Vescovo di Alghero: più realista del re
Le “indicazioni pastorali” di cui parliamo qui sono del 2 febbraio 2014, ma il Vescovo è ancora lo stesso, al pari dei fedeli della diocesi, così che il ritardo con cui ce ne occupiamo è di poca importanza, anche se i fedeli algheresi e bosani, a quanto ne sappiamo, avrebbero gradito un intervento tempestivo.
Ma chi siamo noi per ardire di commentare un documento ufficiale di un successore degli Apostoli? Noi siamo nessuno, tra i tanti nessuno che vivono in Sardegna e che hanno la ventura di dover seguire, se possibile, le direttive emanate dai Vescovi locali. E tuttavia siamo anche cattolici, non per ventura, ma per grazia di Dio e per volontà dei nostri genitori; e come cattolici abbiamo il diritto di manifestare ai nostri Pastori ciò che pensiamo a riguardo del bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli (CDC, canone 212, § 3). Tanto basta perché, muniti come siamo del bene dell’intelletto e della grazia santificante del Battesimo, noi si possa esprimere legittimamente quelle perplessità e quei dissensi che un documento vescovile suscita in noi.
Di che si tratta? Di quanto contenuto nelle «Indicazioni pastorali sulla Comunione Eucaristica e la Santa Messa nella “forma straordinaria”», emanate il 4 febbraio 2014 da Mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alchero-Bosa.
Ma chi siamo noi per ardire di commentare un documento ufficiale di un successore degli Apostoli? Noi siamo nessuno, tra i tanti nessuno che vivono in Sardegna e che hanno la ventura di dover seguire, se possibile, le direttive emanate dai Vescovi locali. E tuttavia siamo anche cattolici, non per ventura, ma per grazia di Dio e per volontà dei nostri genitori; e come cattolici abbiamo il diritto di manifestare ai nostri Pastori ciò che pensiamo a riguardo del bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli (CDC, canone 212, § 3). Tanto basta perché, muniti come siamo del bene dell’intelletto e della grazia santificante del Battesimo, noi si possa esprimere legittimamente quelle perplessità e quei dissensi che un documento vescovile suscita in noi.
Di che si tratta? Di quanto contenuto nelle «Indicazioni pastorali sulla Comunione Eucaristica e la Santa Messa nella “forma straordinaria”», emanate il 4 febbraio 2014 da Mons. Mauro Maria Morfino, Vescovo di Alchero-Bosa.
Dopo aver premesso che : «Spinto da quanto il ministero episcopale mi chiede e dalle pressanti richieste di molti fedeli laici, disorientati per talune arbitrarie prassi liturgiche, desidero richiamare a tutti e singoli i presbiteri, i diaconi e a tutti i membri del popolo santo di Dio della Chiesa di Alghero-Bosa, alcune norme liturgiche da rispettare nella celebrazione dei divini misteri.», Mons. Morfino passa a trattare della Comunione sulla mano, citando subito il decreto del 19 luglio 1989, firmato dall’allora Presidente della CEI, Cardinale Ugo Poletti, ed entrato in vigore il 3 dicembre 1989.
Non v’è dubbio che il moderno linguaggio degli attuali Pastori risente della confusione che impera sovrana in un tempo come il nostro dove la posta si chiama “mail”, la riservatezza “privacy” e il lavoro “job”, ma quando si tratta di cose di Chiesa ci aspetteremmo che i Pastori sappiano coniugare i termini usati con i concetti espressi.
In questo documento, il Vescovo parla di “divini misteri” per giungere ad affermare che la Comunione sacramentale si deve prendere con le mani, ma si può prendere anche sulla lingua. Ovviamente il suo riferimento è un decreto dei Vescovi, ma noi, incontentabili, ci chiediamo che cosa abbia a che fare l’uso delle mani, nell’assumere la santa Comunione, con i “divini misteri”. A noi sembra che il concetto di “divini misteri” suggerisca qualcosa di talmente distante dalle “mani” dell’uomo da indurre a pensare che l’uso di esse tradisca una sorta di violazione sia del divino sia del mistero. Tranne che l’espressione “divini misteri” voglia solo suggerire qualcosa di meramente elegante e tuttavia interamente umano. Come dire che i “misteri divini” possano essere trattati tranquillamente come un qualsivoglia oggetto materiale e umano.
