Il Papa:“Come Gesù userò il bastone contro i preti pedofili”. Colloquio di Papa Francesco con Eugenio Scalfari (La Repubblica)
La Repubblica
"La lebbra della pedofilia contagia anche la Chiesa, la debellerò col bastone". Papa Francesco: "Coinvolti anche vescovi e cardinali". E sui preti sposati: "Serve tempo ma troverò una soluzione"
(Eugenio Scalfari) Sono le 5 del pomeriggio di giovedì 10 luglio ed è la terza volta che incontro Papa Francesco per conversare con lui. Di che cosa? Del suo pontificato, iniziato da poco più di un anno e che in così breve tempo ha già cominciato a rivoluzionare la Chiesa; dei rapporti tra i fedeli e il Papa che viene dall’altra parte del mondo; del Concilio Vaticano II concluso 50 anni fa solo parzialmente attuato nelle sue conclusioni; del mondo moderno e la tradizione cristiana e soprattutto della figura di Gesù di Nazaret. Infine della nostra vita, dei suoi affanni e delle sue gioie, delle sue sfide e del suo destino, di ciò che ci aspetta in uno sperato aldilà o del nulla che la morte porta con sé. Questi nostri incontri li ha voluti Papa Francesco perché, tra le tante persone di ogni condizione sociale, di ogni fede, d’ogni età che incontra nel suo quotidiano apostolato, desiderava anche scambiare idee e sentimenti con un non credente. Ed io tale sono; un non credente che ama la figura umana di Gesù, la sua predicazione, la sua leggenda, il mito che egli rappresenta agli occhi di chi gli riconosce un’umanità di eccezionale spessore, ma nessuna divinità.
Il papa ritiene che un colloquio con un non credente siffatto sia reciprocamente stimolante e perciò vuole continuarlo; lo dico perché è lui che me l’ha detto. Il fatto che io sia anche giornalista non lo interessa affatto, potrei essere ingegnere, maestro elementare, operaio. Gli interessa parlare con chi non crede ma vorrebbe che l’amore del prossimo professato duemila anni fa dal figlio di Maria e di Giuseppe fosse il principale contenuto della nostra specie, mentre purtroppo ciò accade molto di rado, soverchiato dagli egoismi, da quelle che Francesco chiama “cupidigia di potere e desiderio di possesso”. L’ha definito in una nostra precedente conversazione “il vero peccato del mondo del quale tutti siamo affetti” e rappresenta l’altra forma della nostra umanità ed è la dinamica tra questi due sentimenti a costruire nel bene e nel male la storia del mondo. È presente in tutti e del resto, nella tradizione cristiana, Lucifero era l’angelo prediletto da Dio, portatore di luce fino a quando non si ribellò al suo Signore tentato di prenderne il posto e il suo Dio lo precipitò nelle tenebre e nel fuoco dei dannati.
Di queste cose parliamo, ma anche degli interventi del Papa nelle strutture della Chiesa, delle avversità che incontra. Debbo dire che oltre all’estremo interesse di queste conversazioni, in me è nato un sentimento di affettuosa amicizia che non modifica in nulla il mio modo di pensare ma di sentire, quello sì. Non so se sia ricambiato, ma la spontaneità di questo assai strano successore di Pietro mi fa pensare di sì.
Ora lo sto aspettando da qualche minuto nella piccola stanza al pianoterra di Santa Marta dove il Papa riceve gli amici e i collaboratori. Lui arriva puntualissimo senza nessuno che l’accompagni. Sa che ho avuto nei giorni scorsi qualche problema di salute e infatti mi chiede subito notizie in proposito. Mi mette la mano sulla testa, una sorta di benedizione, e poi mi abbraccia. Chiude la porta sistema la sua sedia di fronte alla mia e cominciamo.
