dei pretini trendy del Veneto cattolico che fu…
Un commento alla lettera scritta da undici parroci veneti per il Santo Natale
di p. Ariel S. Levi di Gualdo
.
Sia lodato Gesù Cristo …
Nella festa del protomartire Stefano mi è lieto augurare grazia, pace e benedizioni da Dio e dal Signore Nostro Gesù Cristo a voi tutti cari lettori, in questa Ottava di Natale che celebra il ricordo vivo del Verbo di Dio fatto Uomo che è inizio, centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo, come nell’anno 2000 la Congregazione per la dottrina della fede fu costretta a ricordare a tutti noi con l’Esortazione Dominus Jesus, data a quattro decenni di distanza da un concilio ecumenico della Chiesa per ribadire, nell’infausta stagione del post concilio egomenico,certi trascurati criteri di centralità e di assolutezza della fede all’esercito di teologi allo sbando e di preti allo sbaraglio, quantunque certi criteri siano noti sin dal Concilio di Nicea celebrato nell’anno 325, perlomeno a chi conosce il Catechismo della Chiesa Cattolica, senza dover tirare neppure in ballo la teologia.
Qualche prete à la page in jeans, scarpe da ginnastica e maglioncino alla Antonio Mazzi o alla Luigi Ciotti – ma anche qualche vescovo toninobellista – potrebbe storcere il naso dinanzi a questo profondo e sincero saluto iniziale tratto dal formulario dell’epistolario paolino. E qualcuno di questi preti trendy, a me che porto la talare nei momenti prescritti e il clergymannegli altri momenti, potrebbe perfino dire: «Quanto sei vecchio e clericale!». Ignari, dietro ai loro jeans sdruciti, che io la talare la porto per coprire i sacerdotali attributi che il Signore mi ha donato per sua grazia e che sono parte imprescindibile del sacerdozio ministeriale che dovrebbe essere conferito tutt’oggi soltanto a uomini certi, quindi per coprire il mio viscerale anticlericalismo. Come infatti ho più volte spiegato, scritto e ripetuto, mai come oggi la Chiesa era giunta ai perniciosi livelli di clericalismo nei quali l’hanno fatta sprofondare i pretini in jeans circondati da giovani brufolosi schitarranti durante liturgie declassate da sacri misteri a teneri incontri sociali e filantropici, dove si parla con gran sentimentalismo di pace, di diritti civili, di profughi sbarcati a Lampedusa, di ecologia e di politica sociale, sino all’apice dell’aberrazione: la carità trasformata in mera e umana solidarietà, in scuola ecclesiale di educazione civica.
Quando nei momenti pubblici mi rivolgo al Popolo di Dio, specie ai giovani o agli amabili chierichetti che in questi giorni di festa mi hanno servito all’altare come degli angeli di Dio, di solito saluto dicendo: «Sia lodato Gesù Cristo!». D’altra parte sono convinto – e tale resterò – che questo saluto di lode rivolto da un sacerdote del Signore ai Christi fideles sia molto più importante di un ammaliante e inopportuno: «Buongiorno a tutti voi» e «buonasera». O come dissi poco tempo fa a un prete trendy che dicendo «Buongiorno» ha preso il vezzo d’iniziare le sacre celebrazioni: «Caro confratello, secondo te è più importante rivolgersi al Popolo di Dio con l’invocazione trinitaria di rito “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la Comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”, oppure dire ai fedeli riuniti in assemblea per la celebrazione dell’ineffabile Sacrificio Eucaristico: “Buongiorno a tutti voi”? Dimmi: non sarebbe meglio spiegare ai nostri fedeli l’importanza di questo saluto contenente una preziosa invocazione trinitaria, anziché lasciarli in pasto alla più desolante e superficiale ignoranza emotiva racchiusa dentro un semplice e inopportuno «Buongiorno a tutti voi»?
È però cosa buona e giusta precisare che il confratello in questione non aveva alcuna colpa, forse non era neppure colpevole della sua superficialità, tutta dovuta non alla sua persona ma alla cattiva formazione che da alcuni decenni viene data nei seminari, da me non a caso ribattezzati nel mio penultimo libro: «pretifici». E ancora ripeto che questo prete – come forse il gruppo degli undici parroci veneti che hanno scritto la loro letterina a Babbo Natale – non era responsabile, perché come recita un saggio proverbio popolare: «Il pesce che marcisce puzza sempre a partire dalla testa», mai dalla coda.