Non v’è dubbio allora che, quantomeno, qui si fa della confusione, tale da disorientare il fedele che al cospetto dei “divini misteri” è portato istintivamente a disporsi in maniera totalmente reverenziale da sentire il bisogno di genuflettersi, se non di prostrarsi. E tuttavia la CEI, che a parole sbandiera il “popolo di Dio”, non esita a raccomandare l’uso delle mani, sia pur pulite, per maneggiare il Santissimo Sacramento. Una sorta di corto circuito che manifesta la volontà dei Vescovi di rendere quanto più possibile “umano” proprio quel divino mistero di cui si riempiono la bocca.
E Mons. Morfino arriva a stabilire, con tutta l’autorità che lo contraddistingue, che: «E’ dunque da evitarsi la richiesta fatta ai fedeli da parte di qualsiasi ministro che distribuisce la santa eucarestia, di mettersi in ginocchio per poterla ricevere.», passo che nel documento è perfino sottolineato.
A conferma che per i vescovi moderni, chiunque pensi di doversi inginocchiare al cospetto del “Corpo di Cristo”, non è altro che una sorta di blasfemo.
Cosa aspettarsi di più da questi nuovi preti della nuova Chiesa conciliare, per distruggere la Fede, per demolire la Chiesa di Cristo e per spianare a molte anime la strada per l’Inferno?
A sostegno delle sue moderne pretese, Mons. Morfino elenca diversi passi dei Padri della Chiesa, come è d’uso a partire dal Vaticano II, come se dopo duemila anni i cattolici avessero scoperto adesso la patristica e potessero saltare a pie’ pari dal XXI al I secolo; trascurando e negligendo e disprezzando l’insegnamento di 260 Papi e di migliaia di pronunciamenti magisteriali.
Le “indicazioni pastorali” in oggetto, trattano poi della “forma straordinaria” (usus antiquior) della celebrazione dell’Eucarestia, esordendo con questa precisazione: «Come più volte sottolineato da papa Benedetto XVI, in particolare nella Lettera di presentazione dello stessoMotu proprio Summorum Pontificum, il documento non si pone in antitesi né con il Concilio Vaticano II né tanto meno con la riforma liturgica da esso promossa», il neretto è del testo originale.
Cosa intende dire Mons. Morfino?
Lo chiarisce dicendo: «Le prerogative richieste dal Motu proprio, dunque, sono molto esigenti e vincolanti che ne delimitano chiaramente la sua messa in opera. Innanzitutto i soggetti che richiedono la forma extraordinaria, debbono far parte di un gruppo “stabile” e “aderente” alla tradizione liturgica antica; è necessaria una loro formazione, che riguardi non solo la conoscenza della lingua latina, comunque indispensabile…» in neretto nell’originale.
La domanda è: cos’ha chiarito? La risposta è inevitabile: un bel niente!
Con queste premesse, Mons. Morfino conclude con una raccomandazione tipica dei nostri tristi tempi ecclesiali, offerta come insegnamento pastorale: « … l’Eucarestia è, per eccellenza, il sacramento della comunione trinitaria ed ecclesiale. L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti conciliari. … La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica, l’intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa.»
Il che significa, semplicemente, che per questo Vescovo di Santa Romana Chiesa non ha alcuna importanza la transustanziazione, non significa niente il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce, non esiste neanche l’offerta a Dio per la remissione dei peccati, non c’è neanche da pensare alla stessa ragione d’essere della Chiesa e quindi del suo stesso essere un Vescovo.
Uno sfacelo su tutta la linea, che riduce il sacramento dell’Eucarestia ad un mero momento comunitario, stoltamente concepito dai nuovi preti della nuova Chiesa conciliare in funzione tutta naturale e umana, con il totale abbandono della finalità salvifica, quella stessa finalità voluta da Nostro Signore e incredibilmente ripetuta nel corso del rito dallo stesso celebrante… che evidentemente non ci crede più… Vescovo in testa.
Fino al punto di mettere per iscritto questa sorta di inno blasfemo: «Vivere l’Eucarestia come mistero di comunione significa essere in comunione con Dio durante l’intera giornata, nel proprio lavoro e in tutto ciò che forma la trama della vita di ciascuno; significa essere in comunione con tutta la Chiesa – diocesana e, attraverso essa, universale –, con le sue difficoltà, con le sue necessità, con le sue gioie e speranze, le sue fatiche e i suoi dolori. Significa infine vivere in comunione con tutti gli uomini, in particolare con tutti quelli che soffrono, con i piccoli, con i poveri.»
