Amare il Papa e combatterlo, combatterlo perché lo si ama. Si può
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro risponderanno a queste critiche di don Matteo Graziola, se lo vorranno e quando vorranno. Io mi limito a qualche notazione da laico fervente e ammiratore della fede degli altri e della sua capacità di comunicarsi in una cultura, in una lingua letteraria, in un’etica senza le quali il mondo della mia civilizzazione, quello universalista d’occidente e quello giudaico-cristiano, è spacciato. Gli atei devoti veri, quelli che meritano il crisma da me scelto per me stesso in funzione ironica e polemica per tanti anni, la loro opzione devota, forse superstiziosa, l’hanno già espressa: hanno chiesto al Papa il perdono cristiano, ma per rimanere nella loro pelle e nella loro mondanità spirituale, senz’ombra di contrizione o pentimento, e l’hanno ampiamente ottenuto (giusto: i gesuiti sono maestri del perdono cristiano, e tra i maestri sono i più sofisticati, come insegnava Pascal, come sapeva l’ateo devoto Voltaire).
I cretini, specie i cattolici mondani di sinistra, pensano in modo pettegolo che qui non si ami il Papa. Errore blu: sono e sarò sempre papista, a me i Papi piacciono carnalmente tutti, anche Alessandro VI e Bonifacio VIII, e ho poi speciali predilezioni per Pio IX, Pio X, Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Di Ratzinger non voglio nemmeno parlare: è un padre spirituale e un maestro razionale, un colossale pensatore cristiano del Novecento.
Qui entra Francesco, e casca l’asino. Lo ammiro perché è un uomo disperatamente ambizioso, un gesuita che si vota alla riforma della chiesa, e che si abbevera a fonti di spiritualità e di mistica del Cinquecento (studiare il beato Pierre Favre mi è di grande utilità per capire di che pasta sono fatti il suo “sentimentalismo”, il suo rispetto ostentato e relativista per la libertà di coscienza, la sua ignaziana indifferenza a tutto, versata nella ricerca di Dio in tutte le cose, il suo ritorno al cuore, la sua diffidenza verso la ragione astratta prima e dopo Cristo). I titoli più scandalosi dei pezzi di Gnocchi e Palmaro (“Questo Papa non ci piace” e “Un Cristo senza dottrina né verità”) sono miei, e come tutti i titoli tradiscono e insieme esprimono il testo sottostante. Quei titoli sono parte di un dialogo diretto, rispettoso ma senza remore ipocrite, sono pietre di scandalo per capire meglio l’incognito e per esprimere al meglio quel che si è capito fino ad ora.
Don Matteo, che nel suo cuore è in contatto con questa eresia devota antipapale, evoca errori, sproporzioni del Papa, frasi e atteggiamenti poco felici, ma chiede obbedienza e assistenza all’uomo scelto dallo spirito per guidare la chiesa e confermare la fede. Credo di essere tra i pochi ad aver detto “viva il Papa” sulla carta e in televisione, ad aver predicato laicamente l’obbedienza come una virtù. Ma per me laico quest’obbedienza ha un limite intellettuale. Se chi discute l’alleanza tra fede e ragione, chi vuole un cuore di fede razionalizzato, è fuori della chiesa e non è figlio di Cristo, come dice il Papa in Santa Marta, luogo di delizie e grandezze sul piano storico-ecclesiale e su quello magisteriale, allora resisto, faccio appello al cielo, come diceva John Locke, in un ultimo sforzo per dissuadere la chiesa militante di Cristo dal cedere al lusinghiero relativismo secolare.
Amo il Papa e lo combatto, lo amo perché lo combatto, lo combatto perché intensamente e profondamente lo amo.
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