Dopo questo breve panegirico veniamo a questa lettera di Natale 2013 [qui] scritta da un gruppo di preti tristi rimasti fermi ai fumosi comitati di base del Sessantotto, come lascia capire su Corrispondenza Romana Mauro Faverzani [qui], negli anni in cui il peggio dei clericali che avevano gettato la tonaca alle ortiche per rivestirsi di “spirito nuovo” e di “parole nuove”, parlavano di “Chiesa di base” di “reinventare la Chiesa” o di “reinventare la fede”. Il tutto coi risultati che a quattro decenni di distanza sono ormai palesi in tutta la loro tragicità: “Nel mese di marzo il neo eletto Sommo Pontefice si è affacciato alla loggia centrale di San Pietro per annunciare urbi et orbi “buonasera” a una Chiesa europea al collasso nella quale le chiese di Olanda, Belgio, Germania – fulcri dello “spirito nuovo” e di mille devastanti reinvenzioni e altrettante stramberie liturgiche – sono da anni a tal punto vuote che le diocesi stanno mettendo in vendita uno dietro l’altro gli stabili usati sino a poco prima per il culto divino, il tutto dopo che le Chiese locali d’Europa hanno cominciato a raccogliere i frutti prodotti dalle semine funeste fatte attraverso i pensieri del gesuita Karl Rahner e del domenicano Edward Schillebeeckx”. Per questo in un mio recente scritto affermai che in modo coerente e ragionevole, su ogni chiesa vuota messa in vendita per mancanza di fedeli, andrebbe posta una lapide a perenne memoria di tutti i teologi bandiera della Nouvelle thèologie[qui].
Dunque è proprio il caso di dire: buonasera Chiesa Cattolica Apostolica Romana in fase avanzata di scristianizzazione in tutta Europa.
Buonasera a te, Chiesa Latinoamericana impestata dalle peggiori derive teologiche che i ricchi tedeschi strapieni di soldi vi hanno importato in virtù dei propri quattrini, a ben considerare che spesso, una singola parrocchia della Germania, mantiene una diocesi intera in certi paesi dell’America Latina.
Buonasera a te, Chiesa del Brasile dove ormai i preti che vivono in situazione di irregolarità sono così numerosi da essere divenuta cosa quasi tollerabile che i figli di certi parroci servano la Santa Messa al papà prete. O come disse anni fa al Sommo Pontefice un arcivescovo metropolita brasiliano – che la sera stessa lo riferì lui personalmente a me dopo quell’incontro mattutino – «Non è accettabile che le donne dei preti vivano direttamente dentro le case canoniche con i loro bambini». Rispose affranto l’arcivescovo a questo sacrosanto monito del Romano Pontefice: « … ma se dovessi sanzionare canonicamente i preti che vivono simili situazioni, dovrei ridurre allo stato laicale una media di cinque o sei preti su dieci». A quel punto convennero – ah, benedetta diplomazia ecclesiastica! – che i bambini e le donne dei preti non vivessero perlomeno nelle case parrocchiali.
Buonasera a te, Chiesa dei vari paesi d’Oriente dove li boni gesuiti della nuova Compagnia delle Indie nata sulle ceneri della Compagnia di Gesù – che per inciso nessuno commissaria perché certi sicari della curia romana sono troppo impegnati a fare la pelle ai Francescani dell’Immacolata – portano avanti forme di sincretismo religioso spinte a tal punto che certe sacrileghe celebrazioni eucaristiche paiono una via di mezzo tra mantra buddisti e non meglio precisati riti cattolici.
