ALLORA E’ DAVVERO SCALFARIANO ! (Papa Bergoglio smentisce il Vaticano e ora pubblica, come suo libro, le esplosive interviste – inizialmente tolte dal sito della Santa Sede – col fondatore di “Repubblica”. Con tutto il “relativismo” che contengono e non solo…).
Nel Vaticano di papa Bergoglio la confusione è totale. Ogni
giorno ce n’è una. Dopo lo sconcertante caso “Leoncavallo in Vaticano”,
ora, con la firma di “Jorge Mario Bergoglio-Papa Francesco”, la Libreria
editrice vaticana pubblica il volume “Interviste e conversazioni con i
giornalisti”, dove vengono raccolte “le interviste rivolte a papa
Francesco, riconosciute e pubblicate come tali dal giornale della Santa
Sede L’Osservatore romano e da altre testate”.
E’ clamoroso e significativo che fra di esse ci siano anche le due con Eugenio Scalfari perché finora molti le consideravano controverse. Il fatto creerà imbarazzo. Ricordiamo i loro contenuti più esplosivi.
“NON ESISTE UN DIO CATTOLICO”
Nell’intervista del 1° ottobre 2013, a proposito dei “mali più gravi” che “affliggono il mondo”, incredibilmente Bergoglio non parla della perdita della fede, della cancellazione di Dio o dell’attacco alle basi della morale e della legge naturale.
No. Dice: “la disoccupazione dei giovani” e “la solitudine dei vecchi”.
Scalfari, stupito, gli fa presente che questi sono un “problema politico ed economico” che “riguarda gli Stati, i governi, i partiti e i sindacati”. Il Papa dovrebbe occuparsi di Dio.
Ma Bergoglio ribatte che quelli da lui enunciati, anche per la Chiesa, sono “il problema più urgente e più drammatico”.
Poi il passo più dirompente, dove il papa afferma: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene (…). Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.
Molti hanno osservato che questo concetto, che nega l’oggettività del Bene e del Male, contraddice tutto il magistero della Chiesa ed è molto pericoloso perché potrebbe essere usato perfino da Stalin e Hitler per autogiustificarsi.
Un altro passaggio bergogliano che ha creato forte disagio: “i Capi della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro cortigiani. La corte è la lebbra del papato” (è stato ricordato a Francesco che lui più di tutti deve guardarsi dalle lusinghe dei cortigiani).
Nell’intervista papa Bergoglio si scaglia poi duramente contro il “liberismo selvaggio”, ma non pronuncia parole di condanna verso il comunismo e neanche verso la teologia della liberazione (in entrambi i casi elogia le persone che hanno professato queste ideologie).
Il papa argentino condanna inoltre il “proselitismo” cattolico (“una solenne sciocchezza”) dicendo che “il nostro obiettivo non è il proselitismo, ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni”.
Al contrario di quanto prescrive Gesù nel Vangelo: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate” (Mt 28, 19-20).
In un altro passo stupefacente, papa Bergoglio diceva: “io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio”.
Strane anche le parole sull’escatologia dove dice che, dopo la fine del mondo, “la luce di Dio invaderà tutte le anime” e ripete che “tutta la luce sarà in tutte le anime”.
Quel “tutte” apre qualche interrogativo, soprattutto se si tiene presente che nel magistero ordinario di Bergoglio è difficile trovare la parola “inferno” (io non l’ho trovata).
IMBARAZZO VATICANO
Questa intervista, uscita il 1° ottobre su “Repubblica”, fu ristampata l’indomani anche sull’”Osservatore romano” e fu collocata nel sito internet del Vaticano.
Qualche coraggioso provò a dar voce allo sconcerto che era di molti cattolici per quelle parole mai pronunciate da un papa.
Padre Lombardi tentò di arrampicarsi sugli specchi dicendo che Francesco non aveva rivisto personalmente il testo, che tuttavia Scalfari aveva inviato prima della pubblicazione.
Non convinse nessuno.
Il fatto poi che non arrivasse nessuna smentita precisa e incontestabile alle dichiarazioni più sorprendenti fece crescere lo sconcerto.
Così, dopo un mese e mezzo, il 15 novembre, fu decisa la cancellazione di quell’intervista dal sito ufficiale del papa e del Vaticano.
Per l’occasione padre Lombardi tornò ad arrampicarsi sugli specchi spiegando che “l’intervista è attendibile in senso generale, ma non nelle singole valutazioni: per questo si è ritenuto di non farne un testo consultabile sul sito della Santa Sede. In sostanza, togliendola si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C’era qualche equivoco e dibattito sul suo valore. Lo ha deciso la Segreteria di Stato”.
