ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 4 febbraio 2014

Le ipotenuse ed un vertice collegiale?

Diario Vaticano / La nuova CEI ha un presidente: Bergoglio

I vescovi italiani lasciano al papa la scelta dei loro vertici. E Francesco ha già fatto tutto da solo, nel nominare il nuovo segretario. Primo passo di un cambiamento generale di linea

di ***
CITTÀ DEL VATICANO, 4 febbraio 2014 – Il presidente e il segretario generale della conferenza episcopale italiana continuino ad essere nominati dal papa. È questo che vogliono gli stessi vescovi d'Italia, dopo che lo scorso maggio papa Francesco aveva chiesto loro, in nome di una maggiore collegialità, di rivedere lo statuto della CEI e di ripensare le modalità di nomina del presidente e del segretario.

Su questo punto si è svolta nei mesi scorsi un'ampia consultazione dell’episcopato italiano. E i risultati sono stati resi pubblici al termine della sessione invernale del consiglio permanente, il parlamentino della CEI, composto da una trentina di membri, che si è tenuto a fine gennaio a Roma.
Al contrario di quanto avviene in quasi tutte le conferenze episcopali del mondo, in Italia la presidenza non è elettiva, ma di nomina pontificia. E non senza logica. Il papa è infatti vescovo di Roma e primate d'Italia. E in quanto vescovo di Roma – una qualifica che Jorge Mario Bergoglio predilige – è membro della CEI, anche se di fatto non partecipa alle sue attività. E così, se non avesse voce in capitolo nella nomina dei vertici, si troverebbe nella situazione paradossale di chi, pur avendo autorità superiore a tutte le conferenze episcopali, per quanto riguarda la sua diocesi dovrebbe sottostare a decisioni e orientamenti presi senza la sua diretta partecipazione.

Oltre all'Italia ci sono soltanto altri due casi in cui i vescovi non votano il proprio presidente: il Belgio, dove l'incarico spetta all'arcivescovo di Mechelen-Brussel, e la conferenza dei vescovi latini nei paesi arabi, presieduta ex officio dal patriarca latino di Gerusalemme.

Il fatto poi che in Italia il segretario generale non sia eletto ma nominato dal papa è davvero un caso unico nel panorama delle conferenze episcopali.
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C’è stato tuttavia un momento, decenni fa, in cui l'ipotesi che anche la Chiesa italiana mettesse ai voti il proprio presidente e il proprio segretario generale ebbe un consenso molto largo tra i vescovi.

Successe durante la 23ma assemblea generale della CEI, celebrata a Roma dl 7 all’11 maggio del 1983.

Nel corso dei lavori per l'approvazione del nuovo statuto della conferenza – che, tra l’altro, avrebbe innalzato da tre a cinque anni la durata delle maggiori cariche – i vescovi furono invitati "per superiore disposizione" ad effettuare una “votazione consultiva” circa la modalità di nomina del presidente e del segretario generale, "da consegnare al Santo Padre, rimettendosi alla decisione del papa". 

La proposta che il presidente della CEI fosse eletto dall'assemblea dei vescovi ottenne i seguenti risultati: su 226 aventi diritto i votanti furono 185, la maggioranza dei due terzi era quindi 151, i placet furono 145, i non placet 36, le schede bianche 4. 

Mentre la proposta che il segretario generale fosse eletto dal consiglio permanente su proposta del presidente della CEI riportò i seguenti risultati: votanti 185, placet 158, non placet 20, schede bianche 7. 

Quindi a favore di un presidente eletto si espresse la maggioranza assoluta dei vescovi, anche se non fu superato, per soli sei voti, il quorum dei due terzi richiesto per le modifiche statutarie. Quorum che invece fu valicato per l'elezione del segretario generale.

Il 25 ottobre 1984 comunque, durante la successiva assemblea generale celebrata a Roma, l’allora cardinale presidente Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Torino, comunicò che Giovanni Paolo II aveva voluto riservarsi la nomina del presidente e del segretario della conferenza episcopale, "facendo notare come questa prassi costituisca un segno ulteriore di attenzione e benevolenza da parte del Santo Padre verso i vescovi e la CEI".

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Oggi invece i vescovi italiani, pur avendo la possibilità di optare per la votazione diretta del proprio presidente e del proprio segretario generale, hanno preferito che sia il papa a continuare a nominarli, anche se – e questa è l’unica novità – sulla base di un previo elenco di nomi indicati da una consultazione riservata di tutto l’episcopato, con modalità che saranno definite nei dettagli nel futuro statuto, che potrebbe essere approvato nella prossima assemblea generale di maggio.

