ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 3 agosto 2013

Momento delicato


 

Di Frate Joaquim Daniel Maria de Sant’Ana, FBMV  

Articolo pubblicato sul sito della FAMILIA BEATAE MARIAE VIRGINIS - Monastero di Nossa Senhora da Fé e do Rosário, Candeias – Bahia – Brasil


Col capitolo di luglio 2012, all’interno del Fraternità San Pio X si è introdotto un principio contraddittorio: è possibile conservare e trasmettere la fede nella sua integralità, mentre ci si sottomette alla Roma conciliare. La parola magica che affascina e offusca la realtà della trappola, è “garanzie”: Roma dà delle garanzie, la Tradizione cattolica si mantiene e si sviluppa mentre Roma continua com’è [1].

Ma se è così, perché si è tanto parlato e si è occultato il “preambolo dottrinale”? Se la Roma conciliare continua com’è, allora ognuno resta con la sua dottrina e le garanzie risolvono tutto. E tuttavia, sappiamo a quali eccessi si è giunti con la dichiarazione dottrinale di aprile 2012. La “comune comprensione della fede” [2], che si comprende solamente col distogliere costantemente lo sguardo, è una pietra dello scandalo che ha fatto rovinare l’edificio dell’affidabilità delle autorità della FSSPX.

Inoltre, termini come “accordo”, “riconoscimento” o “normalizzazione canonica” non devono far dimenticare che si tratta di una sottomissione all’autorità. Non si tratta si due potenze che realizzano un accordo diplomatico in cui ognuna di esse assume diritti e doveri conservando integralmente la sua sovranità. Qui si tratta di una congregazione religiosa a fronte del potere supremo della Chiesa. Si tratta del Vicario di Gesù Cristo davanti ai suoi sudditi. Sono i sudditi che giudicheranno il rispetto o meno delle garanzie? [3]

Questa novità è una bomba a orologeria che disarmerà la piccola resistente cristianità, rendendola vulnerabile ad altre bombe ben più terribili, quelle del Vaticano II. A causa della sua importanza strategica, essa è vista con grande interesse da tutti coloro che desiderano la disastrosa sottomissione ad un pontefice che è ben lungi dall’essere pienamente cattolico [4]. Le avverse circostanze possono costringerli a tutto, purché non si rinunci alla conquista sottilmente sovversiva del Capitolo di luglio.

La recente dichiarazione dello scorso 27 giugno è un esempio emblematico di questi passi indietro strategici che possono prevalere in alcune circostanze [5]. Il testo contiene molte considerazioni pertinenti riguardo al Vaticano II e alla crisi della Chiesa, dovute al fatto che trattandosi di dichiarazioni ufficiali della FSSPX è stato ripreso un linguaggio al quale ci eravamo un po’ disabituati. Ma ecco che al punto 11, si legge:

Questo amore della Chiesa spiega il principio che Mons. Lefebvre ha sempre osservato: seguire la Provvidenza in tutti i frangenti, senza mai permettersi di anticiparla. Noi intendiamo fare altrettanto: sia che Roma ritorni presto alla Tradizione e alla fede di sempre – il che ristabilirà l’ordine nella Chiesa – sia che essa riconosca esplicitamente alla Fraternità il diritto di professare integralmente la fede e di rigettare gli errori che le sono contrari, con il diritto ed il dovere di opporsi pubblicamente agli errori e a coloro che li promuovono, chiunque essi siano – il che permetterà un inizio di ristabilimento dell’ordine”. 

E come ha ben osservato Mons. Williamson: “Attenzione, dicevano i latini, ‘il veleno sta nella coda’” La sottigliezza è stata intensificata, con una attenzione dottrinale accurata [6], ma continuiamo a stare nella melma. Invece della semplicità divina della conversione, base necessaria per una fiducia nell’autorità, che conduce naturalmente all’obbedienza, abbiamo l’alternativa di “un inizio di ristabilimento dell’ordine”, prodotto da un esplicito riconoscimento del diritto di professare integralmente la fede e di rigettare gli errori che le sono contrari, insieme con il diritto e il dovere di opporsi pubblicamente agli errori e ai loro fautori, chiunque essi siano.