A quel punto perfino “Vatican Insider”, che è la “curva sud” dei tifosi bergogliani, notò che “in effetti l’articolo conteneva espressioni difficilmente attribuibili a Papa Francesco”.
Sennonché adesso l’intervista viene ripubblicata addirittura in un libro del papa. Dunque ora cosa diranno?
Non solo. Gli incontri fra Scalfari e Bergoglio sono proseguiti. E il 13 luglio di quest’anno su “Repubblica” è uscita un’altra intervista di Scalfari al papa.
L’IRA DEI CARDINALI
Anche stavolta vi si leggono passi stupefacenti. Per esempio, papa Bergoglio afferma che “se (una persona) sceglie il male perché è sicura che da esso deriverà un bene dall’alto dei cieli queste intenzioni e le loro conseguenze saranno valutate. Non possiamo dire di più perché non sappiamo di più”.
Poi il papa dice che, a proposito degli ecclesiastici, “il celibato fu stabilito nel X secolo” (notizia che ha sorpreso gli storici della Chiesa) e che, per quanto riguarda il matrimonio dei preti, “ci vuole tempo, ma le soluzioni ci sono e le troverò”.
Infine il passo più esplosivo. Parlando della pedofilia nella Chiesa, il papa dette una percentuale sbagliata (in eccesso) e aggiunse che fra questi pedofili ci sono “sacerdoti e perfino vescovi e cardinali”.
La mattina stessa dell’uscita dell’intervista, il 13 luglio, pur essendo domenica, pare che alcuni importanti porporati abbiano telefonato usando parole di fuoco. Così il solito padre Lombardi si precipitò subito a fare una dichiarazione su quel colloquio “cordiale e molto interessante”.
Disse: “come già in precedenza in una circostanza analoga, bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo ‘fra virgolette’ le sue parole è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato”.
Quindi “non si può e non si deve parlare in alcun modo di un’intervista… Se quindi si può ritenere che nell’insieme l’articolo riporti il senso e lo spirito del colloquio… occorre ribadire con forza”, come la volta precedente, “che le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al Papa”.
“In particolare” padre Lombardi smentì due affermazioni che “non sono attribuibili al Papa. Cioè che fra i pedofili vi siano dei ‘cardinali’, e che il Papa abbia affermato con sicurezza, a proposito del celibato, ‘le soluzioni le troverò’ ”.
Lombardi notò che in queste due affermazioni “attribuite al Papa”, Scalfari apriva le virgolette, ma non le chiudeva: “dimenticanza” si chiedeva il portavoce vaticano “o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?”.
E’ curioso che una parola così pesante (“manipolazione”) venga usata verso un giornalista che il papa ha continuato a ricevere più volte. Curioso pure che la smentita sia stata precisa e dura su punti scottanti, come quello relativo ai cardinali e la pedofilia, ma non sulle affermazioni di contenuto dottrinale, che sarebbero anche più importanti.
E ORA ?
Infine, che valore ha questa smentita di luglio, pur riportata, senza commenti, nell’introduzione del libro firmata da don Giuseppe Costa, dal momento che adesso il papa ripubblica quelle due interviste integrali, tali e quali, in un libro con la sua firma?
Può un papa seminare questa confusione fra i fedeli?
Antonio Socci
Da “Libero”, 30 ottobre 2014
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”
http://www.antoniosocci.com/2014/10/allora-e-davvero-scalfariano-papa-bergoglio-smentisce-il-vaticano-e-ora-pubblica-come-suo-libro-le-esplosive-interviste-inizialmente-tolte-dal-sito-della-santa-sede-col-fond/
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Ma il vero Papa non è quello di 'Repubblica'
Scalfari sostiene che Francesco è disposto a sacrificare l’idea di Dio pur di salvare la libertà. Ma il pontefice dice che solo l’etica biblica nobilita l’uomo
Giù le mani dal papa. Bisogna ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a sinistra. Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee egualmente eterodosse e quasi atee. Un circo mediatico assurdo.
Come se non bastasse a questi due schieramenti se ne aggiunge un terzo, quelli dei neobergogliani fondamentalisti, che si sentono «superapostoli» di questo Papa e «giudicano» chi, fra i credenti, ha la fede e la grazia, e chi no.