Attualmente, infatti, la norma prevede che sia il papa a scegliere il presidente della CEI e nulla dice riguardo alla consultazione che può precedere questa scelta.

Vi sono state però due volte – a dieci anni di distanza l'una dall'altra – nelle quali le procedure di consultazione adottate furono ufficialmente rese pubbliche.

La prima volta fu il 1° ottobre 1969, quando un asciutto comunicato pubblicato da "L'Osservatore Romano" informò che Paolo VI aveva convocato quella mattina "i cardinali titolari di sedi residenziali e il vice presidente della CEI" (allora unico, mentre ora ce ne sono tre) per "procedere a consultazioni circa la nomina del nuovo presidente della stessa CEI, in sostituzione del compianto cardinale Giovanni Urbani", deceduto il 17 settembre dopo che nel febbraio precedente era stato confermato per un triennio.

Il 3 ottobre fu così nominato presidente l’arcivescovo di Bologna Antonio Poma, il quale, dopo essere stato confermato per altri due trienni il 17 giugno 1972 e il 21 maggio 1975, fu mantenuto in funzione da Giovanni Paolo I e poi da Giovanni Paolo II fino al 16 maggio 1979, quando lasciò l’incarico a 69 anni, avendo il papa nominato Ballestrero.

E proprio due giorni dopo questa nomina, il 18 maggio, rivolgendosi all’assemblea della CEI riunita a Roma, Giovanni Paolo II spiegò che aveva consultato i presidenti delle conferenze episcopali regionali e di aver scelto l’arcivescovo di Torino "essendo stato egli indicato dalla maggioranza dei presuli consultati".

Ballestrero fu confermato per un ulteriore triennio il 19 luglio 1982 e lasciò la carica a 72 anni nel 1985. Il 1° luglio di quell’anno Giovanni Paolo II nominò come nuovo presidente il cardinale vicario di Roma Ugo Poletti, che rimase in funzione fino a 77 anni.

Dopo di lui, il 4 marzo 1991 la presidenza passò a Camillo Ruini, che dal 17 gennaio aveva già preso il posto di Poletti come pro-vicario di Roma e che – caso unico nella storia della CEI – arrivò alla presidenza dopo un quinquennio come segretario generale. Ruini durò in carica fino al 7 marzo 2007.

Riguardo ai passaggi procedurali che hanno portato alle nomine di Poletti, Ruini e dell’attuale presidente Angelo Bagnasco nulla è stato detto ufficialmente. 

Agli inizi del 2006, tuttavia, ebbe una grande risonanza sui media la notizia delle "primarie" promosse – con tanto di lettera riservata finita sui giornali ben prima di Vatileaks – dall’allora nunzio apostolico in Italia Paolo Romeo, che a nome del papa chiedeva ai vescovi residenziali italiani di suggerire un nome per la successione a Ruini. L’iniziativa abortì. Ma ora c’è la possibilità che si arrivi alla formalizzazione proprio di quella procedura.

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Per quanto riguarda invece la scelta del segretario generale della conferenza episcopale "la maggioranza" dei vescovi italiani chiede che continui ad essere un vescovo e che continui ad essere nominato dal papa tra una rosa di nomi "proposta dalla presidenza, sentito il consiglio permanente". La formula citata è esattamente quella dell’attuale statuto, ma sul modo concreto con cui redigere la lista da presentare al papa deciderà l’assemblea di maggio.

In questo caso bisognerà attendere i dettagli per capire bene cosa accadrà. In passato infatti, pur nel rispetto formale delle norme, poteva accadere che fosse il presidente della CEI, in accordo col papa, a scegliere preventivamente il nome su cui poi far convogliare i consensi del consiglio permanente. Mentre lo scorso dicembre è stato papa Francesco a nominare “motu proprio” il nuovo segretario generale ad interim – il vescovo Nunzio Galantino – senza che il consiglio permanente della CEI fosse "sentito".

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Nei giorni scorsi, inoltre, i vescovi italiani hanno confermato in toto l’attuale procedura riguardante l’elezione diretta da parte dell’assemblea dei tre loro vicepresidenti, che per prassi sono scelti in rappresentanza delle tre aree geografiche del paese: nord, centro e sud.

Gli attuali vicepresidenti sono Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, per il nord; Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, per il centro; Angelo Spinillo, vescovo di Aversa, per il sud.

