ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 3 gennaio 2014

Il mite, il duro, .. a quando il cattivo?

Francesco il duro dopo Benedetto XVI il mite, 
l'altro cambiamento

Papa Francesco e il “papa emerito” hanno pregato
insieme prima di Natale e hanno pranzato insieme
il 27 dicembre. Dopo la successione, l'oggetto di
conversazione preferito dai vaticanisti è il continuo 
confronto del nuovo pontefice col predecessore.
 O per opporli o, al contrario, per mostrare 
la continuità tra i due nei contenuti di fondo.
Al di là della differenza di stile, che è la più
evidente e visibile dall'esterno,ciò che più colpisce
coloro che lavorano in Vaticano è il modo di governare
di papa Francesco rispetto a quello di Benedetto XVI.
I primi auguri alla Curia romana del nuovo papa, il 21 dicembre, offrono
l'espressione più recente ed eloquente di questa differenza. 
Non erano, se così si può dire, “pii desideri”. Dopo aver “sviolinato” un po' 
all'inizio del suo breve discorso, in particolare a proposito dei “vecchi curialisti”
citati a modello, il papa gesuita ha soprattutto rimproverato la sua 
amministrazione. A diversi livelli.Esprimendosi in piedi, come un capo d'impresa
di fronte ai suoi più eminenti collaboratori riuniti,ha chiesto loro in definitiva
un lavoro più “professionale”. La sua allocuzione, ritrasmessa in diretta
in sala stampa, era stata tradotta e distribuita, sotto embargo, in sette lingue,
come è d'uso per i testi più importanti. In questo caso, come seguire in diretta
delle rimostranze pubbliche.
Tutte le testimonianze, di coloro che collaborano da vicino o occasionalmente 
con papa Francesco,concordano. Agisce da persona decisa. Governa con durezza.
Lavora senza posa. È uno stratega che ha già tutto in testa, che organizza 
i propri impegni, che sa chi vuole incontrare o no in udienza, che sa ciò che vuole
fare.E non essere obbligato a farlo.
La Roma mondana non ha dimenticato la sedia lasciata insolentemente vuota 
dal nuovo papa, il 22 giugno scorso, esattamente il 100° giorno del suo
pontificato, nella grande sala delle udienze del Vaticano dove veniva suonata 
per lui, in occasione dell'Anno della fede, la Nona Sinfonia di Beethoven. 
L'inno alla gioia fu eseguito in assenza del futuro autore di Evangelii Gaudium,
la gioia del vangelo, nella quale esprime appunto la sua libertà rispetto ai 
“si è sempre fatto così”. Questa durezza effettiva di un papa-capo, 
che sposta le sue truppe e sconvolge il loro modo di fare di sempre, non è 
per nulla in contrasto con la tenerezza pastorale di cui fa prova. 
Il suo modo di governare mira a tener testa ad una amministrazione del Vaticano, 
di cui il pre-conclave ha chiesto una profonda riforma.
“Per governare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche 
il vigore del corpo e dello spirito”, affermava Benedetto XVI l'11 febbraio
a giustificazione della sua rinuncia,riconoscendo di mancare di tale vigore
e ammettendo la sua “incapacità ad amministrare bene ilministero”.
Con la Curia, Benedetto XVI era troppo dolce, troppo clemente, lasciandosi
strumentalizzare, riconoscono le persone più rispettose dell'opera ratzingeriana,
mostrando dispiacere per il fatto che fosse così “rovinata” dall'interno 
per le carenze di governo di un papa che era innanzitutto teologo.
A questo riguarda, la maniera di dirigere di papa Francesco differisce
chiaramente da quella del predecessore. 
Si affievolisce quindi l'immagine di “Panzerkardinal”,soprannome di
Joseph Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 
mentre si afferma quella di un Jorge Bergoglio che in Vaticano si comporta
da generale gesuita.
di Sébastien Maillard
in “rome-vatican.blogs.la-croix.com” del 24 dicembre 2013 (traduzione: www.finesettimana.org)

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