Buonasera …
Nel 2010 trascorsi due giorni con un vescovo africano, un autentico uomo di Dio, al quale cercai di insegnare a leggere il messale di Paolo VI in latino. Pochi giorni dopo il presule sarebbe andato in udienza privata dal Santo Padre che lo aveva invitato a concelebrare con lui e che con lui si sarebbe poi intrattenuto dopo la celebrazione. Il vescovo temeva che Benedetto XVI celebrasse col messale latino, per questo mi chiese di aiutarlo a fare esercizi di lettura. Durante le ore trascorse insieme il vescovo mi volle confidare di sua libera iniziativa il motivo di quella richiesta di udienza: «La mia diocesi è poverissima e io ho un grande problema. Dobbiamo in qualche modo sostenere i figli che i nostri preti hanno seminato in giro per i villaggi. Loro hanno sbagliato, indubbiamente. Ma noi, come Chiesa, non possiamo lasciare queste creature abbandonate per le strade. Questo è il motivo della mia visita al Santo Padre: sto andando a chiedergli soldi, semplicemente a chiedergli soldi per far fronte a questa situazione che coinvolge ormai centinaia di bambini e altrettante centinaia di ragazze madri spesso abbandonate o espulse dai loro nuclei familiari senza alcun genere di sostegno».
I problemi della Chiesa e nella Chiesa non nascono certo a partire da mezzo secolo fa, incluse immoralità, chierici libertini, figli illegittimi dei preti, malversazioni economiche, cariche ecclesiastiche acquisite tramite ricatti e varie forme di simonia e via dicendo. Ciò che però sfugge è un passaggio di non poco conto: ieri la Chiesa – come ben sanno coloro che conoscono almeno un po’ la storia – era attaccata da fuori, condizionata da poteri secolari e politici, col risultato che in varie stagioni si sono sviluppate al suo interno le peggiori nefandezze; ma tutto proveniva dall’esterno e dall’esterno aggrediva e fermentava al nostro interno. Oggi la situazione è totalmente mutata: la Chiesa si è trasformata in una struttura di peccato che genera e produce peccato al proprio interno. Se poi all’interno e dall’interno qualcuno osa ribellarsi a questo stato di degenerazione finirà colpito, ostracizzato e perseguitato dai macchinisti che trainano questa locomotiva e che gettano carbone nella sua caldaia per condurla quanto prima verso il dirupo al di fuori di tutti i possibili binari».
La lettera di questo gruppo di preti trendy post sessantottini, oggi forse non più giovani e forse afflitti da artrite reumatoide, è paradigma di tante cose, molte delle quali nascono proprio da un semplice «buonasera!». E sentendosi legittimati da quel «buonasera!» e auto legittimandosi su quel «buonasera!», assieme alla vecchia tonaca hanno gettato alle ortiche anche il sano e pedagogico: «Sia lodato Gesù Cristo!».
Ho notato che questi preti tristi rimasti ancorati ai fumosi comitati di base degli anni Settanta e autori della lettera a Babbo Natale sono un gruppo di sacerdoti veneti. Or bene se non erro, Patriarca di Venezia, nonché metropolita dell’intera regione e presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto è Francesco Moraglia, amato da sempre dal mondo della tradizione, da quello dell’ortodossia e della corretta dottrina, stimato e descritto qual prodigo e prodigioso allievo della scuola del Cardinale Giuseppe Siri. Proprio per questo mi domandavo: quest’uomo di indubbia fede e di profonda spiritualità che di stima ne merita molta, dinanzi al pubblico scritto di questi preti, pensa forse di salvare la fede e il Popolo di Dio dagli scandali sempre peggiori dati da un numero sempre maggiore di preti allo sbando indossando pianete laminate d’argento e d’oro e splendide mitrie gemmate, procedendo in processione durante i pontificali con tutta la dignità che di prassi è richiesta a un vescovo, facendo belle omelie improntate sul migliore magistero e sulla più impeccabile dottrina, in tempi cupi e terribili nei quali per mettere in crisi l’essere e il divenire futuro della Chiesa sono bastati solo pochi secondi è un semplice: «Buonasera!»? Perché se persino i custodi veri e autentici della fede e della retta dottrina si nascondono dietro il dito del “tacere per amore della Chiesa” e dello “stare in silenzio per il bene dell’unità della Chiesa”, allora vuol dire che il marciume sta giungendo ormai dalla testa alla coda del pesce.
