Cronache dal concistoro dei cardinali. Il peso dei sondaggi: le periferie esistenziali chiedono un aiuto per la loro sofferenza. Verso la svolta
Affrontare immediatamente questo argomento, però, rappresenta un serio pericolo, spiega il primate delle Gallie: “Porre la questione dei divorziati risposati fin da ora al centro della discussione rischia di farci inciampare subito”. Ciò che serve, invece, è una “profonda riflessione” sul problema, evitando di dare alle persone l’idea che si stia discutendo per l’ennesima volta di una sorta di “regolamento che viene imposto sulle loro teste”. Questione di metodo da rivedere, dunque, anche perché non è che il sistema concistoriale adottato nella due giorni di riunioni in Vaticano abbia soddisfatto più di tanto il presule: “E’ stato un momento di fratellanza, ma allo stesso tempo è stato un po’ frustrante. Ognuno parlava per sei sette minuti. Ci sono ottanta interventi uno dietro l’altro e ben poca discussione tra di noi. Per fortuna ci sono piccole pause caffè” in cui confrontarci, ha aggiunto. Il punto fondamentale da cui partire, secondo Barbarin, “è che la situazione del matrimonio nel mondo d’oggi è enormemente cambiata, e di conseguenza la parola della chiesa deve rinnovarsi”. Le strade per rispondere alla “sofferenza diffusa” di cui aveva parlato sabato scorso anche il segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, sono già state indicate, nota però l’arcivescovo di Lione. Una è la prassi ortodossa, “menzionata dal Papa stesso” nel corso della conferenza stampa improvvisata a bordo dell’aereo che lo riportava in Italia dopo la settimana trascorsa in Brasile per la Giornata mondiale della Gioventù. Attenzione, però, aggiunge Barbarin: la celebrazione del secondo matrimonio ortodosso “è penitenziale, non è un sacramento”, perché non è possibile mettere in discussione il principio dell’indissolubilità del matrimonio. Un concetto ribadito in modo fermo anche dal cardinale tedesco Walter Kasper nella relazione di taglio teologico in apertura di concistoro e, da ultimo, dall’arcivescovo di Bordeaux, il cardinale Jean-Pierre Ricard. Gli sposi, nella realtà ortodossa, vengono infatti “accolti e benedetti” dopo un periodo penitenziale costituito da diverse tappe e sotto la guida della chiesa in cui si attesti che la nuova unione è pienamente acquisita. Bisogna dunque soffermarsi sui casi concreti, “affidandosi al rapporto tra il fedele e il suo parroco, confessore o vescovo”, sottolinea Barbarin.
Una posizione, quest’ultima, che riflette anche le sollecitazioni emerse dalle risposte al questionario in preparazione del Sinodo giunte sul tavolo della conferenza episcopale francese. I vescovi transalpini presieduti dalla scorsa estate dall’arcivescovo di Marsiglia, mons. Georges Paul Pontier, hanno deciso – a differenza di quelli tedeschi e svizzeri, ad esempio – di non diffondere i dati completi, inviandoli direttamente a Roma come era stato richiesto dal Vaticano lo scorso novembre. Qualche giorno fa, però, una breve sintesi preparata dall’arcivescovo di Montpellier, mons. Pierre-Marie Carré, è stata pubblicata sul sito ufficiale della conferenza episcopale. Contro ogni aspettativa – per una Francia ormai ridotta a grande periferia spirituale cattolica dove le chiese vuote vengono rase al suolo perché troppo costose da mantenere – il materiale raccolto è molto: oltre duemila pagine di documenti prodotti da diocesi, movimenti e gruppi da cui risulta evidente “il divario tra l’insegnamento della chiesa e le scelte delle coppie che si riconoscono cattoliche”. Una distanza che appare marcata soprattutto in riferimento alla questione della contraccezione e a quella della riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti.
L’origine del divario, nota mons. Carré – che della conferenza episcopale francese è anche vicepresidente – è dovuta anche alle leggi civili che “si iscrivono chiaramente in opposizione alle posizioni della chiesa”, il cui risultato principale è di “far apparire l’insegnamento cattolico controcorrente rispetto alla prassi dei fedeli”. Come già rilevato in Germania, il punto più contestato è il dettato dell’Humanae Vitae, enciclica che “ha portato molte coppie alla rottura con l’insegnamento della chiesa” tanto che – si nota nella sintesi elaborata dai vescovi francesi –“l’insistenza” su quanto contenuto nel testo promulgato da Paolo VI “appare incomprensibile”.
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Che cosa devo pensare, io fuori della comunione, dell’ostia ai peccatori?
Per me contano i segni. E in questo sono cristiano, i segni dei tempi, i presagi di fonte evangelica. La comunione ai divorziati risposati è un segno di aggiornamento molto disinvolto della chiesa, un poderoso mutamento di prassi se non anche di dottrina. Non ho niente di conservatore e di retrogrado da affermare, è da una vita che vivo senza scandalo in mezzo ai divorziati e alle famiglie spaiate in ogni modo, e il mio senso laico del peccato prevede atti peggiori, l’abbandono, il tradimento, il dolore comunque procurato, di un’ordinaria separazione seguita da divorzio e nuovo matrimonio, ma un’obiezione segnica ovvero logica ce l’ho.
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