Pedofilia e mafia sono i due temi sui quali Francesco è intervenuto nei giorni scorsi e che hanno sollevato un’ondata di sentimenti e anche di polemiche fuori e dentro la Chiesa. Il Papa è sensibilissimo sia all’uno che all’altro argomento e ne aveva già parlato in varie occasioni, ma non li aveva ancora presi così di petto soprattutto sui punti riguardanti il comportamento d’una parte del clero.
«La corruzione di un fanciullo» dice «è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare specialmente se, come risulta dai dati che ho potuto direttamente esaminare, gran parte di questi fatti abominevoli avvengono all’interno delle famiglie o comunque d’una comunità di antiche amicizie. La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino e poi il ragazzo e l’adolescente vengono amorevolmente educati al bene, incoraggiati nella crescita stimolata a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei. Giocare insieme, studiare insieme, conoscere il mondo e la vita insieme. Questo con i coetanei, ma con i parenti che li hanno messi al mondo o visti entrare nel mondo il rapporto è come quello di coltivare un fiore, un’aiuola di fiori, custodendola dal maltempo, disinfestandola dai parassiti, raccontandogli le favole della vita e, mentre il tempo passa, la sua realtà. Questa è o dovrebbe essere l’educazione che la scuola completa e la religione colloca sul piano più alto del pensare e del credere al sentimento divino che si affaccia alle nostre anime. Spesso si trasforma in fede, ma comunque lascia un seme che in qualche modo feconda quell’anima e la rivolge verso il bene».
Mentre parla e dice queste verità il Papa mi si avvicina ancora di più. Parla con me, ma è come riflettesse con se stesso disegnando il quadro della sua speranza che coincide con quella di tutte le persone di buona volontà. Probabilmente — dico io — quella è gran parte di quanto avviene. Lui mi guarda con occhi diversi, improvvisamente diventati duri e tristi. «No, purtroppo non è così. L’educazione come noi l’intendiamo sembra quasi aver disertato le famiglie. Ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi. L’educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno è una gravissima omissione ma non siamo ancora nel male assoluto. Non soltanto la mancata educazione ma la corruzione, il vizio, le pratiche turpi imposte al bambino e poi praticate e aggiornate sempre più gravemente man mano che egli cresce e diventa ragazzo e poi adolescente. Questa situazione è frequente nelle famiglie, praticata da parenti, nonni, zii, amici di famiglia. Spesso gli altri membri della famiglia ne sono consapevoli ma non intervengono, irretiti da interessi o da altre forme di corruzione».
A Lei, Santità, risulta che il fenomeno sia frequente e diffuso?
«Purtroppo lo è e si accompagna ad altri vizi come la diffusione delle droghe». E la Chiesa? Che cosa fa in tutto questo la Chiesa?
«La Chiesa lotta perché il vizio sia debellato e l’educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa». Un fenomeno molto diffuso? «Molti miei collaboratori che lottano con me mi rassicurano con dati attendibili che valutano la pedofilia dentro la Chiesa al livello del due per cento. Questo dato dovrebbe tranquillizzarmi ma debbo dirle che non mi tranquillizza affatto. Lo reputo anzi gravissimo. Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali. E altri, ancor più numerosi, sanno ma tacciono, puniscono ma senza dirne il motivo. Io trovo questo stato di cose insostenibile ed è mia intenzione affrontarlo con la severità che richiede.
Ricordo al Papa che nel nostro precedente colloquio lui mi disse che Gesù era l’esempio della dolcezza e della mitezza ma a volte prendeva il bastone per calarlo sulle spalle dei manigoldi che insozzavano moralmente il Tempio. «Vedo che ricorda molto bene le mie parole. Citavo dei passi dei Vangeli di Marco e di Matteo. Gesù amava tutti, perfino i peccatori che voleva redimere dispensando il perdono e la misericordia, ma quando usava il bastone lo impugnava per scacciare il demonio che si era impadronito di quell’anima».