Certo, coi tempi che corrono oggi, sulle rovine della sana autorità apostolica e della certezza del diritto della Chiesa frantumati in mille pezzi sono stati infine edificati l’autoritarismo più degradato e malato e l’arbitrio umorale più aggressivo. Chi osa manifestare dissenso anche in modo larvato, o semplicemente attraverso un corretto predicare e soprattutto un agire cattolico, può rischiare di finire destituito come prefetto della Congregazione per il clero ed essere spedito a fare il penitenziere, si può finire destituiti dalla presidenza del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, si può essere depennati dalla Congregazione per i vescovi ed essere sostituiti presso di essa come membri da un vescovo emerito che ha devastato due intere diocesi alle quali ha donato sacerdoti improponibili prodigandosi nel mentre in vari intrallazzi economici, si può non essere ricevuti per due volte consecutive pur essendo vescovi della più grande diocesi del mondo … figurarsi quindi quanto può essere facile essere dimessi dalla sera alla mattina dal patriarcato minore di Venezia o più misericordiosamente non essere creati cardinali al prossimo concistoro.
Giorni fa, al termine di una mia omelia d’Avvento nella quale avevo spiegato il senso vero e profondo dell’atto penitenziale in cui ci accusiamo di avere peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, giunse in sacrestia un fedele che mi disse: «Caro padre, sicuramente tu potrai anche confessare a Dio di avere peccato in pensieri scritti e in parole dette, ma per quanto riguarda le omissioni, quelle proprio no, perché attraverso i tuoi pensieri scritti e le tue parole dette sembra proprio che tu non abbia omesso niente».
È un pensiero, quest’ultimo, che durante quest’Ottava di Natale affido umilmente al Patriarca di Venezia per quanto riguarda lo specifico discorso legato alla lettera eterodossa di questi preti che con manifesta ignoranza e palese ideologia malsana hanno offeso il senso più profondo della sana ecclesiologia cattolica. È un pensiero che affido a lui ma anche agli altri nostri vescovi, per molti dei quali, il patrono di questo nuovo modo di fare alla «buonasera» resta in ogni caso depositario delle nuove nomine episcopali e della creazione dei nuovi cardinali che dovrebbe compiersi nel concistoro di febbraio del 2014, tanto da fungere da grande freno, perché sono i freni a farci precipitare nel peggiore immobilismo che genera i peggiori peccati di omissione, per i quali noi pastori in cura d’anime dovremo rendere seriamente e gravemente conto a Dio.
Abbiamo festeggiato Santo Stefano protomartire, vero principe in quanto principio vivente della Chiesa vivificata dal sangue dei martiri, rivestitosi del proprio rosso sangue non per avere taciuto ma per avere annunciato e poi difeso davanti ai suoi accusatori la verità del Verbo Incarnato [At 6, 8 – 12; 7, 54 – 60].
Tra poco festeggeremo la nomina dei nuovi cardinali, diversi dei quali saranno rivestiti di rosso per avere taciuto e compiaciuto i peggiori «buongiorno», «buonasera», «buon pranzo» e suvvia a seguire. Diversi riceveranno la porpora per avere cambiato nome al grave peccato di omissione ribattezzato oggi “prudenza”, volutamente ignari che il rosso di cui i Padri Cardinali sono rivestiti ricorda proprio la gloria di tutti i santi martiri fedeli a Cristo fino all’effusione del sangue.
Possa Dio perdonarvi Eccellentissimi Padri Vescovi ed Eminentissimi Padri Cardinali, per il male che molti di voi stanno recando alla Chiesa di Cristo attraverso silenzi che generano spesso i peggiori peccati di omissione.
Dopo avere detto di nuovo per l’ennesima volta ciò che per imperativo di coscienza ritenevo doveroso dire, lanciatemi pure una nuova raffica di pietre, però vi prego: almeno per una volta colpitemi frontalmente mirando in mezzo ai miei occhi e lanciando direttamente voi il sasso, senza usare come sicari mezzi uomini, ruffiani e piccoli monsignorini in carriera, che all’ombra delle grandi valli e dei piccoli vallini mi hanno sempre e di rigore puntato alla schiena mirando il sasso diritto alla mia nuca.
Possa infine il Signore concedere a tutti voi un felice «Buongiorno» una felice «buonasera» e non ultimo anche un «buon pranzo»!
E che il «Buongiorno» la «buonasera» e il «buon pranzo» …
… sempre sia lodato!
.