Bassetti è in scadenza, essendo stato eletto nel 2009 alla seconda votazione con 102 voti su 194, distanziando di molto due ecclesiastici tradizionalmente molto presenti sulla scena mediatica, e cioè l’allora vescovo di Terni Vincenzo Paglia che ne prese 46 e l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte che ne racimolò 35.

Nosiglia è stato eletto nel 2010 quando superò largamente al ballottaggio il vescovo di Como Diego Coletti, con 137 voti a 76.

Spinillo è stato eletto nel 2013, quando superò di un soffio al ballottaggio l’arcivescovo di Bari Francesco Cacucci per 100 voti a 91.

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In pratica, quindi, rispetto a quanto si poteva aspettare, i vescovi italiani non hanno optato per grossi cambiamenti nelle modalità di scelta dei propri vertici. Ma ciò non vuol dire che il pontificato di Francesco non stia imprimendo una svolta profonda all’episcopato italiano.

Intanto si è scelto lui il segretario generale, che ha cominciato a ricevere in udienza con una frequenza maggiore di quella riservata al presidente.

Sembra ovvio poi che il cambio degli statuti implicherà anche la scelta di un nuovo presidente al posto del cardinale Bagnasco, nonostante che il mandato di questi, in virtù della conferma quinquennale ricevuta da Benedetto XVI, scada nel 2017. A questo proposito sarà interessante verificare se nasceranno candidature alternative alla figura dell’arcivescovo di Perugia Gualtiero Bassetti, il quale – aldilà della stima che pur gode nell’episcopato – con la fresca nomina a cardinale e a membro della congregazione per i vescovi sembra essere il prediletto di Francesco e quindi anche il suo presidente della CEI "in pectore".

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Nell'insieme, sembra che l'episcopato italiano si trovi a una svolta che ricorda due precedenti. Entrambi d'iniziativa papale.

Il primo fu con Paolo VI negli anni Sessanta, quando quel papa esautorò il potente cardinale Giuseppe Siri dalla guida della CEI per accelerare la svolta conciliare nell’episcopato italiano, con una nuova leadership di sua nomina.

E il secondo si registrò con Giovanni Paolo II nel 1985, quando nel convegno ecclesiale di Loreto impose alla CEI un cambio di passo verso una forte presenza della Chiesa sulla scena pubblica, anche lì con un ricambio radicale dei suoi vertici.

A questo proposito sarà interessamte verificare se e come la figura di Nunzio Galantino assumerà con Francesco il ruolo chiave, nel rapporto tra il papa e l'episcopato italiano, che Camillo Ruini – fatto segretario della CEI l'anno dopo Loreto – ebbe inizialmente con papa Karol Wojtyla. Naturalmente in una direzione molto diversa.

Ma questa è un’altra storia. Di cui è appena iniziata la scrittura.

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Il comunicato finale del consiglio permanente della CEI del 27-30 gennaio 2014:

> Una prima tappa nella scia di Francesco

E l'intervista del neosegretario generale Nunzio Galantino ad "Avvenire" del 2 febbraio, sulla prima grande manifestazione pubblica della "nuova" CEI, in programma sabato 10 maggio in piazza San Pietro con la partecipazione di papa Francesco, sul tema della scuola:

> "Basta tagli alla scuola"

Nell'intervista Galantino dice tra l'altro:

"Noi non andremo in piazza San Pietro per dire: 'Vedete quanti siamo? Dateci tutti i soldi che ci spettano'. È vero che lo Stato deve prendere coscienza, una buona volta, del fatto che la scuola pubblica paritaria fa risparmiare 6 miliardi e mezzo e, quando va bene, riceve non più di 500 milioni all’anno. Ma la manifestazione, ripeto, non ha questo scopo. Andremo in piazza San Pietro per sentirci dire una parola chiara dal papa sul tema della scuola. Poiché tutti riconoscono a Francesco la capacità di dire cose illuminanti e profonde, come Chiesa italiana ci siamo chiesti: Perché non ascoltare cosa egli ha da dirci affinché la scuola raggiunga i suoi obiettivi, che non sono quelli dell’indottrinamento, ma di essere luogo nel quale formare persone attrezzate criticamente e capaci di progettualità?".

