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sabato 18 maggio 2013

Presentazione in aforismi di un reazionario colombiano


Oggi, 18 maggio, ricorre il centenario dalla nascita del pensatore reazionario Gómez Dávila, che qui brevemente presentiamo.
Gómez Dávila nella sua vita “lesse, scrisse e morì”.
Si dice di lui che l’unica cura che ritenesse utile contro il tedio dell’esistenza fosse la “biblioterapia”. Il pensatore colombiano, infatti, era solito rintanarsi nella sua biblioteca da dove usciva solo a notte fonda, dopo aver passato la giornata a scrivere su piccoli quaderni verdi i propri pensieri sotto forma di aforismi, perché “[…] tra poche parole è difficile nascondersi come tra pochi alberi”.
Per le sue posizioni, Gómez Dávila è stato spesso definito un “reazionario”,epiteto di cui andava molto orgoglioso. Il suo è un antimodernismo inflessibile e intransigente,
basato sull’inestirpabile convinzione che “l’umanità sia caduta nella storia moderna come un animale cade nella trappola” (Escolios, II, 471) e sull’idea che la società attuale abbia oramai “sostituito il mito di una passata età dell’oro con quello di una futura età della plastica” (Escolios, II, 88).
Per Dávila i tre nemici più radicali dell’uomo sono: il demonio, lo Stato e la tecnica. Il primo perché è la perversione della trascendenza e perché “il più grande errore moderno non è l’annuncio della morte di Dio [che è “un’opinione interessante, che però non riguarda Dio”], ma l’essersi persuasi della morte del diavolo”; il secondo in quanto più aumenta lo Stato, più decresce l’individuo; e la tecnica, perché costituisce una perenne tentazione del possibile, in quanto “il progresso è il flagello che Dio ha scelto per noi”.
Ma gli acutissimi aforismi di Gómez Dávila interessano ogni ambito del vivere moderno.
Se “coltivare la lucidità è il fine della cultura” e “la prolissità non è un eccesso di parole, ma una carenza di idee”, la diretta conseguenza è che “forse non c’è scempiaggine pari a quella di passare la vita a leggere scrittori mediocri perché sono nostri contemporanei”. Infatti, “a volte basta una virgola per distinguere una banalità da un’idea”, ma è altresì vero che “un tocco di volgarità rende popolare qualsiasi libro”. “I progressi della stampa hanno incoraggiato la moltiplicazione di libri sciatti e prolissi, mentre l’obbligo di ricorrere allo scrivano e al rotolo di papiro induceva all’accuratezza e alla brevità. Ieri l’imperfezione di un testo era involontaria, oggi non è detto che lo sia. Le rotative vomitano immondizia che non aspira a essere nient’altro”, quindi meglio mettersi in guardia dagli scrittori moderni.
Il pensatore colombiano ha le idee chiare anche su chi legge, infatti: “le frasi sono pietruzze che lo scrittore getta nell’animo del lettore. Il diametro delle onde concentriche che esse formano dipende dalla dimensione dello stagno”.
E, continua Dávila, “educare non consiste nel contribuire al libero sviluppo dell’individuo, ma nel fare appello a ciò che tutti hanno di buono contro ciò che tutti hanno di perverso”.Ecco quindi che, in tale contesto, “i pregiudizi proteggono dalle idee stupide”, perché “la verità è la gioia dell’intelligenza” e “chi scrive ragione con la maiuscola si prepara ad ingannare”: infatti, “il diavolo è troppo intelligente per essere razionalista, ma suggerisce oracoli razionalisti ai suoi devoti perché lo venerino senza scrupoli”.
“Questo secolo sta <ormai> diventando uno spettacolo interessante: non per quello che fa, ma per quello che disfa”. Purtroppo “la democrazia non è tanto l’impero delle parole quanto quello delle menzogne” perché “la vita è officina di gerarchie. Solo la morte è democratica”.
Per questo, è doveroso che la Chiesa mantenga solido il suo assetto gerarchico, in quanto “chi richiede alla Chiesa di adattarsi al pensiero moderno, confonde per lo più l’esigenza di rispettare certe regole metodologiche con l’obbligo di adottare un repertorio di postulati imbecilli”.
Il reazionario colombiano non le manda certo a dire quando afferma che “il cristiano moderno non chiede che Dio lo perdoni, ma che ammetta che il peccato non esiste” e “progressisti atei e progressisti cattolici hanno rinunciato gli uni alla bestemmia, gli altri alla preghiera, per condividere, gli uni con gli altri, lo stesso culto delle fognature suburbane”, in nome del paradigma sociale secondo il quale “molti amano l’uomo solo per poter dimenticare Dio con la coscienza a posto”.
Infatti, molto spesso “il cristiano moderno sente l’obbligo professionale di mostrarsi affabile e allegro, di sfoggiare un benevolo sorriso a trentadue denti, di ostentare cordialità ossequiosa per convincere il miscredente che il cristianesimo non è un religione, dottrina, morale. Il cristiano progressista ci stringe forte la mano con un ampio sorriso elettorale,  questo in quanto “il progressismo religioso è il continuo sforzo di adattare le dottrine cristiane alle opinioni patrocinate dalle agenzie di stampa e dagli agenti pubblicitari”: inutile negare che“l’obbedienza del cattolico si  è trasformata in un’infinità docilità a tutti i venti del mondo”.
Insomma, conclude Dávila, “imbecille è chi percepisce solo l’attualità”, mentre “il pensiero reazionario è impotente e lucido”.
Il problema della religione non ha tuttavia investito unicamente i fedeli, ma anche i vertici ecclesiastici, infatti per Dávila “è difficile simpatizzare con il clero moderno da quando è diventato anticlericale”. “La più grande preoccupazione della teologia moderna è il ruolo del cristiano nel mondo. Preoccupazione singolare, visto che il cristianesimo insegna che il cristiano non ha alcun ruolo nel mondo”.
Per chi volesse approfondire la conoscenza di Gómez Dávila, morto a Bogotá il 17 maggio 1994, consigliamo la lettura di “In margine a un testo implicito”(Ed. Adelphi, Milano, 2001, pp. 192, euro 10,33) e “Tra poche parole”(Ed. Adelphi, Milano, 2007, pp. 228, euro 14), da cui sono stati tratti tutti gli aforismi sopra citati.

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