Papa Franceso a Lampedusa
di don Mauro Tranqillo
Non è facile seguire l’evolversi del
Pontificato di Francesco, benché le principali linee del medesimo
appaiano ben chiare. Un evento maggiore è sicuramente stato il recente
viaggio a Lampedusa, una delle “periferie esistenziali” a lui tanto
care.
Il problema dell’immigrazione è sempre
di difficile approccio, perché al dramma reale di tante singole persone
in miseria si sovrappone il più inquietante scenario globale, con la
dissoluzione dell’identità cristiana dell’Europa in un calderone
liberale di diverse culture, tra le quali trovi posto una forte comunità
musulmana, quasi un grimaldello per scardinare la posizione preminente
del cristianesimo a livello religioso. La presenza di comunità forti di
altre fedi serve senz’altro a giustificare la concessione di pari
diritti e dignità a tutte i culti, e a promuovere l’indifferentismo.
A questo va aggiunto il timore, nel caso
tale forte presenza islamica non fosse digerita dal materialismo
liberale dell’Occidente, di una vera e propria presa del potere di tali
gruppi sulle nostre società, come annunciato e vagheggiato da tanti imam
e personalità musulmane, o almeno il reale e già attuale pericolo di
gravi disordini.
Si aggiungano i problemi di ordine
politico ed economico: una società non può assorbire indiscriminatamente
un’immigrazione di massa; e il fatto che si fa leva, per rendere
appetibile un tale movimento di popoli, sul desiderio di persone senza
scrupoli di sfruttare i poveri dell’altra parte del Mediterraneo come
manodopera a basso costo.
Qualunque europeo, di qualsiasi opinione
politica, ha in mente tutti o alcuni di questi problemi, al di là del
modo in cui pensi di affrontarli. Dal IX secolo i Papi, tra i quali
diversi santi, hanno armato flotte per frenare l’ingresso (armato,
certo) dei musulmani in Italia, desiderando preservare il cattolicesimo
lì dove non era ancora stato annientato dall’invasione maomettana. Papa
Bergoglio invece con il suo viaggio a Lampedusa ha voluto invece
semplificare la questione: ci sono dei miserabili che vogliono venire da
dei ricchi egoisti che li lasciano morire in mare, e questi ricchi
colpevoli siamo noi tutti. Seppur questo messaggio possa contenere una
piccola verità, non può esaurire un problema dalle complicazioni così
gravi. Se è vero che il primo soccorso, nel pericolo di vita, non può
essere negato a nessuno (qualora lo si possa dare), è chiaro anche che
non si può sottovalutare il piano massonico di creazione di una società
multiculturale, specialmente quando si è Papa e quindi si ha la
responsabilità della difesa della fede.
Gesti e parole di Papa Francesco sono
stati quindi all’insegna del più bieco becerismo progressista, fino alla
celebrazione della Messa sulla barchetta e con oggetti sacri fatti di
rottami. Gesti di popolarità immediata presso un certo pubblico e
soprattutto presso i media.
Il Papa non si è però limitato a
lanciare un SOS globale per dei poveri naufraghi, cosa che con molto
sforzo potrebbe ancora giustificarsi: egli non ha dimenticato di
trovarsi di fronte a immigranti prevalentemente musulmani (portati
ovviamente a seguire la Messa, nonostante il decantato rispetto della
coscienza altrui). E quale messaggio ha rivolto a loro, e tramite loro
all’Europa? L’augurio di abbondanti frutti spirituali per il Ramadam. L’espressione frutti spirituali
evidentemente mette il Ramadam non su un piano di pura ricorrenza
sociologica, per cui si augura di trascorrere una buona festività della
loro cultura, ma inequivocabilmente lo si qualifica di pratica religiosa
che può portare frutti per l’anima. Si deve ricordare che la tali
auguri, nelle forme più ufficiali e alle più svariate religioni, sono
prassi del Vaticano e degli episcopati da decenni, ovviamente anche
durante il Pontificato di Benedetto XVI. In questo caso essi
costituiscono l’unico accenno alla problematica dell’appartenenza
religiosa degli immigrati. Nessun invito alla conversione, ovviamente,
ma a rimanere fedeli alle loro pratiche religiose, considerate efficaci
sulla scorta di Nostra Aetate e del solito modernismo.
L’islamismo degli immigrati non deve quindi essere considerato
dall’Europa un problema. Il cattolicesimo che ha a cuore la
preservazione dell’identità cristiana del Vecchio Continente è così
screditato in due mosse, come ha capito il comunista Michele Serra dalle
colonne di Repubblica, inquieto che i reazionari possano attaccare il Papa come ecumenista e mondialista.
Papa Francesco non sta facendo gesti
qualitativamente diversi dalle dottrine conciliari ormai note: libertà
religiosa per tutti, valore salvifico delle false relgioni, liturgia che
deve incarnarsi nel vissuto immediato della comunità, sono da decenni
il pane quotidiano ammannito dai Pontefici ai cattolici e al mondo.
Tuttavia lo fa con particolare abilità nel mettersi al servizio dei
media (dicite nobis placentia) e dei grandi architetti del
nuovo ordine. Grazie a lui, si realizza il voto di Enzo Bianchi
nell’articolo sulla Fraternità San Pio X apparso su Repubblica
dell’8 luglio: «Quello che invece è urgente è che nella chiesa cattolica
non ci siano incertezze sul concilio e sulla riforma liturgica [...]
Noi speriamo che papa Francesco riesca in quest’opera di compaginare
nell’unità i cattolici, anche attraverso il rito eucaristico voluto dal
Vaticano II e recepito da tutta la chiesa. Ci sia pluralismo, si
permetta la celebrazione del rito precedente al concilio, ma cessi
l’incertezza sul concilio e sulla riforma liturgica».
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