Ma di questi dirò in conclusione. Comincio dal caso più eclatante: quello di Repubblica. Martedì scorso, un editoriale di prima pagina di Ian Buruma, che sembra ignaro di secoli di dottrina cattolica relativa alla «retta coscienza», attribuiva al Papa l’idea che «non è poi necessario che Dio o la Chiesa ci dicano come dobbiamo comportarci. Basta la nostra coscienza».
L’editorialista traeva la conclusione che papa Francesco starebbe così abbattendo il credo cattolico: «nemmeno i protestanti più devoti si spingerebbero tanto lontano. I protestanti si sono limitati ad eliminare i preti in quanto tramite tra l’individuo e il suo creatore. Le parole di papa Francesco lasciano pensare invece che quella di eliminare lo stesso Dio potrebbe rappresentare un’opzione legittima».
Abbiamo letto bene? Dunque, secondo quanto sta scritto sulla prima pagina di Repubblica, papa Francesco vorrebbe insegnare a «eliminare Dio»?
In realtà lo stesso Buruma poi giudica «un po’ sconcertante» tale idea. Per la precisione è una colossale sciocchezza. Che neanche meriterebbe una confutazione.
Siccome però qualche lettore laico di Repubblica o qualche cattolico intransigente potrebbe crederci (e magari partire all’attacco del Papa), faccio sommessamente notare che il vero magistero di Francesco insegna esattamente il contrario di quella nozione di coscienza che il giornale scalfariano gli attribuisce.
Proprio l’11 ottobre, quattro giorni prima dell’editoriale di Buruma, ricevendo una delegazione della comunità ebraica di Roma, Francesco ha fatto un discorso importante e solenne in cui ha insistito a chiedere una collaborazione col mondo ebraico sui principi morali, indicandone la base nella «testimonianza alla verità delle dieci parole, il Decalogo».
I Dieci Comandamenti, ha detto il Papa, sono «solido fondamento e sorgente di vita anche per la nostra società», indicandone dunque la validità anche per la vita sociale e politica.
Poi ha sottolineato che del Decalogo, legge consegnata da Dio a Mosè sul Sinai, c’è estremo bisogno perché la società del nostro tempo è «così disorientata da un pluralismo estremo delle scelte e degli orientamenti, e segnata da un relativismo che porta a non avere più punti di riferimento solidi e sicuri».
Francesco ha dunque richiamato il magistero di Benedetto XVI per affermare che nel Decalogo la coscienza trova il suo ancoraggio sicuro, contro il dilagante relativismo.
Con tanti saluti a Repubblica, a Scalfari e a Buruma. Questo è il magistero di papa Francesco. Ed è stato questo fin dall’inizio. Identico peraltro a ciò che insegnava come cardinale arcivescovo di Buenos Aires: un recente articolo di Alessandro Martinetti lo ha dimostrato mettendo a confronto, su alcuni temi scottanti, i suoi testi (del tutto in linea con Ratzinger) con quelli, molto diversi, del cardinal Martini.
Del resto papa Francesco si è proclamato ripetutamente «figlio della Chiesa» e la Chiesa sempre e dovunque ha insegnato la stessa dottrina, fino a Benedetto XVI, passando per il Concilio Vaticano II che nella Gaudium et spes afferma: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire».
Se così non fosse, se non esistesse la Verità oggettiva e se l’uomo a potesse decidere soggettivamente cosa è Bene e cosa è Male, tutto diventerebbe arbitrariamente autogiustificabile (anche per soggetti come Priebke, Stalin e Hitler).
S’illude chi spera che papa Francesco possa ribaltare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e professato. Non ha neanche il potere di farlo.
Molti, a Repubblica, ma anche fra i cattolici, ignorano perfino qual è lo «statuto» del papato: al Papa è consegnato il depositum fidei, la verità rivelata e sempre professata, affinché la custodisca e la difenda. Ma non può assolutamente sovvertirla. Nessun Papa ha tale potere perché nel momento stesso in cui insegnasse una verità diversa decadrebbe e non sarebbe più papa.
Ha scritto Joseph Ratzinger: «Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà abbia valore di legge. Egli è la voce della tradizione e solo a partire da essa si fonda la sua autorità».
Quindi sono totalmente fuori strada sia certi fan laicisti, sia i cattolici intransigenti che lo contestano per lo stesso (assurdo) motivo.
I laicisti con Francesco faranno la fine di quei loro predecessori che acclamavano Pio IX per usarlo politicamente contro l’Austria e indurlo a fare la guerra: appena si accorsero che il Papa non si faceva «usare», lo trasformarono nel loro peggior nemico.