Le anime — anche questo lei me l’ha detto nel nostro precedente incontro — possono pentirsi dopo una vita di peccati anche nell’ultimo momento della loro esistenza e la misericordia sarà con loro. «È vero, questa è la nostra dottrina e questa è la via che «Cristo ci ha indicato». Ma può darsi il caso che qualche pentimento dell’ultimo minuto di vita sia interessato. Magari inconsapevolmente, ma interessato a garantirsi un possibile aldilà. In quel caso la misericordia rischia di finire in una trappola.
«Noi non giudichiamo ma il Signore sa e giudica. La sua misericordia è infinita ma non cadrà mai in trappola. Se il pentimento non è autentico la misericordia non può esercitare il suo ruolo di redenzione».
Lei, Santo Padre, ha tuttavia ricordato più volte che Dio ci ha dotato di libero arbitrio. Sa bene che se scegliamo il male la nostra religione non esercita misericordia nei nostri confronti. Ma c’è un punto che mi preme di sottolineare: la nostra coscienza è libera e autonoma. Può in perfetta buonafede fare del male convinta però che da quel male nascerà un bene. Qual è, di fronte a casi del genere, che sono molto frequenti, l’atteggiamento dei cristiani?
«La coscienza è libera. Se sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più. La legge del Signore è il Signore a stabilirla e non le creature. Noi sappiamo soltanto perché è Cristo ad avercelo detto che il Padre conosce le creature che ha creato e nulla per lui è misterioso. Del resto il libro di Giobbe esamina a fondo questo tema. Si ricorda che ne parlammo? Bisognerebbe esaminare a fondo i libri sapienzali della Bibbia e il Vangelo quando parla di Giuda Iscariota. Sono temi di fondo della nostra teologia». E anche della cultura moderna che voi volete comprendere a fondo e con la quale volete confrontarvi. «È vero è un punto capitale del Vaticano II e dovremo al più presto affrontarlo».
Santità, c’è ancora da parlare del tema della mafia. Lei ha tempo?
«Siamo qui per questo».
«Non conosco a fondo il problema delle mafie, so purtroppo quello che fanno, i delitti che vengono commessi, gli interessi enormi che le mafie amministrano. Ma mi sfugge il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. In Argentina ci sono come dovunque i delinquenti, i ladri, gli assassini, ma non le mafie. È questo aspetto che vorrei esaminare e lo farò leggendo i tanti libri che sono stati scritti in proposito e le tante testimonianze. Lei è di origine calabrese, forse può aiutarmi a capire».
Il poco che posso dirle è questo: la mafia — sia calabrese sia siciliana sia la camorra napoletana — non sono accolite sbandate di delinquenti ma sono organizzazioni che hanno leggi proprie, propri codici di comportamento, propri canoni. Stati nello Stato. Non le sembri paradossale se le dico che hanno una propria etica. E non le sembri abnorme se aggiungo che hanno un proprio Dio. Esiste un Dio mafioso.
«Capisco quello che sta dicendo: è un fatto che la maggior parte delle donne legate alla mafia da vincoli di parentela, le mogli, le figlie, le sorelle, frequentano assiduamente le chiese dei loro paesi dove il sindaco e altre autorità locali sono spesso mafiose. Quelle donne pensano che Dio perdoni le orribili malefatte dei loro congiunti?».
Santità, gli stessi congiunti spesso frequentano le chiese, le messe, le nozze, i funerali. Non credo si confessino ma spesso si comunicano e battezzano i nuovi nati. Questo è il fenomeno.
«Quello che lei dice è chiaro e del resto non mancano libri, inchieste, documentazioni. Debbo aggiungere che alcuni sacerdoti tendono a sorvolare sul fenomeno mafioso. Naturalmente condannano i singoli delitti, onorano le vittime, aiutano come possono le loro famiglie, ma la denuncia pubblica e costante delle mafie è rara. Il primo grande Papa che la fece proprio parlando in quelle terre fu Wojtyla. Debbo dire che il suo discorso fu applaudito da una folla immensa». Lei pensa che in quella folla che applaudiva non ci fossero mafiosi? Per quanto ne so ce n’erano molti. Il mafioso, lo ripeto, applica un suo codice e una sua etica: i traditori vanno uccisi, i disobbedienti vanno puniti, a volte l’esempio viene dato con l’omicidio di bambini o di donne. Ma questi per il mafioso non sono peccati, sono le loro leggi. Dio non c’entra, i santi protettori tantomeno. Ha visto la processione di Oppido Mamertina?
