomi, e Bergoglio rispecchia in pieno le caratteristiche del chierico ignaziano: parla con tutti, prende nota e poi decide senza chiedere pareri a nessuno, dicono con qualche apprensione in Vaticano. E lo fa nella sua suite, la numero 201 del residence di Santa Marta. Il suo stile è austero, in sintonia con la vocazione “militare” dell’ordine. Uno stile che già nel XVI secolo lasciò perplesso più di un porporato: “Ma che religiosi siete se non avete neppure il canto e la preghiera corale?”, sbottò il cardinale Gian Pietro Carafa, fondatore dei chierici teatini.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/17606

I gesuiti al governo

La chiesa sarà povera e la mozzetta imperiale il Papa gesuita non la vuole, ma la compagnia ha da sempre un sensuale attaccamento alle malie del potere

Uno dei punti più critici riguardo alla presenza dei gesuiti nell’Europa moderna viene raggiunto il 3 settembre 1758, quando il re di Portogallo, Giuseppe I di Braganza, di ritorno da un rendez-vous romantico con la marchesa di Tavora, subisce un attentato che gli costa un braccio. L’ambizioso primo ministro, il marchese di Pombal, intuisce che dietro quest’evento si annida un’occasione insperata per limitare l’irrefrenabile potere dei reverendi padri i quali, in quanto confessori di corte, erano di fatto partecipi dei segreti di stato. Pombal decide allora di agire su due piani. Dal versante giuridico fa sì che la responsabilità oggettiva dell’attentato ricada su un vecchio gesuita italiano presente a Lisbona, Gabriele Malagrida, e lo fa rinchiudere in galera.
di Antonio Gurrado

apparso su Chiesa e post concilio.

E' evidentissimo che i problemi denunziati dai media durante il precedente Pontificato erano solo ed esclusivamente pretestuosi e volti a togliere di mezzo Benedetto XVI. Dico togliere di mezzo perché le intenzioni erano note sin da un anno fa: se non si fosse dimesso, forse avremmo dovuto annoverare Ratzinger assieme a Luciani nella lista delle vittime della Curia Romana. 

Eppure è il caso di notare che il mondo, il secolo profano, non ha alcuna vera sollecitudine per i problemi della Chiesa: esso li addita come colpe solo per l'ultima sacra Monarchia di diritto divino in Europa, mentre diventanodiritti quando sono praticati dai laici e dai gentili. 



Omosessualità: un problema della Chiesa nei suoi chierici, non del mondo, che sbandiera i diritti dei gay, il matrimonio tra persone dello stesso sesso, il diritto all'adozione ecc.

Pedofilia: un problema della Chiesa nei suoi ministri, non del mondo, che teorizza il diritto alla sessualità per i minorenni, l'educazione sessuale degli innocenti, la perversione dei fanciulli e dei giovani.

Corruzione e carrierismo: un problema della Chiesa nell sua Gerarchia, non del mondo, i cui esponenti convivono e si pascono di corruzione, tangenti, conflitti di interessi, ricatti. 

Trionfalismo: un problema della Chiesa nella sua Regalità, e non del mondo, che tributa onori alla feccia dell'umanità: pubblici peccatori, concubinari, viziosi, ladri, iracondi, corrotti e via elencando. 

Integralismo e intolleranzaun problema della Chiesa nella sua divina costituzione, e non del mondo, che nondimeno catechizza le masse con i nuovi dogmi della tolleranza, della solidarietà, del pacifismo, della dignità dell'uomo.

Ovviamente a questo stracciarsi le vesti per la vera o presunta corruzione o immoralità del Clero si accompagna, com'è ovvio, l'insofferenza alle ragioni dottrinali e morali che la Chiesa dovrebbe addurre per sradicare questi mali al suo interno. Il senso del peccato, la necessità della disciplina e della penitenza, la considerazione dei Novissimi, il ricordo salutare della pena eterna, l'esempio dei Santi, e prima di tutto i Comandamenti del Salvatore nostro e gli insegnamenti del Magistero, la dignità del nome cristiano, l'onore di Dio e della Chiesa, il primato della Verità.

Ecco allora che un quivis de populo può parlare di solidarietà, di amore, di fratellanza, di speranza, di soccorso ai poveri e ai bisognosi senza mai menzionare il motivo per cui il Cattolico dev'essere virtuoso: l'amore di Dio e l'amore del prossimo per amor Suo.