Non staremo a ricordare qui le parole di San Paolo, ormai fin troppo obsolete per questi preti moderni, li limiteremo a richiamare il Catechismo di San Pio X che così insegna:
E a scanso di equivoci riportiamo anche quanto si legge nel nuovo Catechismo della Chiesa cattolica:
Anche a costo di apparire irrispettosi, ci sembra inevitabile esortare Mons. Morfino a dare una ripassata al Catechismo appreso nella sua fanciullezza, quello stesso che lo avrebbe portato alla vocazione; eviterà così di esprimersi, da Vescovo, in maniera difforme dall’insegnamento della Chiesa.
Non v’è dubbio che il moderno linguaggio degli attuali Pastori risente della confusione che impera sovrana in un tempo come il nostro dove la posta si chiama “mail”, la riservatezza “privacy” e il lavoro “job”, ma quando si tratta di cose di Chiesa ci aspetteremmo che i Pastori sappiano coniugare i termini usati con i concetti espressi.
In questo documento, il Vescovo parla di “divini misteri” per giungere ad affermare che la Comunione sacramentale si deve prendere con le mani, ma si può prendere anche sulla lingua. Ovviamente il suo riferimento è un decreto dei Vescovi, ma noi, incontentabili, ci chiediamo che cosa abbia a che fare l’uso delle mani, nell’assumere la santa Comunione, con i “divini misteri”. A noi sembra che il concetto di “divini misteri” suggerisca qualcosa di talmente distante dalle “mani” dell’uomo da indurre a pensare che l’uso di esse tradisca una sorta di violazione sia del divino sia del mistero. Tranne che l’espressione “divini misteri” voglia solo suggerire qualcosa di meramente elegante e tuttavia interamente umano. Come dire che i “misteri divini” possano essere trattati tranquillamente come un qualsivoglia oggetto materiale e umano.
Non v’è dubbio allora che, quantomeno, qui si fa della confusione, tale da disorientare il fedele che al cospetto dei “divini misteri” è portato istintivamente a disporsi in maniera totalmente reverenziale da sentire il bisogno di genuflettersi, se non di prostrarsi. E tuttavia la CEI, che a parole sbandiera il “popolo di Dio”, non esita a raccomandare l’uso delle mani, sia pur pulite, per maneggiare il Santissimo Sacramento. Una sorta di corto circuito che manifesta la volontà dei Vescovi di rendere quanto più possibile “umano” proprio quel divino mistero di cui si riempiono la bocca.
E Mons. Morfino arriva a stabilire, con tutta l’autorità che lo contraddistingue, che: «E’ dunque da evitarsi la richiesta fatta ai fedeli da parte di qualsiasi ministro che distribuisce la santa eucarestia, di mettersi in ginocchio per poterla ricevere.», passo che nel documento è perfino sottolineato.
A conferma che per i vescovi moderni, chiunque pensi di doversi inginocchiare al cospetto del “Corpo di Cristo”, non è altro che una sorta di blasfemo.
Cosa aspettarsi di più da questi nuovi preti della nuova Chiesa conciliare, per distruggere la Fede, per demolire la Chiesa di Cristo e per spianare a molte anime la strada per l’Inferno?
A sostegno delle sue moderne pretese, Mons. Morfino elenca diversi passi dei Padri della Chiesa, come è d’uso a partire dal Vaticano II, come se dopo duemila anni i cattolici avessero scoperto adesso la patristica e potessero saltare a pie’ pari dal XXI al I secolo; trascurando e negligendo e disprezzando l’insegnamento di 260 Papi e di migliaia di pronunciamenti magisteriali.
Le “indicazioni pastorali” in oggetto, trattano poi della “forma straordinaria” (usus antiquior) della celebrazione dell’Eucarestia, esordendo con questa precisazione: «Come più volte sottolineato da papa Benedetto XVI, in particolare nella Lettera di presentazione dello stessoMotu proprio Summorum Pontificum, il documento non si pone in antitesi né con il Concilio Vaticano II né tanto meno con la riforma liturgica da esso promossa», il neretto è del testo originale.
Cosa intende dire Mons. Morfino?