«Erano migliaia gli intervenuti. Poi la statua della Madonna delle Grazie si è fermata davanti alla finestra del boss che è in custodia per ergastolo. Appunto, tutto questo sta cambiando e cambierà. La nostra denuncia delle mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante. Pedofilia, mafia: la Chiesa, il popolo di Dio, i sacerdoti, le Comunità, avranno tra gli altri compiti queste due principalissime questioni».
È passata un’ora e mi alzo. Il Papa mi abbraccia e mi augura di risanare al più presto. Ma io gli faccio ancora una domanda: Lei, Santità, sta lavorando assiduamente per integrare la cattolicità con gli ortodossi, con gli anglicani... Mi interrompe continuando: «Con i valdesi che trovo religiosi di prim’ordine, con i Pentecostali e naturalmente con i nostri fratelli ebrei».
Ebbene, molti di questi sacerdoti o pastori sono regolarmente sposati. Quanto crescerà col tempo quel problema nella Chiesa di Roma?
«Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò.
Ormai siamo fuori dal portone di Santa Marta. Ci abbracciamo di nuovo. Confesso che mi sono commosso. Francesco m’ha accarezzato la guancia e l’auto è partita.
fonte: La Repubblica
Il papa ritiene che un colloquio con un non credente siffatto sia reciprocamente stimolante e perciò vuole continuarlo; lo dico perché è lui che me l’ha detto. Il fatto che io sia anche giornalista non lo interessa affatto, potrei essere ingegnere, maestro elementare, operaio. Gli interessa parlare con chi non crede ma vorrebbe che l’amore del prossimo professato duemila anni fa dal figlio di Maria e di Giuseppe fosse il principale contenuto della nostra specie, mentre purtroppo ciò accade molto di rado, soverchiato dagli egoismi, da quelle che Francesco chiama “cupidigia di potere e desiderio di possesso”. L’ha definito in una nostra precedente conversazione “il vero peccato del mondo del quale tutti siamo affetti” e rappresenta l’altra forma della nostra umanità ed è la dinamica tra questi due sentimenti a costruire nel bene e nel male la storia del mondo. È presente in tutti e del resto, nella tradizione cristiana, Lucifero era l’angelo prediletto da Dio, portatore di luce fino a quando non si ribellò al suo Signore tentato di prenderne il posto e il suo Dio lo precipitò nelle tenebre e nel fuoco dei dannati.
Di queste cose parliamo, ma anche degli interventi del Papa nelle strutture della Chiesa, delle avversità che incontra. Debbo dire che oltre all’estremo interesse di queste conversazioni, in me è nato un sentimento di affettuosa amicizia che non modifica in nulla il mio modo di pensare ma di sentire, quello sì. Non so se sia ricambiato, ma la spontaneità di questo assai strano successore di Pietro mi fa pensare di sì.
Ora lo sto aspettando da qualche minuto nella piccola stanza al pianoterra di Santa Marta dove il Papa riceve gli amici e i collaboratori. Lui arriva puntualissimo senza nessuno che l’accompagni. Sa che ho avuto nei giorni scorsi qualche problema di salute e infatti mi chiede subito notizie in proposito. Mi mette la mano sulla testa, una sorta di benedizione, e poi mi abbraccia. Chiude la porta sistema la sua sedia di fronte alla mia e cominciamo.