26 dicembre 2013
Nella festa di Santo Stefano, Protomartire cristiano
http://www.riscossacristiana.it/letterina-babbo-natale-dei-pretini-trendy-del-veneto-cattolico-che-fu-di-p-ariel-s-levi-di-gualdo/
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Sia lodato Gesù Cristo …
Nella festa del protomartire Stefano mi è lieto augurare grazia, pace e benedizioni da Dio e dal Signore Nostro Gesù Cristo a voi tutti cari lettori, in questa Ottava di Natale che celebra il ricordo vivo del Verbo di Dio fatto Uomo che è inizio, centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo, come nell’anno 2000 la Congregazione per la dottrina della fede fu costretta a ricordare a tutti noi con l’Esortazione Dominus Jesus, data a quattro decenni di distanza da un concilio ecumenico della Chiesa per ribadire, nell’infausta stagione del post concilio egomenico,certi trascurati criteri di centralità e di assolutezza della fede all’esercito di teologi allo sbando e di preti allo sbaraglio, quantunque certi criteri siano noti sin dal Concilio di Nicea celebrato nell’anno 325, perlomeno a chi conosce il Catechismo della Chiesa Cattolica, senza dover tirare neppure in ballo la teologia.
Qualche prete à la page in jeans, scarpe da ginnastica e maglioncino alla Antonio Mazzi o alla Luigi Ciotti – ma anche qualche vescovo toninobellista – potrebbe storcere il naso dinanzi a questo profondo e sincero saluto iniziale tratto dal formulario dell’epistolario paolino. E qualcuno di questi preti trendy, a me che porto la talare nei momenti prescritti e il clergymannegli altri momenti, potrebbe perfino dire: «Quanto sei vecchio e clericale!». Ignari, dietro ai loro jeans sdruciti, che io la talare la porto per coprire i sacerdotali attributi che il Signore mi ha donato per sua grazia e che sono parte imprescindibile del sacerdozio ministeriale che dovrebbe essere conferito tutt’oggi soltanto a uomini certi, quindi per coprire il mio viscerale anticlericalismo. Come infatti ho più volte spiegato, scritto e ripetuto, mai come oggi la Chiesa era giunta ai perniciosi livelli di clericalismo nei quali l’hanno fatta sprofondare i pretini in jeans circondati da giovani brufolosi schitarranti durante liturgie declassate da sacri misteri a teneri incontri sociali e filantropici, dove si parla con gran sentimentalismo di pace, di diritti civili, di profughi sbarcati a Lampedusa, di ecologia e di politica sociale, sino all’apice dell’aberrazione: la carità trasformata in mera e umana solidarietà, in scuola ecclesiale di educazione civica.
Quando nei momenti pubblici mi rivolgo al Popolo di Dio, specie ai giovani o agli amabili chierichetti che in questi giorni di festa mi hanno servito all’altare come degli angeli di Dio, di solito saluto dicendo: «Sia lodato Gesù Cristo!». D’altra parte sono convinto – e tale resterò – che questo saluto di lode rivolto da un sacerdote del Signore ai Christi fideles sia molto più importante di un ammaliante e inopportuno: «Buongiorno a tutti voi» e «buonasera». O come dissi poco tempo fa a un prete trendy che dicendo «Buongiorno» ha preso il vezzo d’iniziare le sacre celebrazioni: «Caro confratello, secondo te è più importante rivolgersi al Popolo di Dio con l’invocazione trinitaria di rito “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la Comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi”, oppure dire ai fedeli riuniti in assemblea per la celebrazione dell’ineffabile Sacrificio Eucaristico: “Buongiorno a tutti voi”? Dimmi: non sarebbe meglio spiegare ai nostri fedeli l’importanza di questo saluto contenente una preziosa invocazione trinitaria, anziché lasciarli in pasto alla più desolante e superficiale ignoranza emotiva racchiusa dentro un semplice e inopportuno «Buongiorno a tutti voi»?
È però cosa buona e giusta precisare che il confratello in questione non aveva alcuna colpa, forse non era neppure colpevole della sua superficialità, tutta dovuta non alla sua persona ma alla cattiva formazione che da alcuni decenni viene data nei seminari, da me non a caso ribattezzati nel mio penultimo libro: «pretifici». E ancora ripeto che questo prete – come forse il gruppo degli undici parroci veneti che hanno scritto la loro letterina a Babbo Natale – non era responsabile, perché come recita un saggio proverbio popolare: «Il pesce che marcisce puzza sempre a partire dalla testa», mai dalla coda.