E ancora:

"Prendiamo la Giornata della Vita. […] Verrebbe guardata con maggior favore e troverebbe tantissima accoglienza, se cominciassimo a parlare anche della qualità della vita. Perché è chiaro che dobbiamo preoccuparci degli aborti e dei tentativi più o meno subdoli di far passare l’eutanasia, ma ci preoccupiamo anche della gente che purtroppo non vive ma sopravvive. […] Cioè, appunto, lavorare per la qualità della vita che è frutto di una scuola seria, di una famiglia sana e di un lavoro dignitoso".
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350709

I vescovi italiani non decidono come eleggere il loro presidente

Il Papa vuole cambiare la Cei a cominciare dal vertice
La Cei è in mezzo al guado e non è detto che sappia come uscirne. Il fatto è che nel maggio scorso il Papa aveva chiesto ai vescovi italiani una profonda riforma della conferenza episcopale a cominciare dal vertice, cioè dal presidente che non doveva essere più di nomina pontificia ma eletto dall’assemblea. E’ quello che avviene in tutti gli altri episcopati del mondo con l’eccezione italiana motivata dal “rapporto particolare con il vescovo di Roma”. Una consultazione è stata avviata, ma nel frattempo appariva ogni giorno più chiaro che l’attuale presidente, il cardinale Angelo Bagnasco, non godesse più della piena fiducia del Papa. 

 

Francesco provvedeva poi, con mossa a sorpresa, a sostituire il Segretario generale della Cei Mariano Crociata collocando al suo posto monsignor Nunzio Galantino, vescovo della piccola diocesi di Cassano Jonio in Calabria. E ieri Galantino, reduce dal suo primo consiglio episcopale permanente, ha incontrato i giornalisti nella sede della Radio Vaticana. C’era molta attesa per le sue parole, ma dal resoconto di Galantino è emersa una Chiesa ancora ingolfata nei suoi dilemmi.

Le primarie per il nuovo presidente
Di fatto Galantino ha comunicato che “la stragrande maggioranza dei vescovi italiani ritiene che la nomina del Presidente della Cei debba continuare ad essere riservata al Papa”. Il che da una parte corrisponde a una forma di rispetto verso il Pontefice, dunque ha un valore puramente esteriore, dall’altra nasconde divisioni profonde che stanno attraversando l’episcopato italiano. In questo senso la spaccatura è tra le diocesi di piccole e medie dimensioni e le grandi, alcune delle quali rette da vescovi si scuola ruiniana, quindi non molto in sintonia con il nuovo corso di Bergoglio. Allo stesso tempo, però, si cerca una mediazione possibile e quindi di garantire il coinvolgimento dei vescovi nella scelta del loro presidente. In pratica il meccanismo allo studio,  piuttosto farraginoso, prevede prima la consultazione di tutti i vescovi, il risultato di questo sondaggio arriva alla Segreteria della Cei che fa “una scrematura”  e individua una cinquantina di nomi, questi ultimi vengono portati all’assemblea generale che seleziona un nuovo elenco di circa 15 candidati da sottoporre al Papa il quale, infine, sceglie il presidente.

‘Se il Papa lo chiede,ci sarà elezione diretta’
Lo stesso Galantino ha ammesso che il processo è in fieri e che per ora “si è svolta solo una prima tappa del percorso” dunque i  numeri potranno cambiare. L’ipotesi informale che circola, più credibile, parla di ‘primarie’ dalle quali emergerebbero 3 o 5 candidati da sottoporre al papa. A questo punto però il Segretario generale della Cei ha anche precisato che se Bergoglio insistesse nella richiesta di elezione diretta del presidente, “non ci sarebbe nessuna difficoltà”. Il che la dice lunga sul clima generale. E per quanto monsignor Galantino abbia detto che “non c’è nessuna fretta”, l’appuntamento della prossima assemblea generale della Cei di maggio sembra quello decisivo.

La fine della diversità italiana
In ballo in realtà c’è la fine della diversità della Cei, del rapporto preferenziale con il Papa e con la Curia, la sua ‘normalizzazione’ e assimilazione alle altre conferenze episcopali del mondo; in pratica la fine dell’eccezione italiana e del suo peso specifico nella Chiesa universale. Dunque è anche una questione di potere. Nel frattempo il Papa ha trattato male Bagnasco dal quale forse già da tempo si attendeva le dimissioni. Nei giorni precedenti l’ultima riunione del consiglio episcopale permanente, il Papa non ha ricevuto secondo consuetudine il presidente della Cei per informarsi sui temi della prolusione, ma ne ha parlato con  lo stesso Galantino.