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Pedofilia e mafia sono i due temi sui quali Francesco è intervenuto nei giorni scorsi e che hanno sollevato un’ondata di sentimenti e anche di polemiche fuori e dentro la Chiesa. Il Papa è sensibilissimo sia all’uno che all’altro argomento e ne aveva già parlato in varie occasioni, ma non li aveva ancora presi così di petto soprattutto sui punti riguardanti il comportamento d’una parte del clero.
«La corruzione di un fanciullo» dice «è quanto di più terribile e immondo si possa immaginare specialmente se, come risulta dai dati che ho potuto direttamente esaminare, gran parte di questi fatti abominevoli avvengono all’interno delle famiglie o comunque d’una comunità di antiche amicizie. La famiglia dovrebbe essere il sacrario dove il bambino e poi il ragazzo e l’adolescente vengono amorevolmente educati al bene, incoraggiati nella crescita stimolata a costruire la propria personalità e a incontrarsi con quella degli altri suoi coetanei. Giocare insieme, studiare insieme, conoscere il mondo e la vita insieme. Questo con i coetanei, ma con i parenti che li hanno messi al mondo o visti entrare nel mondo il rapporto è come quello di coltivare un fiore, un’aiuola di fiori, custodendola dal maltempo, disinfestandola dai parassiti, raccontandogli le favole della vita e, mentre il tempo passa, la sua realtà. Questa è o dovrebbe essere l’educazione che la scuola completa e la religione colloca sul piano più alto del pensare e del credere al sentimento divino che si affaccia alle nostre anime. Spesso si trasforma in fede, ma comunque lascia un seme che in qualche modo feconda quell’anima e la rivolge verso il bene».
Mentre parla e dice queste verità il Papa mi si avvicina ancora di più. Parla con me, ma è come riflettesse con se stesso disegnando il quadro della sua speranza che coincide con quella di tutte le persone di buona volontà. Probabilmente — dico io — quella è gran parte di quanto avviene. Lui mi guarda con occhi diversi, improvvisamente diventati duri e tristi. «No, purtroppo non è così. L’educazione come noi l’intendiamo sembra quasi aver disertato le famiglie. Ciascuno è preso dalle proprie personali incombenze, spesso per assicurare alla famiglia un tenore di vita sopportabile, talvolta per perseguire un proprio personale successo, altre volte per amicizie e amori alternativi. L’educazione come compito principale verso i figli sembra fuggito via dalle case. Questo fenomeno è una gravissima omissione ma non siamo ancora nel male assoluto. Non soltanto la mancata educazione ma la corruzione, il vizio, le pratiche turpi imposte al bambino e poi praticate e aggiornate sempre più gravemente man mano che egli cresce e diventa ragazzo e poi adolescente. Questa situazione è frequente nelle famiglie, praticata da parenti, nonni, zii, amici di famiglia. Spesso gli altri membri della famiglia ne sono consapevoli ma non intervengono, irretiti da interessi o da altre forme di corruzione».
A Lei, Santità, risulta che il fenomeno sia frequente e diffuso?
«Purtroppo lo è e si accompagna ad altri vizi come la diffusione delle droghe». E la Chiesa? Che cosa fa in tutto questo la Chiesa?
«La Chiesa lotta perché il vizio sia debellato e l’educazione recuperata. Ma anche noi abbiamo questa lebbra in casa». Un fenomeno molto diffuso? «Molti miei collaboratori che lottano con me mi rassicurano con dati attendibili che valutano la pedofilia dentro la Chiesa al livello del due per cento. Questo dato dovrebbe tranquillizzarmi ma debbo dirle che non mi tranquillizza affatto. Lo reputo anzi gravissimo. Il due per cento di pedofili sono sacerdoti e perfino vescovi e cardinali. E altri, ancor più numerosi, sanno ma tacciono, puniscono ma senza dirne il motivo. Io trovo questo stato di cose insostenibile ed è mia intenzione affrontarlo con la severità che richiede.