Per questo il grande e saggio don Bosco insegnava ai suoi ragazzi a gridare non «Viva Pio IX», come facevano certi laici, ma «Viva il Papa». E ancora meglio Francesco, in più di una occasione, a chi acclamava il suo nome («Francesco, Francesco»), ha chiesto piuttosto di acclamare «Gesù! Gesù!». Perché il Salvatore è Lui, non il Papa.
Proprio considerando questo desiderio di papa Francesco di mettere al centro Cristo e non se stesso (come ha fatto con grande umiltà Ratzinger), bisogna segnalare che c’è una terza categoria di persone che fraintendono.
Penso, tanto per fare un nome, alla neoeditorialista di Avvenire Stefania Falasca. Conosco Stefania da più di 20 anni, perché era redattrice di 30 Giorni mentre io ne ero direttore.
Quando ho letto il suo editoriale sull’Avvenire di giovedì ho pensato: sia pure involontariamente queste invettive rischiano di danneggiare il Papa più dei suoi critici.
Anzitutto perché – su questo ha ragione Giuliano Ferrara – sotto la «scomunica» falaschiana contro i «rigidi eticisti» cade tutta la linea ruiniana-wojtyliana-ratzingeriana dello stesso Avvenire fino ad oggi (e magari, se la si capovolge, si dovrebbe dare qualche spiegazione).
Ma soprattutto quei fulmini – contro gli «specialisti del Logos» - rischiano di finire in pieno su pontefici del rango di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e sul loro magistero.
Un «lusso» che nessuno può permettersi. Specialmente se non si ha nemmeno l’attrezzatura culturale per discutere. Non si fa un favore a papa Francesco a lanciare questi anatemi sotto la sua insegna.
Del resto è alquanto paradossale che in nome del cristianesimo della «tenerezza» si scaglino fulmini su dei credenti, pretendendo di giudicare loro, la loro coscienza e la loro fede.
Non che nella Chiesa non esistano effettivamente dei «rigidi eticisti». Ce ne sono, ha ragione su questo la Falasca: hanno pure contestato il cardinal Ruini, la Cei e implicitamente Ratzinger e Wojtyla perché non hanno «scomunicato» la legge 40 sulla procreazione assistita. Ma sono pochissimi e non mettono certo a rischio la Chiesa come i tanti (anche teologi) che vengono a patti con le ideologie del mondo (e contro cui nulla si dice).
Inoltre anche i cosiddetti «rigidi eticisti» (che di solito sono bravi cattolici, persone di grande fede e in certi casi eroici nelle prove della vita) meritano di essere trattati con la «tenerezza di Cristo» e con la paternità che il Papa riserva a tutti.
Francesco è proteso a raggiungere tutti, a riportare tutti a Cristo. E non vuole perdere nessuno. Sarebbe incredibile una Chiesa dove ci fosse posto per tutti fuorché per i cattolici e per chi ama la Chiesa stessa.
Di sicuro non è questo che il Papa vuole. E non è di questo che la Chiesa ha bisogno.
di Antonio Socci
Socci: Scalfari travisa il Papa
"La coscienza non è un'opinione"
Bergoglio indica la via del perdono per chi è ateo. Ma il fondatore di Repubblica piega le parole del pontefice al suo pensiero. Spazzando via anche l'etica laica
Eugenio Scalfari e Papa Francesco
Eugenio Scalfari non deve aver digerito la cancellazione dal sito del Vaticano della sua «intervista» al Papa. E nella sua interminabile omelia domenicale ha ribadito che «Francesco ha teorizzato in varie occasioni la libertà di coscienza dei cristiani come di tutti gli altri uomini e la loro libera scelta tra quello che ciascuno di loro ritiene sia il Bene e quello che ritiene sia il Male. E portando avanti il Vaticano II [Francesco] ha deciso di dialogare con la cultura moderna». La sommarietà di queste frasi mostra che Scalfari non ha le idee chiare. Ma con l’espressione «in varie occasioni» cerca di dire che anche nella lettera scritta dal Papa il 4 settembre, in risposta a un suo articolo del 7 agosto, Francesco diceva sulla coscienza la stessa cosa che lui gli ha attribuito nell’intervista del 1° ottobre (quella cancellata dal sito vaticano). Invece si sbaglia. La domanda posta da Scalfari nel suo articolo agostano era infatti la seguente: «Se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal Dio cristiano?». La risposta è «no», ma Scalfari ha creduto invece di sentire «sì». Perché un tale malinteso? Per due ragioni. La prima. Scalfari equivoca sull’atteggiamento del Papa, che invece di freddarlo con un secco «no», lo prende per mano e fraternamente gli mostra la verità e la via del perdono. Infatti Francesco gli risponde dicendo che «la cosa fondamentale» è «che la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito». Già questo è eloquente. Poi il Papa aggiunge che «per chi non crede in Dio la questione sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la coscienza» che bisogna «ascoltare e obbedire».