Lo chiarisce dicendo: «Le prerogative richieste dal Motu proprio, dunque, sono molto esigenti e vincolanti che ne delimitano chiaramente la sua messa in opera. Innanzitutto i soggetti che richiedono la forma extraordinaria, debbono far parte di un gruppo “stabile” e “aderente” alla tradizione liturgica antica; è necessaria una loro formazione, che riguardi non solo la conoscenza della lingua latina, comunque indispensabile…» in neretto nell’originale.
La domanda è: cos’ha chiarito? La risposta è inevitabile: un bel niente!
a) Il Motu proprio sarebbe esigente e vincolante, tale da delimitare la sua messa in opera. E questo è vero, perché ormai è scontato che con tale documento di Benedetto XVI ha solamente fatto finta di liberalizzare la Messa tradizionale, per realmente rinchiuderla in un ghetto e ridurla a liturgia di seconda categoria per degli esteti nostalgici e un po’ fissati. E questo nonostante, in perfetto stile vaticanosecondista, esso affermi che tale liturgia non è mai stata abrogata e quindi sarebbe sempre in pieno vigore nella Chiesa, salvo… non poterla liberamente e legittimamente celebrare, come dimostrano queste “indicazioni pastorali”.
b) I soggetti (non a caso chiamati così e non correttamente “fedeli), devono far parte di un gruppo che aderisce alla tradizione liturgica antica. Come dire che devono risultare iscritti alla loggia antica ed accettata di un’inesistente obbedienza di tradizione liturgica antica. Cioè una colossale bufala inventata su due piedi da questo Vescovo che crede di poter dire quello che gli pare in forza della sua autorità.
c) È necessaria una loro formazione che non riguardi solo la conoscenza della lingua latina, comunque indispensabile. E qui il Vescovo supera se stesso e butta lì una castroneria di cui forse non si è neanche reso conto. Non solo i fedeli che richiedono la celebrazione della Messa tradizionale dovrebbero dimostrare di conoscere il latino – magari con un esame da sostenere presso lo stesso vescovo che dà prova di non capirne granché – ma dovrebbero dimostrare di possedere una particolare formazione, si deve supporre quantomeno liturgica. Non serve altro per capire che un vescovo che arriva solo a pensare una simile ridicolaggine, non può essere altro che in male fede, tanto da dimostrare il suo totale disprezzo per i suoi fedeli e per la millenaria liturgia della Chiesa.
b) I soggetti (non a caso chiamati così e non correttamente “fedeli), devono far parte di un gruppo che aderisce alla tradizione liturgica antica. Come dire che devono risultare iscritti alla loggia antica ed accettata di un’inesistente obbedienza di tradizione liturgica antica. Cioè una colossale bufala inventata su due piedi da questo Vescovo che crede di poter dire quello che gli pare in forza della sua autorità.
c) È necessaria una loro formazione che non riguardi solo la conoscenza della lingua latina, comunque indispensabile. E qui il Vescovo supera se stesso e butta lì una castroneria di cui forse non si è neanche reso conto. Non solo i fedeli che richiedono la celebrazione della Messa tradizionale dovrebbero dimostrare di conoscere il latino – magari con un esame da sostenere presso lo stesso vescovo che dà prova di non capirne granché – ma dovrebbero dimostrare di possedere una particolare formazione, si deve supporre quantomeno liturgica. Non serve altro per capire che un vescovo che arriva solo a pensare una simile ridicolaggine, non può essere altro che in male fede, tanto da dimostrare il suo totale disprezzo per i suoi fedeli e per la millenaria liturgia della Chiesa.
Con queste premesse, Mons. Morfino conclude con una raccomandazione tipica dei nostri tristi tempi ecclesiali, offerta come insegnamento pastorale: « … l’Eucarestia è, per eccellenza, il sacramento della comunione trinitaria ed ecclesiale. L’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti conciliari. … La comunione del corpo eucaristico di Cristo significa e produce, cioè edifica, l’intima comunione di tutti i fedeli nel corpo di Cristo che è la Chiesa.»
Il che significa, semplicemente, che per questo Vescovo di Santa Romana Chiesa non ha alcuna importanza la transustanziazione, non significa niente il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce, non esiste neanche l’offerta a Dio per la remissione dei peccati, non c’è neanche da pensare alla stessa ragione d’essere della Chiesa e quindi del suo stesso essere un Vescovo.
