Chiesa e mafia, la chiave è la conversione
Dopo la "scomunica" ai mafiosi pronunciata da papa Francesco lo scorso 21 giugno durante l'omelia nella messa celebrata a Cassano all'Jonio, alcuni episodi di cronaca hanno contribuito ad alimentare polemiche e confusione, a partire proprio dal significato della "scomunica". Nei giorni scorsi a Larino (Molise) i detenuti del carcere di alta sicurezza avrebbero chiesto lumi al cappellano del carcere, reputando inutile andare a messa sentendosi scomunicati. In Calabria è esploso invece il problema della commistione tra 'Ndrangheta e Chiesa locale: prima il vescovo di Reggio Calabria che invoca la sospensione per dieci anni del ruolo dei padrini nei Battesimi e Cresime, per evitare strumentalizzazioni da parte della 'Ndrangheta; poi il caso della processione a Oppido Mamertina (sempre diocesi di Reggio Calabria) con la statua della Madonna delle Grazie che ha fatto "l'inchino" in direzione dell'abitazione di un vecchio capoclan. Per iniziare a fare chiarezza su alcune delle questioni sollevate nel rapporto tra mafia e Chiesa, abbiamo chiesto l'intervento di padre Giorgio Maria Carbone o.p..
«Quando all’adorazione del Signore si sostituisce l’adorazione del denaro, si apre la strada al peccato, all’interesse personale e alla sopraffazione; quando non si adora Dio, il Signore, si diventa adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza. La vostra terra, tanto bella, conosce i segni e le conseguenze di questo peccato. La ’ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato! Bisogna dirgli di no! La Chiesa che so tanto impegnata nell’educare le coscienze, deve sempre di più spendersi perché il bene possa prevalere. Ce lo chiedono i nostri ragazzi, ce lo domandano i nostri giovani bisognosi di speranza. Per poter rispondere a queste esigenze, la fede ci può aiutare. Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!». Queste le parole di papa Francesco nell’Omelia pronunciata per la Solennità del Corpus Domini il 21 giugno scorso.
L’eco mediatica si è soffermata sulle parole più forti: «I mafiosi sono scomunicati!». Queste parole non costituiscono una scomunica formale per diversi motivi. Primo, perché l’omelia liturgica non è la sede per comminare scomuniche formali. Le scomuniche sono comminate attraverso atti legislativi, come il Codice di diritto canonico o un decreto. Secondo, perché il papa prima spiega «non sono in comunione con Dio» e poi dà il messaggio forte e incisivo «sono scomunicati». Il papa quindi usa un modo comune di parlare, che tra l’altro richiama l’etimologia del termine: scomunicato è chi non è in comunione con Dio e la sua Sposa, la Chiesa.
A mio parere l’aspetto più significativo è un altro: il papa ricorda che chi adora il male e disprezza il bene comune si esclude dalla comunione con Dio. E l’appartenenza ad associazioni a delinquere come la mafia, la ‘ndrangheta o la camorra, sono solo degli esempi di adorazione del male e di disprezzo del bene comune. Il papa parla di forme di relazione sociale che «vivono di malaffare e di violenza»: tutte queste forme di relazione sociale escludono dalla comunione con Dio e la sua Sposa. Parole che ci fanno riflettere, vista la drammatica diffusione della corruzione e del clientelarismo, dello sfruttamento umano e delle violenze soprattutto ideologiche.
Si noti, poi, che non sono neanche una novità, perché il 21 marzo, sempre di questo anno, a Roma papa Francesco ha detto: «Convertitevi, c'è tempo per non finire nell'inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada [...] ai grandi assenti, ma protagonisti: uomini e donne di mafia. [...] Per favore cambiate vita! Convertitevi, fermate di fare il male! Noi preghiamo per voi: convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene. [...]. Questa vita che vivete non vi darà felicità, gioia. Potere e denaro che avete adesso da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, potere insanguinato, non potrai portarlo all'altra vita. Avete avuto un papà e una mamma, pensate a loro e convertitevi».
Queste e quelle parole pronunciate in Calabria sono un appello di un padre premuroso alla conversione del cuore a Cristo Signore. Tra l’altro richiamano l’insegnamento di un altro grande vescovo e padre della Chiesa, sant’Ambrogio, il quale scrive: «Quanti padroni finiscono con l’avere quelli che rifiutano l’unico vero Padrone!» (Extra coll. Ep. 14,96).
Quanto all'altra questione sollevata, eliminare padrini e madrine per i sacramenti del battesimo e della cresima sarebbe un grave errore pastorale. Come sempre, proviamo a ribaltare la questione: la scelta del padrino e della madrina non potrebbe essere una causa di radicamento nella fede e nella comunione con la Chiesa? Cioè, se il vescovo o il parroco fanno riflettere i genitori sull’identità cristiana del padrino e sul suo ruolo, non consentono forse ai genitori di maturare nella fede e nella comunione di amore? Non danno loro la possibilità di fare un salto di qualità anche nelle relazioni con gli altri?
Il vescovo e il parroco preparando i genitori ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e i ragazzi al sacramento della Confermazione hanno un’opportunità notevole: è questo uno dei momenti più decisivi e fortunati per educare i piccoli e i grandi alla fede e quindi anche alla scelta delle persone a cui chiedere di essere accompagnati nel cammino della vita. I genitori, il padrino e la madrina assumono l’impegno di cooperare perché il battezzando e il cresimando vivano fedelmente la vocazione di discepolo di Gesù. Quindi, è la stessa identità del sacramento che richiede la fedeltà di tutti a Cristo. Ripeto: di tutti, genitori, padrino, madrina, battezzando e cresimando. Infatti nel corso della celebrazione il presbitero chiede: «Rinunciate a Satana?» e «Rinunciate al peccato?».
Il vescovo e il parroco preparando i genitori ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e i ragazzi al sacramento della Confermazione hanno un’opportunità notevole: è questo uno dei momenti più decisivi e fortunati per educare i piccoli e i grandi alla fede e quindi anche alla scelta delle persone a cui chiedere di essere accompagnati nel cammino della vita. I genitori, il padrino e la madrina assumono l’impegno di cooperare perché il battezzando e il cresimando vivano fedelmente la vocazione di discepolo di Gesù. Quindi, è la stessa identità del sacramento che richiede la fedeltà di tutti a Cristo. Ripeto: di tutti, genitori, padrino, madrina, battezzando e cresimando. Infatti nel corso della celebrazione il presbitero chiede: «Rinunciate a Satana?» e «Rinunciate al peccato?».
Quindi, è la stessa identità dei sacramenti che esclude coloro che «vivono di malaffare e di violenza» dalla possibilità di essere padrino e madrina. E ai vescovi e ai parroci compete l’onere di vigilare e di correggere per amore di carità verso i bambini e i genitori e per fedeltà a Cristo Signore.
08-07-2014
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