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venerdì 2 agosto 2013

People’s Pope, una requisitoria



Lo storico de Mattei stronca la “forma” scelta da Francesco

Babbucce rosse, borsa nera con rasoio e breviario, automobile non blindata. “Ormai siamo ridotti a valutare un Papa da questi elementi, da un discorso in aereo anziché dagli atti di magistero, dice al Foglio lo storico Roberto de Mattei, preoccupato dal fatto che il Pontefice stia diventando “un personaggio da rotocalco, da talk-show”. “Oggi tutto diventa superficie, gestualità, ed è su questo campo che si va a cercare il senso ultimo delle cose. Perdendo i contenuti e la sostanza, si discute della forma che finisce per diventare essa stessa sostanza”, aggiunge.
E’ sufficiente fare un paragone con il risalto dato alla ‘Lumen Fidei’, la sua prima enciclica: “Paradossalmente, si è sottolineato di più quanto detto in aereo piuttosto che il contenuto di quel testo. Eppure, tra le due cose c’è un abisso”. Non è impressionato, De Mattei, dal colloquio tenuto da Francesco con i giornalisti a bordo dell’airbus che l’ha riportato a Roma dopo la settimana trascorsa a Rio insieme ai giovani, ai poveri, agli ultimi. Più che della conferenza stampa in volo, “bisognerebbe discutere degli atti di governo del Papa, anche se sono ancora pochi. I pontefici si esprimono  con le encicliche e i motu proprio. Le parole in aereo lasciano il tempo che trovano, sono opinioni a braccio e personali, del tutto sprovviste del carattere magisteriale”. Certo, ammette il nostro interlocutore, “sono interessanti per costruire il personaggio, ma rimangono comunque aspetti marginali”.
Si prendano ad esempio le affermazioni sui gay o quelle sulla Madonna definita dal Papa “più importante degli apostoli, dei vescovi, dei diaconi dei preti”: per De Mattei “sono temi delicati e importanti che possono essere costruiti solo all’interno di un discorso di magistero e non ridotti a boutade. Le battute possono essere significative, ma rimangono prive di valore”. Frasi a braccio, spontanee che possono creare fraintendimenti superabili se a crearli è l’uomo comune, problematiche se uscite dalla bocca del vicario di Cristo: “Leggendo i commenti su quanto detto da Bergoglio circa i gay, compreso quello del filosofo cattolico Giovanni Reale sul Corriere della Sera di martedì, sembrava quasi di essere davanti a un cambiamento dottrinale. Eppure, prendendo il testo completo delle affermazioni di Francesco, ci si rendeva conto che era stato proprio lui a basare le proprie parole sulla dottrina cattolica”. Sta tutto nel capire dove viene posta l’enfasi, e in riferimento al gesuita preso quasi alla fine del mondo, questa viene posta sul cambiamento: “Un cambiamento di stile, una rivoluzione nei gesti e nel linguaggio” che per De Mattei finisce per “diventare più profonda rispetto al piano dottrinale”.
La forma esprime un contenuto, o almeno così dovrebbe. Il problema si determina quando “i contenuti vengono perduti, messi da parte o smarriti. In quel caso si discute di una forma diventata vuota. Prescindendo dalla dimensione sacrale del Papato – prosegue lo storico del Cristianesimo – ecco che la babbuccia rossa diventa una stravaganza”. Un po’ di colpa, in tutto ciò, ce l’hanno anche i mass media: “A me interessa poco se il Pontefice va in Cinquecento o Mercedes. Se mi trovassi dinnanzi a un San Pio X mi starebbe pure bene che indossasse abiti dimessi”. Il punto è un altro, è “la riduzione della posizione del Papa a puri gesti” senza badare troppo alla sostanza. Ma Francesco, dice Roberto de Mattei, “non è uno sprovveduto né un ingenuo. Pensa a quel che fa e ha scelto di affidare il suo messaggio più ai gesti che alle parole e più alle parole personali che agli atti magisteriali”. Il timore, però, è che sul piano mediatico il Papa “stia giocando con il fuoco, che da parte sua ci sia l’idea di riuscire a dominare il mondo della comunicazione. Neppure questa è ingenuità, ma forse il vescovo di Roma sovrastima le sue capacità politiche di rapportarsi con la realtà della comunicazione”. E nel mondo d’oggi “c’è bisogno di spirito soprannaturale piuttosto che di calcoli politici o mediatici. Il mio timore – continua il nostro interlocutore – è che a forza di presentarsi come uomo comune lo diventi davvero. Ma lui è il vicario di Cristo, un fattore che non può non essere messo in luce. Babbucce e sedia gestatoria avevano il merito di esprimere, magari in maniera sbagliata, questo valore di sacralità spettante al vicario di Cristo”, dice De Mattei.
Ma se il Papa “girasse in clergyman, come peraltro il cardinale Bergoglio era solito fare a Buenos Aires, che messaggio darebbe?”. Il punto fondamentale che non può essere frainteso è che il Pontefice “non è un uomo come noi, e questa umanizzazione del papato porta a dimenticare il fondamento divino e metafisico”.
Per lo storico del Cristianesimo, la conseguenza di tale processo di desacralizzazione è l’eliminazione delle barriere al reticolo magistrale: “Quando le parole del Papa diventano quelle di un uomo comune, tutte le critiche diventano lecite. Quando la verità è ridotta a opinione, quando si smarriscono i contenuti, quando non si parla più di valori non negoziabili, tutto diventa negoziabile, tutto diventa oggetto di discussione”. Un percorso che “porta la chiesa a protestantizzarsi. Questo è il rischio che vedo”, dice De Mattei.
Anche sulla questione della chiesa povera vicina agli ultimi, missionaria alle periferie esistenziali, il nostro interlocutore avanza qualche perplessità: “Mi ha colpito molto che un Papa che si richiama a san Francesco perché nel frate di Assisi vede un modello di vita, che fa continui richiami contro la mondanità spirituale e in favore della sobrietà dei gesti, abbia di fatto avallato la decisione della congregazione per gli Istituti di Vita consacrata presieduta dal cardinale brasiliano Joao Braz de Aviz di colpire i Francescani dell’Immacolata”. Se c’è una congregazione religiosa che vive di spirito evangelico è proprio quella, spiega De Mattei. “Sono episodi sconcertanti, se si pensa che mentre si fanno continui richiami alla semplicità evangelica, la curia con le sue strutture è immutata. La mannaia cade sui piccoli, sugli ultimi, sui fedeli alla tradizione. Se Francesco vuole chinarsi verso gli ultimi, non c’è bisogno che viaggi lontano, ma è sufficiente che incontri le tante comunità di fedeli che rimangono tenacemente attaccate al Magistero, alla morale perenne. A quelli maltrattati dai loro vescovi, dai dicasteri della curia, isolati e demonizzati. Cercare il più lontano dimenticando il più vicino è una falsa idea d’amore”. De Mattei precisa di non voler mettere in discussione il fatto che il Pontefice si indirizzi alle periferie, ai più lontani. Più che altro, bisognerebbe ricordarsi sempre che “la strada per arrivare ai più lontani passa per i più vicini, e non ci sono scorciatoie possibili. E i vicini, oggi, sono i cattolici legati alla tradizione. Se c’è qualcuno che ha bisogno di misericordia e tenerezza (parole usate da Francesco a Rio), questi sono proprio loro”.
Leggi la conferenza stampa integrale del Papa di ritorno dal Brasile - Armeni Il Papa delle donne ci stupisca ancora

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