Ricordo al Papa che nel nostro precedente colloquio lui mi disse che Gesù era l’esempio della dolcezza e della mitezza ma a volte prendeva il bastone per calarlo sulle spalle dei manigoldi che insozzavano moralmente il Tempio. «Vedo che ricorda molto bene le mie parole. Citavo dei passi dei Vangeli di Marco e di Matteo. Gesù amava tutti, perfino i peccatori che voleva redimere dispensando il perdono e la misericordia, ma quando usava il bastone lo impugnava per scacciare il demonio che si era impadronito di quell’anima».
Le anime — anche questo lei me l’ha detto nel nostro precedente incontro — possono pentirsi dopo una vita di peccati anche nell’ultimo momento della loro esistenza e la misericordia sarà con loro. «È vero, questa è la nostra dottrina e questa è la via che «Cristo ci ha indicato». Ma può darsi il caso che qualche pentimento dell’ultimo minuto di vita sia interessato. Magari inconsapevolmente, ma interessato a garantirsi un possibile aldilà. In quel caso la misericordia rischia di finire in una trappola.
«Noi non giudichiamo ma il Signore sa e giudica. La sua misericordia è infinita ma non cadrà mai in trappola. Se il pentimento non è autentico la misericordia non può esercitare il suo ruolo di redenzione».
Lei, Santo Padre, ha tuttavia ricordato più volte che Dio ci ha dotato di libero arbitrio. Sa bene che se scegliamo il male la nostra religione non esercita misericordia nei nostri confronti. Ma c’è un punto che mi preme di sottolineare: la nostra coscienza è libera e autonoma. Può in perfetta buonafede fare del male convinta però che da quel male nascerà un bene. Qual è, di fronte a casi del genere, che sono molto frequenti, l’atteggiamento dei cristiani?
«La coscienza è libera. Se sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Noi non possiamo dire di più perché non sappiamo di più. La legge del Signore è il Signore a stabilirla e non le creature. Noi sappiamo soltanto perché è Cristo ad avercelo detto che il Padre conosce le creature che ha creato e nulla per lui è misterioso. Del resto il libro di Giobbe esamina a fondo questo tema. Si ricorda che ne parlammo? Bisognerebbe esaminare a fondo i libri sapienzali della Bibbia e il Vangelo quando parla di Giuda Iscariota. Sono temi di fondo della nostra teologia». E anche della cultura moderna che voi volete comprendere a fondo e con la quale volete confrontarvi. «È vero è un punto capitale del Vaticano II e dovremo al più presto affrontarlo».
Santità, c’è ancora da parlare del tema della mafia. Lei ha tempo?
«Siamo qui per questo».
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«Non conosco a fondo il problema delle mafie, so purtroppo quello che fanno, i delitti che vengono commessi, gli interessi enormi che le mafie amministrano. Ma mi sfugge il modo di pensare dei mafiosi, i capi, i gregari. In Argentina ci sono come dovunque i delinquenti, i ladri, gli assassini, ma non le mafie. È questo aspetto che vorrei esaminare e lo farò leggendo i tanti libri che sono stati scritti in proposito e le tante testimonianze. Lei è di origine calabrese, forse può aiutarmi a capire».
Il poco che posso dirle è questo: la mafia — sia calabrese sia siciliana sia la camorra napoletana — non sono accolite sbandate di delinquenti ma sono organizzazioni che hanno leggi proprie, propri codici di comportamento, propri canoni. Stati nello Stato. Non le sembri paradossale se le dico che hanno una propria etica. E non le sembri abnorme se aggiungo che hanno un proprio Dio. Esiste un Dio mafioso.
«Capisco quello che sta dicendo: è un fatto che la maggior parte delle donne legate alla mafia da vincoli di parentela, le mogli, le figlie, le sorelle, frequentano assiduamente le chiese dei loro paesi dove il sindaco e altre autorità locali sono spesso mafiose. Quelle donne pensano che Dio perdoni le orribili malefatte dei loro congiunti?».