Lo sgarbo di Bagnasco a monsignor Bassetti
Lo stesso Bagnasco ha fatto una relazione ridotta al minimo e non ha nemmeno citato la recente nomina cardinalizia del vescovo di Perugia, vicepresidente della Cei, Gualtiero Bassetti. Uno sgarbo clamoroso, tanto più che con la nomina di Bassetti dopo quella di Galantino, il Papa sembra aver scavalcato le lentezze della Cei e indicato già un quadro per la successione visto la fatica nel procedere con la riforma.  Nel frattempo l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, l’ala ruiniana e quella legata al cardinal Piacenza, sono rimasti a bocca asciutta all’ultimo giro di nomine cardinalizie, di fatto gli antibergogliani delle varie correnti, sono ora coalizzati. L’arcivescovo di Milano Angelo Scola, intanto, ha sigillato l’Istituto Toniolo che controlla  l’Università Cattolica inserendo nel comitato d’indirizzo, Gianni Letta, l’eterno braccio destro del Cavaliere.   

Francesco Peloso

Quest’articolo è uscito sul Secolo XIX Pubblicato da 
http://vaticantabloid.blogspot.it/2014/02/i-vescovi-italiani-non-decidono-come.html

Il nuovo segretario della CEI: bergogliano sì, martiniano no

galantino
Oltre che vescovo di Cassano all’Jonio e segretario generale – nominato “motu proprio” da papa Francesco – della conferenza episcopale italiana, Nunzio Galantino è anche professore di antropologia alla pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale.
E in questa veste accademica ha curato nel dicembre 2010 a Milano un convegno sull’anima, i cui atti sono stati pubblicati dall’editrice Cittadella, con la partecipazione di filosofi, teologi ed esperti di informatica e cibernetica.
Un convegno sull’anima, a Milano, ancora vivente il cardinale Carlo Maria Martini, non poteva certo ignorare il best-seller di tre anni prima di Vito Mancuso, intitolato per l’appunto “L’anima e il suo destino“, introdotto da una lettera commendatizia dell’ex arcivescovo della diocesi ambrosiana.
Ma ecco cosa pensava e diceva allora l’attuale segretario della CEI del libro di Mancuso, come riferito da Andrea Galli su “Avvenire” del 7 settembre 2011:
“Il sedicente e seducente – nel senso etimologico delle parole – teologo ha fatto breccia con il suo pamphlet caricando il termine ‘anima’ di contenuti di teologia da accatto e di psicologismi a buon mercato. Ne è risultato un prodotto più o meno affascinante ma con poca o nessuna coerenza teoretica e teologica”.
Un giudizio, come si vede, agli antipodi di quello di Martini, che nella lettera in apertura del libro ne raccomandava invece vivamente la lettura, rivolgendosi familiarmente all’autore:
“Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa. […] Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.
Dopo la morte del cardinale Martini, nell’estate del 2012, questa sua lettera fu oggetto di una polemica all’arma bianca tra lo stesso Mancuso e il gesuita GianPaolo Salvini, per molti anni direttore de “La Civiltà Cattolica”, anche lui martiniano di ferro.
Nel ricordare il suo confratello e amico, Salvini lamentò che “con molta poca correttezza sono state […] usate come ‘prefazione’ lettere private, non destinate alla pubblicazione, con cenni di incoraggiamento, inviate a qualche autore che gli aveva fatto avere le bozze di un suo libro”.
Con chiara allusione a Vito Mancuso e al libro “L’anima e il suo destino”, al quale spianò il successo proprio la “prefazione” del cardinale Martini.
Punto sul vivo, Mancuso sfoderò su “la Repubblica” una mail a lui indirizzata dal cardinale, da cui si ricavava invece che “fu Martini a chiedermi le bozze e fu sempre lui a dare il suo assenso alla pubblicazione della lettera”.
Mancuso concluse la sua protesta scrivendo che con “falsità” come quella prodotta da “La Civiltà Cattolica” si volevano soffocare “le scomode profezie del cardinal Martini”.
In realtà, questa polemica proiettò un’ombra di gesuitismo proprio sulla figura del defunto cardinale.
Che da una parte scriveva a Mancuso di pubblicare la sua lettera in testa a quello che sarebbe divenuto il suo primo best-seller.
E dall’altra confidava al confratello e amico carissimo Salvini che quella prefazione gli era stata carpita “con molta poca correttezza”.
Ma questa è acqua passata. Visto il giudizio liquidatorio emesso da Galantino sul libro “L’anima e il suo destino” e sul suo autore, viene da pensare che il bergogliano neosegretario della CEI non sia da annoverare nemmeno tra i fan di Martini.

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