Dopo questo breve panegirico veniamo a questa lettera di Natale 2013 [qui] scritta da un gruppo di preti tristi rimasti fermi ai fumosi comitati di base del Sessantotto, come lascia capire su Corrispondenza Romana Mauro Faverzani [qui], negli anni in cui il peggio dei clericali che avevano gettato la tonaca alle ortiche per rivestirsi di “spirito nuovo” e di “parole nuove”, parlavano di “Chiesa di base” di “reinventare la Chiesa” o di “reinventare la fede”. Il tutto coi risultati che a quattro decenni di distanza sono ormai palesi in tutta la loro tragicità: “Nel mese di marzo il neo eletto Sommo Pontefice si è affacciato alla loggia centrale di San Pietro per annunciare urbi et orbi “buonasera” a una Chiesa europea al collasso nella quale le chiese di Olanda, Belgio, Germania – fulcri dello “spirito nuovo” e di mille devastanti reinvenzioni e altrettante stramberie liturgiche – sono da anni a tal punto vuote che le diocesi stanno mettendo in vendita uno dietro l’altro gli stabili usati sino a poco prima per il culto divino, il tutto dopo che le Chiese locali d’Europa hanno cominciato a raccogliere i frutti prodotti dalle semine funeste fatte attraverso i pensieri del gesuita Karl Rahner e del domenicano Edward Schillebeeckx”. Per questo in un mio recente scritto affermai che in modo coerente e ragionevole, su ogni chiesa vuota messa in vendita per mancanza di fedeli, andrebbe posta una lapide a perenne memoria di tutti i teologi bandiera della Nouvelle thèologie[qui].
Dunque è proprio il caso di dire: buonasera Chiesa Cattolica Apostolica Romana in fase avanzata di scristianizzazione in tutta Europa.
Buonasera a te, Chiesa Latinoamericana impestata dalle peggiori derive teologiche che i ricchi tedeschi strapieni di soldi vi hanno importato in virtù dei propri quattrini, a ben considerare che spesso, una singola parrocchia della Germania, mantiene una diocesi intera in certi paesi dell’America Latina.
Buonasera a te, Chiesa del Brasile dove ormai i preti che vivono in situazione di irregolarità sono così numerosi da essere divenuta cosa quasi tollerabile che i figli di certi parroci servano la Santa Messa al papà prete. O come disse anni fa al Sommo Pontefice un arcivescovo metropolita brasiliano – che la sera stessa lo riferì lui personalmente a me dopo quell’incontro mattutino – «Non è accettabile che le donne dei preti vivano direttamente dentro le case canoniche con i loro bambini». Rispose affranto l’arcivescovo a questo sacrosanto monito del Romano Pontefice: « … ma se dovessi sanzionare canonicamente i preti che vivono simili situazioni, dovrei ridurre allo stato laicale una media di cinque o sei preti su dieci». A quel punto convennero – ah, benedetta diplomazia ecclesiastica! – che i bambini e le donne dei preti non vivessero perlomeno nelle case parrocchiali.
Buonasera a te, Chiesa dei vari paesi d’Oriente dove li boni gesuiti della nuova Compagnia delle Indie nata sulle ceneri della Compagnia di Gesù – che per inciso nessuno commissaria perché certi sicari della curia romana sono troppo impegnati a fare la pelle ai Francescani dell’Immacolata – portano avanti forme di sincretismo religioso spinte a tal punto che certe sacrileghe celebrazioni eucaristiche paiono una via di mezzo tra mantra buddisti e non meglio precisati riti cattolici.