Sfamare gli affamati, vestire gli ignudi, consigliare i dubbiosi, visitare i carcerati e via elencando sono opere di misericordia, ma senza la Carità - virtù teologale mossa dalla Fede - queste opere sono prive di qualsiasi merito spirituale, sono sterili e vuote, come un cembalo che tintinna, per usare le parole dell'Apostolo.  


Questo Pontificato è virtuale non solo per opera dei media e dei cosiddetti intellettuali progressisti; esso è frutto di una sua distorta concezione proprio da parte di chi ne è rivestito, e conduce ad un esercizio del potere papale slegato dal munus ed ancor più dalla finalità propria del Papato. 

San Pietro non indossava né la mozzetta né i calzari purpurei della maestà imperiale, non portava la tiara né il fanone; ma era conscio del proprio ruolo, e fu martirizzato in quanto Sommo Pontefice della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Togliere oggi le residue pallide insegne del già minato potere papale non è gesto di povertà o di umiltà, ma indice di sommo orgoglio e preludio ad un nuovo modo di esercitarlo, privo tanto delle finalità quanto delle motivazioni soprannaturali che lo legittimano e lo pongono sotto la protezione diretta dell'Altissimo. 

Essere Vescovo di Roma era sinonimo, sino a ieri, dell'essere Papa, Vicario di Cristo, Successore del Principe degli Apostoli. Come essere padre dei propri figli è sinonimo dell'esser marito della loro madre. Ma sappiamo tutti - senza bisogno di bizantinismi ed elucubrazioni da legulei - che oggi vi è una differenza voluta tra queste espressioni, e che la prima attenua o nega addirittura le altre. 

Nomina sunt consequentia rerum, dice l'adagio: il Vescovo di Roma in veste piana non vuole essere - o quantomeno non vuole essere anzitutto - il Supremo Pastore della Chiesa Universale, e al tempo stesso agisce e si muove con lanon chalance del supremo legislatore, innovando, sopprimendo, cambiando, cancellando, abolendo, riformando a proprio arbitrio.

Se fosse solo Vescovo, Bergolio dovrebbe obbedire al proprio superiore ed adeguarsi alle norme, alle regole, agli usi e a quella tanto decantata prudenza che oggi vale solo a freno per la virtù mentre dovrebbe essere regola del retto agire ordinato al fine.

Eppure egli è anche Papa, o quantomeno questo è il ruolo e la carica che gli è stata attribuita dal Conclave e che egli ha accettato di esercitare. Con quell'autorità che gli deriva dalla carica ricoperta, egli può permettersi le innovazioni e le stravaganze che nessuno, sinora, aveva osato compiere. Nella contraddizione, sia chiaro, di agire da Papa, ma nel non dirsi tale. 


Pare di assistere al ripetersi della medesima contraddizione in cui incorrono i rivoluzionari, quando prendono il potere sulle rovine delle Monarchie: prima essi spodestano i Principi legittimi in nome del popolo sovrano, poi affamano e tiranneggiano in modo ben più crudele e tremendo lo stesso popolo sovrano, in nome di una presunta democrazia che rimane semplice petizione di principio. Per i Sovrani, la ghigliottina, sempre e comunque; per i rivoluzionari, elogi e attestazioni di fiducia irrazionale fino all'autolesionismo. 


Viene in mente la fiaba di Andersen:

C'era una volta un imperatore che amava così tanto la moda da spendere tutto il suo denaro soltanto per vestirsi con eleganza. Non aveva nessuna cura per i suoi soldati, né per il teatro o le passeggiate nei boschi, a meno che non si trattasse di sfoggiare i suoi vestiti nuovi: possedeva un vestito per ogni ora del giorno, e mentre di solito di un re si dice: È nella sala del Consiglio, di lui si diceva soltanto: È nel vestibolo.

Nella grande città che era la capitale del suo regno, c'era sempre da divertirsi: ogni giorno arrivavano forestieri, e una volta vennero anche due truffatori: essi dicevano di essere due tessitori e di saper tessere la stoffa più incredibile mai vista. Non solo i disegni e i colori erano meravigliosi, ma gli abiti prodotti con quella stoffa avevano un curioso potere: essi diventavano invisibili agli occhi degli uomini che non erano all'altezza della loro carica, o che erano semplicemente molto stupidi. [...]