Santità, gli stessi congiunti spesso frequentano le chiese, le messe, le nozze, i funerali. Non credo si confessino ma spesso si comunicano e battezzano i nuovi nati. Questo è il fenomeno.
«Quello che lei dice è chiaro e del resto non mancano libri, inchieste, documentazioni. Debbo aggiungere che alcuni sacerdoti tendono a sorvolare sul fenomeno mafioso. Naturalmente condannano i singoli delitti, onorano le vittime, aiutano come possono le loro famiglie, ma la denuncia pubblica e costante delle mafie è rara. Il primo grande Papa che la fece proprio parlando in quelle terre fu Wojtyla. Debbo dire che il suo discorso fu applaudito da una folla immensa». Lei pensa che in quella folla che applaudiva non ci fossero mafiosi? Per quanto ne so ce n’erano molti. Il mafioso, lo ripeto, applica un suo codice e una sua etica: i traditori vanno uccisi, i disobbedienti vanno puniti, a volte l’esempio viene dato con l’omicidio di bambini o di donne. Ma questi per il mafioso non sono peccati, sono le loro leggi. Dio non c’entra, i santi protettori tantomeno. Ha visto la processione di Oppido Mamertina?
«Erano migliaia gli intervenuti. Poi la statua della Madonna delle Grazie si è fermata davanti alla finestra del boss che è in custodia per ergastolo. Appunto, tutto questo sta cambiando e cambierà. La nostra denuncia delle mafia non sarà fatta una volta tanto ma sarà costante. Pedofilia, mafia: la Chiesa, il popolo di Dio, i sacerdoti, le Comunità, avranno tra gli altri compiti queste due principalissime questioni».
È passata un’ora e mi alzo. Il Papa mi abbraccia e mi augura di risanare al più presto. Ma io gli faccio ancora una domanda: Lei, Santità, sta lavorando assiduamente per integrare la cattolicità con gli ortodossi, con gli anglicani... Mi interrompe continuando: «Con i valdesi che trovo religiosi di prim’ordine, con i Pentecostali e naturalmente con i nostri fratelli ebrei».
Ebbene, molti di questi sacerdoti o pastori sono regolarmente sposati. Quanto crescerà col tempo quel problema nella Chiesa di Roma?
«Forse lei non sa che il celibato fu stabilito nel X secolo, cioè 900 anni dopo la morte di nostro Signore. La Chiesa cattolica orientale ha facoltà fin d’ora che i suoi presbiteri si sposino. Il problema certamente esiste ma non è di grande entità. Ci vuole tempo ma le soluzioni ci sono e le troverò.
Ormai siamo fuori dal portone di Santa Marta. Ci abbracciamo di nuovo. Confesso che mi sono commosso. Francesco m’ha accarezzato la guancia e l’auto è partita.
fonte: La Repubblica
Nota di p. Federico Lombardi, portavoce della Sala stampa della Santa Sede: A proposito dell’articolo di Scalfari sul colloquio con il Papa (13.7.2014)
(a cura Redazione "Il sismografo")
(a cura Redazione "Il sismografo")
Su “la Repubblica” di questa domenica mattina viene pubblicato con grande evidenza il resoconto, firmato da Eugenio Scalfari, di un suo nuovo colloquio con il Santo Padre Francesco. Il colloquio è cordiale e molto interessante e tocca principalmente i temi della piaga degli abusi sessuali su minori e dell’atteggiamento della Chiesa verso la mafia.
Tuttavia, come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore.
Se quindi si può ritenere che nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio fra il Santo Padre e Scalfari, occorre ribadire con forza quanto già si era detto in occasione di una precedente “intervista” apparsa su Repubblica, cioè che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa.
Ad esempio e in particolare, ciò vale per due affermazioni che hanno attirato molta attenzione e che invece non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei “cardinali”, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, “le soluzioni le troverò”.
Nell’articolo pubblicato su Repubblica queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente - le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura…Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?
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