Buonasera …
Nel 2010 trascorsi due giorni con un vescovo africano, un autentico uomo di Dio, al quale cercai di insegnare a leggere il messale di Paolo VI in latino. Pochi giorni dopo il presule sarebbe andato in udienza privata dal Santo Padre che lo aveva invitato a concelebrare con lui e che con lui si sarebbe poi intrattenuto dopo la celebrazione. Il vescovo temeva che Benedetto XVI celebrasse col messale latino, per questo mi chiese di aiutarlo a fare esercizi di lettura. Durante le ore trascorse insieme il vescovo mi volle confidare di sua libera iniziativa il motivo di quella richiesta di udienza: «La mia diocesi è poverissima e io ho un grande problema. Dobbiamo in qualche modo sostenere i figli che i nostri preti hanno seminato in giro per i villaggi. Loro hanno sbagliato, indubbiamente. Ma noi, come Chiesa, non possiamo lasciare queste creature abbandonate per le strade. Questo è il motivo della mia visita al Santo Padre: sto andando a chiedergli soldi, semplicemente a chiedergli soldi per far fronte a questa situazione che coinvolge ormai centinaia di bambini e altrettante centinaia di ragazze madri spesso abbandonate o espulse dai loro nuclei familiari senza alcun genere di sostegno».
I problemi della Chiesa e nella Chiesa non nascono certo a partire da mezzo secolo fa, incluse immoralità, chierici libertini, figli illegittimi dei preti, malversazioni economiche, cariche ecclesiastiche acquisite tramite ricatti e varie forme di simonia e via dicendo. Ciò che però sfugge è un passaggio di non poco conto: ieri la Chiesa – come ben sanno coloro che conoscono almeno un po’ la storia – era attaccata da fuori, condizionata da poteri secolari e politici, col risultato che in varie stagioni si sono sviluppate al suo interno le peggiori nefandezze; ma tutto proveniva dall’esterno e dall’esterno aggrediva e fermentava al nostro interno. Oggi la situazione è totalmente mutata: la Chiesa si è trasformata in una struttura di peccato che genera e produce peccato al proprio interno. Se poi all’interno e dall’interno qualcuno osa ribellarsi a questo stato di degenerazione finirà colpito, ostracizzato e perseguitato dai macchinisti che trainano questa locomotiva e che gettano carbone nella sua caldaia per condurla quanto prima verso il dirupo al di fuori di tutti i possibili binari».
La lettera di questo gruppo di preti trendy post sessantottini, oggi forse non più giovani e forse afflitti da artrite reumatoide, è paradigma di tante cose, molte delle quali nascono proprio da un semplice «buonasera!». E sentendosi legittimati da quel «buonasera!» e auto legittimandosi su quel «buonasera!», assieme alla vecchia tonaca hanno gettato alle ortiche anche il sano e pedagogico: «Sia lodato Gesù Cristo!».
Ho notato che questi preti tristi rimasti ancorati ai fumosi comitati di base degli anni Settanta e autori della lettera a Babbo Natale sono un gruppo di sacerdoti veneti. Or bene se non erro, Patriarca di Venezia, nonché metropolita dell’intera regione e presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto è Francesco Moraglia, amato da sempre dal mondo della tradizione, da quello dell’ortodossia e della corretta dottrina, stimato e descritto qual prodigo e prodigioso allievo della scuola del Cardinale Giuseppe Siri. Proprio per questo mi domandavo: quest’uomo di indubbia fede e di profonda spiritualità che di stima ne merita molta, dinanzi al pubblico scritto di questi preti, pensa forse di salvare la fede e il Popolo di Dio dagli scandali sempre peggiori dati da un numero sempre maggiore di preti allo sbando indossando pianete laminate d’argento e d’oro e splendide mitrie gemmate, procedendo in processione durante i pontificali con tutta la dignità che di prassi è richiesta a un vescovo, facendo belle omelie improntate sul migliore magistero e sulla più impeccabile dottrina, in tempi cupi e terribili nei quali per mettere in crisi l’essere e il divenire futuro della Chiesa sono bastati solo pochi secondi è un semplice: «Buonasera!»? Perché se persino i custodi veri e autentici della fede e della retta dottrina si nascondono dietro il dito del “tacere per amore della Chiesa” e dello “stare in silenzio per il bene dell’unità della Chiesa”, allora vuol dire che il marciume sta giungendo ormai dalla testa alla coda del pesce.