L’equivoco - Qui scopriamo la seconda ragione dell’equivoco. Scalfari non ha compreso la complessa e delicata dottrina cattolica sulla coscienza e la confonde con l’opinione, ovvero ciò che uno decide che sia Bene o Male. Ma quando il Papa parla di coscienza intende tutt’altra cosa, ovvero «la legge scritta da Dio nell’intimo» dell’uomo, «una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire» (sto citando il Concilio Vaticano II che Scalfari evoca, ma senza conoscerlo). In sostanza, Papa Francesco con quella risposta rimandava al n. 1864 del Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove parla del «peccato contro lo Spirito Santo», cioè l’unico che non può essere perdonato. Il Catechismo recita infatti: «La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna». Scalfari dunque equivoca. Ma a me stupisce pure che egli possa coltivare quell’idea la quale, di per sé, spazza via anche ogni tipo di etica laica. Se infatti il Bene e il Male non sono oggettivi, ma sono definiti da ciascuno a proprio arbitrio, non si vede in base a cosa si possano condannare certe infamie o grandi criminali come Hitler e Stalin, perché costoro potrebbero sempre giustificarsi sostenendo di aver seguito la propria idea di Bene. L’equivoco di Scalfari ha tratto molti in inganno. Qualcuno, nel mondo cattolico, ha storto il naso perché il Papa ha dialogato con un potente intellettuale che ha sempre manifestato la sua avversità alla Chiesa. Ma Francesco aveva colto due spiragli importanti nell’articolo di Scalfari. Il primo laddove scrive: «Sono un non credente che è da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazaret». Il secondo spiraglio sta proprio nella domanda - sopra citata - sulla possibilità di avere il perdono di Dio per «una persona che non ha fede né la cerca» e che «commette quello che per la Chiesa è un peccato».
L'autoinganno - In riferimento al primo tema, Francesco ha testimoniato accoratamente il suo personale incontro con Cristo che non è solo uomo, ma si proclama e si dimostra tangibilmente Dio, dunque il Salvatore. Sulla seconda domanda il Papa ha colto un’ansia sulla sorte eterna che vive anche chi si proclama ateo. Scalfari sembra sincero in entrambi i casi. Rischia però di cadere in un autoinganno, quello di cercare risposte compiacenti con le sue opinioni. Sembra che cerchi una qualche rassicurazione, dal Vicario di Cristo, perché - in fin dei conti - se c’è poi qualcosa la prospettiva dell’inferno, cioè di un tormento senza fine e senza scampo, non è proprio simpatica. Nemmeno per chi si dice ateo. All’intellettuale ateo Papa Francesco ha teso fraternamente la mano e con umiltà lo ha esortato a lasciarsi abbracciare dalla Misericordia di Dio. Perché, come ha detto Gesù a santa Faustina Kowalska (evocata dal Papa all’Angelus di domenica): «Chi non vuole passare attraverso la porta della misericordia, deve passare attraverso la porta della Mia giustizia». E con la giustizia di Dio non si scherza. Certo, Scalfari è un navigatore di lungo corso, un uomo che si è dimostrato abilissimo a destreggiarsi in tutte le epoche. Solo che con il Padreterno la scaltrezza umana non funziona.
Il Concilio Vaticano II - si badi bene, proprio il Concilio che Scalfari evoca - afferma che per salvarsi occorre entrare nella Chiesa: «Questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta». A questo punto il Concilio proclama: «Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare» (Lumen Gentium n. 14). Naturalmente ciò non riguarda chi non ha potuto conoscere il Vangelo: «Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano (...) di condurre una vita retta» (Lumen Gentium, n. 16).
San Paolo - Per chi invece ha conosciuto l’annuncio cristiano e lo rifiuta o lo tradisce, il Concilio cita un passo di san Paolo che giudica e condanna i costumi del suo tempo, così simili a quelli di oggi: «L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia (...) poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato (...); essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili».
L’Apostolo aggiunge: «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore». Infine conclude: «Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno... pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (Rm, 1, 18-32).