Non è forse magnifique?, dicevano in coro i due funzionari; Che disegni, Maestà! che colori!, e intanto indicavano il telaio vuoto, perché erano sicuri che gli altri ci vedessero sopra la stoffa. [...]
Magnifique!, Excellent!, non facevano che ripetere, ed erano tutti molto felici di dire cose del genere. [...] 
L'imperatore si spogliò, e i due truffatori fingevano di porgergli, uno per uno, tutti i vestiti che, a detta loro, dovevano essere completati: quindi lo presero per la vita e fecero finta di legargli qualcosa dietro: era lo strascico. Ora l'imperatore si girava e rigirava allo specchio.

Come sta bene! Questi vestiti lo fanno sembrare più bello!, tutti dicevano. Che disegno! Che colori! Che vestito incredibile!

Stanno arrivando i portatori col baldacchino che starà sopra la testa del re durante il corteo!, disse il Gran Maestro del Cerimoniale.

Sono pronto, disse l'imperatore. Sto proprio bene, non è vero? E ancora una volta si rigirò davanti allo specchio, facendo finta di osservare il suo vestito.

I ciambellani che erano incaricati di reggergli lo strascico finsero di raccoglierlo per terra, e poi si mossero tastando l'aria: mica potevano far capire che non vedevano niente.

Così l'imperatore marciò alla testa del corteo, sotto il grande baldacchino, e la gente per la strada e alle finestre non faceva che dire: Dio mio, quanto sono belli gli abiti nuovi dell'imperatore! Gli stanno proprio bene!Nessuno voleva confessare di non vedere niente, per paura di passare per uno stupido, o un incompetente. Tra i tanti abiti dell'imperatore, nessuno aveva riscosso tanto successo.
Ma l'imperatore non ha nulla addosso!, disse a un certo punto un bambino. Santo cielo, disse il padre, Questa è la voce dell'innocenza!. Così tutti si misero a sussurrare quello che aveva detto il bambino.
Non ha nulla indosso! C'è un bambino che dice che non ha nulla indosso! Non ha proprio nulla indosso!, si misero tutti a urlare alla fine. E l'imperatore rabbrividì, perché sapeva che avevano ragione; ma intanto pensava:Ormai devo condurre questa parata fino alla fine!, e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo seguivano reggendo una coda che non c'era per niente.

Solo il bimbo innocente riconosce la realtà della nudità del re, mentre i cortigiani e i sudditi elogiano le magnifiche vesti invisibili. 

Oggi solo un semplice, un fanciullo, si rende conto della nudità di Bergoglio, mentre i cortigiani del secolo e i sudditi della setta conciliare elogiano le sue virtù, la sua povertà, la sua umiltà:


Come gli stanno bene quelle scarpe nere!, squittiscono certi giornalisti. Che gesto di umiltà, quella croce di ferro!, commentano altri. E si sdilinquiscono nel veder apparire al balcone Francesco che saluta con un Buona seracome se fosse il presentatore di uno show. 
Finalmente le mitrie di Pio IX e i paramenti d'oro sono stati rimessi nelle soffitte, esulta il direttore di un'emittente cattolica. Sono finite le carnevalate, chiosa un altro. I cerimonieri devono essere mandati a casa, inveisce un prete in clergyman. 
A tutti Bergoglio sembra vestito in modo molto negletto e poco consono alla dignità apostolica, ma siccome le magnifiche vesti della povertà e dell'umiltà di Francesco, a quel che dicono i sarti vaticani, si vedono solo se si è progressisti e fedeli al Concilio, allora tutti vanno in brodo di giuggiole per i baci ai piedi dei galeotti, per la mitria Ikea, per i discorsi a braccio. L'anello d'argento dorato è una scelta di povertà eroica! 
Salvo poi sentire il semplice fedele che osserva: Ma le croci d'oro che hanno donato alla Chiesa i fedeli, perché non se le mette? E il vecchio parroco: Perché comprare dei paramenti così brutti, quando ne hanno di stupendi nelle sacristie papali? E la madre di famiglia: Se è così umile, perché non si veste come tutti gli altri Papi, invece di distinguersi tanto? E il generale: Se io mi togliessi le medaglie e i galloni, sarei disprezzato dai miei soldati. E il povero che elemosina sul sagrato: Io mi sentivo in una reggia, quando entravo in una chiesa; c'era il latino, il gregoriano, l'incenso; ora mi hanno tolto anche quel poco che mi faceva pesare meno la mia povertà. 

Ovviamente ci sono ancora Cattolici che guardano la realtà con gli occhi della ragionevolezza e del sensus Ecclesiae. Essi sono i fanciulli della favola - e del Vangelo - dei quali Nostro Signore disse:  Sinite parvulos venire ad me

Bergoglio è nudo.

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