Certo, coi tempi che corrono oggi, sulle rovine della sana autorità apostolica e della certezza del diritto della Chiesa frantumati in mille pezzi sono stati infine edificati l’autoritarismo più degradato e malato e l’arbitrio umorale più aggressivo. Chi osa manifestare dissenso anche in modo larvato, o semplicemente attraverso un corretto predicare e soprattutto un agire cattolico, può rischiare di finire destituito come prefetto della Congregazione per il clero ed essere spedito a fare il penitenziere, si può finire destituiti dalla presidenza del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, si può essere depennati dalla Congregazione per i vescovi ed essere sostituiti presso di essa come membri da un vescovo emerito che ha devastato due intere diocesi alle quali ha donato sacerdoti improponibili prodigandosi nel mentre in vari intrallazzi economici, si può non essere ricevuti per due volte consecutive pur essendo vescovi della più grande diocesi del mondo … figurarsi quindi quanto può essere facile essere dimessi dalla sera alla mattina dal patriarcato minore di Venezia o più misericordiosamente non essere creati cardinali al prossimo concistoro.
Giorni fa, al termine di una mia omelia d’Avvento nella quale avevo spiegato il senso vero e profondo dell’atto penitenziale in cui ci accusiamo di avere peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, giunse in sacrestia un fedele che mi disse: «Caro padre, sicuramente tu potrai anche confessare a Dio di avere peccato in pensieri scritti e in parole dette, ma per quanto riguarda le omissioni, quelle proprio no, perché attraverso i tuoi pensieri scritti e le tue parole dette sembra proprio che tu non abbia omesso niente».
È un pensiero, quest’ultimo, che durante quest’Ottava di Natale affido umilmente al Patriarca di Venezia per quanto riguarda lo specifico discorso legato alla lettera eterodossa di questi preti che con manifesta ignoranza e palese ideologia malsana hanno offeso il senso più profondo della sana ecclesiologia cattolica. È un pensiero che affido a lui ma anche agli altri nostri vescovi, per molti dei quali, il patrono di questo nuovo modo di fare alla «buonasera» resta in ogni caso depositario delle nuove nomine episcopali e della creazione dei nuovi cardinali che dovrebbe compiersi nel concistoro di febbraio del 2014, tanto da fungere da grande freno, perché sono i freni a farci precipitare nel peggiore immobilismo che genera i peggiori peccati di omissione, per i quali noi pastori in cura d’anime dovremo rendere seriamente e gravemente conto a Dio.
Abbiamo festeggiato Santo Stefano protomartire, vero principe in quanto principio vivente della Chiesa vivificata dal sangue dei martiri, rivestitosi del proprio rosso sangue non per avere taciuto ma per avere annunciato e poi difeso davanti ai suoi accusatori la verità del Verbo Incarnato [At 6, 8 – 12; 7, 54 – 60].
Tra poco festeggeremo la nomina dei nuovi cardinali, diversi dei quali saranno rivestiti di rosso per avere taciuto e compiaciuto i peggiori «buongiorno», «buonasera», «buon pranzo» e suvvia a seguire. Diversi riceveranno la porpora per avere cambiato nome al grave peccato di omissione ribattezzato oggi “prudenza”, volutamente ignari che il rosso di cui i Padri Cardinali sono rivestiti ricorda proprio la gloria di tutti i santi martiri fedeli a Cristo fino all’effusione del sangue.
Possa Dio perdonarvi Eccellentissimi Padri Vescovi ed Eminentissimi Padri Cardinali, per il male che molti di voi stanno recando alla Chiesa di Cristo attraverso silenzi che generano spesso i peggiori peccati di omissione.
Dopo avere detto di nuovo per l’ennesima volta ciò che per imperativo di coscienza ritenevo doveroso dire, lanciatemi pure una nuova raffica di pietre, però vi prego: almeno per una volta colpitemi frontalmente mirando in mezzo ai miei occhi e lanciando direttamente voi il sasso, senza usare come sicari mezzi uomini, ruffiani e piccoli monsignorini in carriera, che all’ombra delle grandi valli e dei piccoli vallini mi hanno sempre e di rigore puntato alla schiena mirando il sasso diritto alla mia nuca.
Possa infine il Signore concedere a tutti voi un felice «Buongiorno» una felice «buonasera» e non ultimo anche un «buon pranzo»!
E che il «Buongiorno» la «buonasera» e il «buon pranzo» …
… sempre sia lodato!
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26 dicembre 2013
Nella festa di Santo Stefano, Protomartire cristiano
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