alcune chicche dall’esortazione al caos evangelico di Papa Francesco. Come ebbe a dire a Kiko Arguello poco dopo la sua elezione il Papa sembra auspicare una Chiesa dove si faccia “casino”, dove non ci sia più una autorità centrale che “trattiene”. Dove si possano delegare alle Conferenze episcopali anche definizioni dottrinali con il Papa ridotto a garante dell’ecumenismo, a saggio vegliardo che consiglia e guida. Magari il suo sistema funzionerà.  Ma l’incognita è legata a questa azione del Papa che demolisce l’immagine, la struttura impalpabile del rapporto fra un Papa e la sua Chiesa così come l’abbiamo conosciuta. Perché è certo che il “mondo” saprà accettare e avvicinare questa “nuova” Chiesa ben diversa dalla precedente. Resta da capire invece cosa ne sarà di quella Chiesa precedente, se verrà rottamata diventerà difficile capire quale autorità possa avere una figlia che rinnega sua madre. Il Papa trasferisce tutto su un piano imprevedibile e spiritualmente indefinito, dove le strutture non servono più e l’autorità è ridimensionata. Dove la cura dottrinale e liturgica sono ridotte a caricaturali simulacri di narcisismo ed estetismo ipocriti, dove l’ascolto e l’accettazione dell’altro e il rapporto dialettico in genere assurgono a cardine dell’evangelizzazione.
Drammaticamente – ossia con una certa teatralità – il Papa finisce per derogare dalle sue prerogative. E così, relativizzando la sua autorità, somiglia ad un monarca che esercita il potere al solo scopo di demolirlo, o di distribuirlo ad altri. Che riconosce la propria autorità solo al fine di privarsene. Il che è bello ed umile se non fosse che l’umiltà starebbe nell’astenersi dal modificare ciò che si è ricevuto, dal depotenziare la struttura del Papato al fine di adattarla alle presunte necessità del tempo. Questo è relativizzare, storicizzare il Papato, rendere il papato dei secoli o dei mesi scorsi una sorta di tradimento inautentico dell’istituzione divina. Sostenere, in sintesi, che tutto ciò che c’è stato finora sia stato plasmato sul mondo e le sue necessità. E oggi che il mondo è cambiato, deve cambiare il Papato.
E’ interessante poi notare che il Papa smorza ogni potenziale critica rammentando che il vero cristiano è gioioso. E qui mi sembra di averlo preceduto con la mia lettera ai tradizionalisti tristi. Fondamentalmente però non c’è nulla di cui rattristarsi in tutta questa rivoluzione del Papa (che è poi dei Cardinali che l’hanno eletto e che hanno promosso attivamente questa rivoluzione). E tuttavia neppure argomenti per i quali gioire. Propongo una terza via: quella un po’ stoica dell’impassibilità!
In ogni caso – e qui il tono dovrebbe passare dal mesto, gioioso o impassibile che sia, all’ironico o persino al comico – dopo aver letto l’intera esortazione apostolica mi resta un dubbio amletico: quale sarebbe la buona novella che dovremmo annunciare noi cattolici oggi? Se si tratta di banalizzare il messaggio cristiano in una sorta di abbraccio globale, beh, sono certo che ci riusciremo. Perché nell’esortazione è curioso constatare che parole come “peccato” e “conversione” vengano usate non per connotare la dinamica evangelizzatrice, ma per definire la trasformazione, la palingenesi della Chiesa stessa. Come “paradiso” e “inferno”, “vita eterna” o “aldilà” siano del tutto assenti. E come il concetto di redenzione trascolori in una dimensione “sociale”.
Insomma più contraddizione, più confusione di questa tra passi avanti e passi indietro, interviste date e poi più o meno ritrattate, colpi a destra e colpi a manca, Vaticano II à la Marchetto e Vaticano II à la “basta coi profeti di sventura”, insomma, più casino di così si muore!

Dall’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”

16. Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”.
32. Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione.
40. Inoltre, in seno alla Chiesa vi sono innumerevoli questioni intorno alle quali si ricerca e si riflette con grande libertà. Le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono far crescere la Chiesa, in quanto aiutano ad esplicitare meglio il ricchissimo tesoro della Parola. A quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo.
47. [...] Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa.
94. Questa mondanità può alimentarsi specialmente in due modi profondamente connessi tra loro. Uno è il fascino dello gnosticismo, una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico. Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo evangelizzatore.”
95. Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi.
96. [...] Invece ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” – il peccato del “si dovrebbe fare” – come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele.
280. [...] Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!