Uno sfacelo su tutta la linea, che riduce il sacramento dell’Eucarestia ad un mero momento comunitario, stoltamente concepito dai nuovi preti della nuova Chiesa conciliare in funzione tutta naturale e umana, con il totale abbandono della finalità salvifica, quella stessa finalità voluta da Nostro Signore e incredibilmente ripetuta nel corso del rito dallo stesso celebrante… che evidentemente non ci crede più… Vescovo in testa.
Fino al punto di mettere per iscritto questa sorta di inno blasfemo: «Vivere l’Eucarestia come mistero di comunione significa essere in comunione con Dio durante l’intera giornata, nel proprio lavoro e in tutto ciò che forma la trama della vita di ciascuno; significa essere in comunione con tutta la Chiesa – diocesana e, attraverso essa, universale –, con le sue difficoltà, con le sue necessità, con le sue gioie e speranze, le sue fatiche e i suoi dolori. Significa infine vivere in comunione con tutti gli uomini, in particolare con tutti quelli che soffrono, con i piccoli, con i poveri.»
Non staremo a ricordare qui le parole di San Paolo, ormai fin troppo obsolete per questi preti moderni, li limiteremo a richiamare il Catechismo di San Pio X che così insegna:
596. Che cosa è il sacramento dell' Eucaristia?
L'Eucaristia è un sacramento nel quale per l'ammirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Gesù Cristo e di quella del vino nel suo prezioso Sangue, si contiene veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità del medesimo Gesù Cristo Signor Nostro sotto le specie del pane e del vino per essere nostro nutrimento spirituale.
625. Quali effetti produce in noi la santissima Eucaristia?
Gli effetti principali che la santissima Eucaristia produce in chi la riceve degnamente sono questi: -conserva ed accresce la vita dell'anima che è la grazia, come il cibo materiale sostiene ed accresce la vita del corpo; - rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; - produce spirituale consolazione.
626. La santissima Eucaristia non produce in noi altri effetti?
Si, la santissima Eucaristia produce in noi altri tre effetti, cioè: - indebolisce le nostre passioni, ed in ispecie ammorza in noi le fiamme della concupiscenza; - accresce in noi il fervore della carità verso Dio e verso il prossimo e ci aiuta ad operare in uniformità ai desideri di Gesù Cristo; - ci dà un pegno della gloria futura e della stessa risurrezione del nostro corpo.
L'Eucaristia è un sacramento nel quale per l'ammirabile conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Gesù Cristo e di quella del vino nel suo prezioso Sangue, si contiene veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo, il Sangue, l'Anima e la Divinità del medesimo Gesù Cristo Signor Nostro sotto le specie del pane e del vino per essere nostro nutrimento spirituale.
625. Quali effetti produce in noi la santissima Eucaristia?
Gli effetti principali che la santissima Eucaristia produce in chi la riceve degnamente sono questi: -conserva ed accresce la vita dell'anima che è la grazia, come il cibo materiale sostiene ed accresce la vita del corpo; - rimette i peccati veniali e preserva dai mortali; - produce spirituale consolazione.
626. La santissima Eucaristia non produce in noi altri effetti?
Si, la santissima Eucaristia produce in noi altri tre effetti, cioè: - indebolisce le nostre passioni, ed in ispecie ammorza in noi le fiamme della concupiscenza; - accresce in noi il fervore della carità verso Dio e verso il prossimo e ci aiuta ad operare in uniformità ai desideri di Gesù Cristo; - ci dà un pegno della gloria futura e della stessa risurrezione del nostro corpo.
E a scanso di equivoci riportiamo anche quanto si legge nel nuovo Catechismo della Chiesa cattolica:
1324. L’Eucaristia è fonte e culmine di tutta la vita cristiana. Tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua.
1326. … mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà « tutto in tutti ».
1326. … mediante la celebrazione eucaristica, ci uniamo già alla liturgia del cielo e anticipiamo la vita eterna, quando Dio sarà « tutto in tutti ».
Anche a costo di apparire irrispettosi, ci sembra inevitabile esortare Mons. Morfino a dare una ripassata al Catechismo appreso nella sua fanciullezza, quello stesso che lo avrebbe portato alla vocazione; eviterà così di esprimersi, da Vescovo, in maniera difforme dall’insegnamento della Chiesa.
Ragazzi ma non se ne può più, ma finirà mai il numero degli scombinati vescovi o cardinali o preti etc etc....... jane
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