C’è di che tremare e meditare. Per tutti.
di Antonio Socci
http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1353980/Socci--Scalfari-travisa-il-Papa---La-coscienza-non-e-un-opinione-.html
L’equivoco - Qui scopriamo la seconda ragione dell’equivoco. Scalfari non ha compreso la complessa e delicata dottrina cattolica sulla coscienza e la confonde con l’opinione, ovvero ciò che uno decide che sia Bene o Male. Ma quando il Papa parla di coscienza intende tutt’altra cosa, ovvero «la legge scritta da Dio nell’intimo» dell’uomo, «una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve obbedire» (sto citando il Concilio Vaticano II che Scalfari evoca, ma senza conoscerlo). In sostanza, Papa Francesco con quella risposta rimandava al n. 1864 del Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove parla del «peccato contro lo Spirito Santo», cioè l’unico che non può essere perdonato. Il Catechismo recita infatti: «La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna». Scalfari dunque equivoca. Ma a me stupisce pure che egli possa coltivare quell’idea la quale, di per sé, spazza via anche ogni tipo di etica laica. Se infatti il Bene e il Male non sono oggettivi, ma sono definiti da ciascuno a proprio arbitrio, non si vede in base a cosa si possano condannare certe infamie o grandi criminali come Hitler e Stalin, perché costoro potrebbero sempre giustificarsi sostenendo di aver seguito la propria idea di Bene. L’equivoco di Scalfari ha tratto molti in inganno. Qualcuno, nel mondo cattolico, ha storto il naso perché il Papa ha dialogato con un potente intellettuale che ha sempre manifestato la sua avversità alla Chiesa. Ma Francesco aveva colto due spiragli importanti nell’articolo di Scalfari. Il primo laddove scrive: «Sono un non credente che è da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazaret». Il secondo spiraglio sta proprio nella domanda - sopra citata - sulla possibilità di avere il perdono di Dio per «una persona che non ha fede né la cerca» e che «commette quello che per la Chiesa è un peccato».
L'autoinganno - In riferimento al primo tema, Francesco ha testimoniato accoratamente il suo personale incontro con Cristo che non è solo uomo, ma si proclama e si dimostra tangibilmente Dio, dunque il Salvatore. Sulla seconda domanda il Papa ha colto un’ansia sulla sorte eterna che vive anche chi si proclama ateo. Scalfari sembra sincero in entrambi i casi. Rischia però di cadere in un autoinganno, quello di cercare risposte compiacenti con le sue opinioni. Sembra che cerchi una qualche rassicurazione, dal Vicario di Cristo, perché - in fin dei conti - se c’è poi qualcosa la prospettiva dell’inferno, cioè di un tormento senza fine e senza scampo, non è proprio simpatica. Nemmeno per chi si dice ateo. All’intellettuale ateo Papa Francesco ha teso fraternamente la mano e con umiltà lo ha esortato a lasciarsi abbracciare dalla Misericordia di Dio. Perché, come ha detto Gesù a santa Faustina Kowalska (evocata dal Papa all’Angelus di domenica): «Chi non vuole passare attraverso la porta della misericordia, deve passare attraverso la porta della Mia giustizia». E con la giustizia di Dio non si scherza. Certo, Scalfari è un navigatore di lungo corso, un uomo che si è dimostrato abilissimo a destreggiarsi in tutte le epoche. Solo che con il Padreterno la scaltrezza umana non funziona.
Il Concilio Vaticano II - si badi bene, proprio il Concilio che Scalfari evoca - afferma che per salvarsi occorre entrare nella Chiesa: «Questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta». A questo punto il Concilio proclama: «Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare» (Lumen Gentium n. 14). Naturalmente ciò non riguarda chi non ha potuto conoscere il Vangelo: «Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano (...) di condurre una vita retta» (Lumen Gentium, n. 16).
San Paolo - Per chi invece ha conosciuto l’annuncio cristiano e lo rifiuta o lo tradisce, il Concilio cita un passo di san Paolo che giudica e condanna i costumi del suo tempo, così simili a quelli di oggi: «L’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia (...) poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato (...); essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e così non hanno capito più nulla. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell’incorruttibile Dio con l’immagine e la figura dell’uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili».
L’Apostolo aggiunge: «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore». Infine conclude: «Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno... pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa» (Rm, 1, 18-32).
C’è di che tremare e meditare. Per tutti.
di Antonio Socci
http://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/1353980/Socci--Scalfari-travisa-il-Papa---La-coscienza-non-e-un-opinione-.html
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