Molte parole che trasmettono una sicurezza che è solo apparente. Tutto dipende dal termine “riconoscimento”. In verità vi è una giurisdizione di supplenza, in forza dello stato di necessità che affligge la Santa Chiesa di Dio da quando le sue autorità sono state travolte dagli errori modernisti: se questa viene sostituita col riconoscimento da parte della Roma conciliare, si dà per scontata la scomparsa dei motivi che la determinavano. Ma lo Stato di necessità può scomparire solo, come minimo, con la conversione esplicita del Sommo Pontefice all’integralità del cattolicesimo, nel qual caso le cose si aggiusterebbero facilmente, in piena fiducia, e sarebbero i modernisti a chiedere garanzie; e un tal Papa cattolico, chiaramente, non le concederebbe.

Ma qui si chiedono garanzie ad un papa modernista servo della Roma conciliare, si chiedono garanzie per opporsi pubblicamente agli errori e ai loro autori, chiunque siano. Si chiede cioè che il Papa conceda il diritto di opporsi pubblicamente agli errori dello stesso papa? Sarebbe la più ridicola normalizzazione canonica della storia della Chiesa.

La cosa più triste è che tutte queste tergiversazioni, tutta questa ambiguità irrefrenabile, concorrono a portare avanti l’acquietamento di molti malcontenti che, ormai da un anno, sembrano trovare qualche conforto ripetendo la frase tranquillizzante: “Non c’è stato alcun accordo”. Ma dal momento che questo non è sufficiente, una dichiarazione come questa potrebbe far dire, a necessario completamento della prima: “Alla fine non è cambiato alcunché, tutto è come prima.” E allora potrebbe sopraggiungere un coma profondo.

È in momenti come questi che dobbiamo ricordare le parole del nostro primo Papa: “Siate sobri e vigilate (...) Resistetegli saldi nella fede”, la fede viva e incrollabile che affina il discernimento e ispira l’azione.

Discernere: prima è venuto il riconoscimento della Messa di sempre, e al tempo stesso la sua limitazione e il suo declassamento. Poi la revoca delle scomuniche, che non era il ritiro del decreto, che fu un “atto di misericordia” delle autorità romane, e quelli che volevamo giustizia finirono col ringraziare e cantare un Te Deum. Sarebbe adesso la volta di una FSSPX riconosciuta e limitata in una riserva “sui generis”, che attende una soluzione “chiarificatrice”? In tutto questo processo discendente si discerne il segno della contraddizione, la contraddizione che sta nel codice genetico di ogni liberale.

E una volta colto l’inganno, per amor di Dio, non si pensi di essere giunti al fondo della questione. Numerosa o no, la Resistenza ha la benedizione del Dio di Verità. Coloro che sono organizzati, incoraggino quelli che vogliono organizzarsi e aiutino quelli che si stanno organizzando, e tutti, soprattutto i sacerdoti, cerchino nella confessione della fede la grazia di agire esattamente secondo i disegni della Provvidenza.


NOTE

1 - Mons. de Galarreta, vecchio resistente, intervistato in Polonia (aprile 2013), ha dichiarato: “Certo la cosa migliore sarebbe che Roma rinunciasse agli errori conciliari e tornasse alla Tradizione, e solo allora, su questa base, la Fraternità otterrebbe automaticamente uno status canonico nella Chiesa. Ciò nonostante, la realtà ci porta a non far dipendere un eventuale accordo da una grande autocritica di Roma, ma dal riconoscimento di garanzie reali, con le quali Roma, così com’è, permetta alla Fraternità di rimanere com’essa è…

2 - Don Pfluger, in un’intervista al Kirkliche Umschau.

3 - Lo stesso Capitolo di luglio risponde no, con lo stabilire tra le condizioni solo “desiderabili” di avere tribunali solo di prima istanza. Una volta che si vuole un accordo, è inevitabile…

4 - Cosa che contraddice direttamente l’esortazione Mons. Marcel Lefebvre ai quattro vescovi consacrati nel 1988.

5 - In un articolo dello scorso anno, dicevamo: “Esse (le autorità della FSSPX), con ogni probabilità, sapranno sfruttare i risultati del Capitolo, con mosse calcolate e alternando ritirate tattiche per recuperare credibilità, seguite da una nuova offensiva generatrice d’opinione”.

6 - A cui certamente parteciperanno teste che ancora pensano bene nella Fraternità, come Mons. Tissier e Don de Cacqueray. A volte la buona fede della brava gente produce grandi danni…
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV562_Frate_de_Sant-Ana_momento_delicato.html

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