Il 7 marzo Francesco nella chiesa romana di Ognissanti per ricordare l’inaugurazione delle nuove norme liturgiche del Vaticano II. E Paolo VI celebrò in italiano
L'Osservatore romano
Sabato 7 marzo alle ore 18, Papa Francesco celebrerà la messa nella parrocchia romana di Ognissanti sulla via Appia Nuova. Il Pontefice ricorderà in questo modo, nella stessa chiesa e a cinquant’anni esatti di distanza, la messa che Papa Paolo VI celebrò per la prima volta in italiano secondo le rinnovate norme liturgiche stabilite dal concilio Vaticano II. Di seguito pubblichiamo uno stralcio dell’omelia che il Pontefice tenne il 7 marzo 1965.
L'Osservatore romano
A 50 anni dalla celebrazione della prima messa in lingua italiana dopo il Concilio Vaticano II
Sabato 7 marzo alle ore 18, Papa Francesco celebrerà la messa nella parrocchia romana di Ognissanti sulla via Appia Nuova. Il Pontefice ricorderà in questo modo, nella stessa chiesa e a cinquant’anni esatti di distanza, la messa che Papa Paolo VI celebrò per la prima volta in italiano secondo le rinnovate norme liturgiche stabilite dal concilio Vaticano II. Di seguito pubblichiamo uno stralcio dell’omelia che il Pontefice tenne il 7 marzo 1965.
Che cosa stiamo facendo? Questo è il momento delle riflessioni e si inserisce nel sacro Rito per suscitare i pensieri che lo devono accompagnare. Noi stiamo attuando una realtà, la quale, già di per sé, si presenta solenne ed ha due aspetti: l’uno straordinario; l’altro consueto e ordinario. Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la Santa Messa.
Si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia in tutte le parrocchie e chiese del mondo, per tutte le Messe seguite dal popolo. È un grande avvenimento che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nuovo nel corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo.
Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi.
V’è poi un’altra circostanza che rende singolare l’odierna solennità: la presenza del Papa, che, di per sé, autorizza a porre in risalto tutto quanto può divenire utile alla nostra vita cristiana.
Del resto, anche a voler considerare il secondo aspetto, cioè quello che è consueto in queste adunanze, tutto — lo sappiamo — presenta un carattere prezioso e degno della nostra riflessione.
E dapprima: che cosa è il Rito che stiamo celebrando? È un incontro di chi offre il Divin Sacrificio con il popolo che vi assiste. Tale incontro deve essere, perciò, pieno e cordiale. Non è pertanto fuori luogo che il celebrante — in questo caso il Papa — rivolga molte volte agli astanti il saluto caratteristico: Il Signore sia con voi!
Ecco: il Papa ripete il grande augurio non solo rivolgendosi con affettuoso gesto ai presenti, ma esprimendo il proposito di raggiungere l’intera popolazione cristiana di questa città, della santa Diocesi di Pietro e Paolo, la Diocesi di Roma. Perciò, con tutto il cuore, con tutta la forza che Iddio pone nella sua voce, nel suo ministero, il Santo Padre esclama verso il popolo romano: Che Dio sia con te!
L'Osservatore romano, 31 gennaio 2015
Si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia in tutte le parrocchie e chiese del mondo, per tutte le Messe seguite dal popolo. È un grande avvenimento che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nuovo nel corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo.
Norma fondamentale è, d’ora in avanti, quella di pregare comprendendo le singole frasi e parole, di completarle con i nostri sentimenti personali, e di uniformare questi all’anima della comunità, che fa coro con noi.
V’è poi un’altra circostanza che rende singolare l’odierna solennità: la presenza del Papa, che, di per sé, autorizza a porre in risalto tutto quanto può divenire utile alla nostra vita cristiana.
Del resto, anche a voler considerare il secondo aspetto, cioè quello che è consueto in queste adunanze, tutto — lo sappiamo — presenta un carattere prezioso e degno della nostra riflessione.
E dapprima: che cosa è il Rito che stiamo celebrando? È un incontro di chi offre il Divin Sacrificio con il popolo che vi assiste. Tale incontro deve essere, perciò, pieno e cordiale. Non è pertanto fuori luogo che il celebrante — in questo caso il Papa — rivolga molte volte agli astanti il saluto caratteristico: Il Signore sia con voi!
Ecco: il Papa ripete il grande augurio non solo rivolgendosi con affettuoso gesto ai presenti, ma esprimendo il proposito di raggiungere l’intera popolazione cristiana di questa città, della santa Diocesi di Pietro e Paolo, la Diocesi di Roma. Perciò, con tutto il cuore, con tutta la forza che Iddio pone nella sua voce, nel suo ministero, il Santo Padre esclama verso il popolo romano: Che Dio sia con te!
L'Osservatore romano, 31 gennaio 2015
ALTARE - «TAVOLA DA PRANZO»
KLAUS GAMBER: DALL'ALTARE MAGGIORE ALLA «TAVOLA DA PRANZO», COSÌ SI È PERSO IL SACRIFICIO DELLA MESSA
di Klaus Gamber
Perché,
come si sostiene, il carattere sacrificale della Messa sarebbe meno chiaramente
espresso quando il prete è girato verso il popolo?
La
domanda può essere ribaltata: dal momento che gli specialisti sanno molto bene
che esaltare "l’altare rivolto al popolo" non significa richiamarsi
ad una pratica della Chiesa delle origini, perché non ne traggono le
inevitabili conseguenze? Perché non sopprimono i "tavoli da pranzo"
eretti con una sorprendente coralità nel mondo intero?
Molto probabilmente perché questa nuova posizione dell’altare corrisponde, meglio dell’antica, alla nuova concezione della Messa e dell’Eucaristia.
È molto
chiaro che oggigiorno si vorrebbe evitare di dare l’impressione che la
"tavola santa" (come viene chiamato l’altare in Oriente) sia un
altare per il sacrificio. Senza dubbio è la stessa ragione per la quale, quasi
dappertutto, si pone sull’altare un mazzo di fiori (uno solo), come sulla
tavola da pranzo di una famiglia in un giorno di festa, insieme a due o tre
ceri: questi quasi sempre a sinistra, il vaso dal lato opposto.
L’assenza di
simmetria è voluta: non bisogna creare dei punti di riferimento centrali, come
quando si mettevano i candelieri alla destra ed alla sinistra della croce che
stava in mezzo; qui si tratta solo di una tavola da pranzo.
Non
ci si mette dietro l’altare del sacrificio, ci si mette davanti; già il
sacrificatore pagano faceva cosí, il suo sguardo era diretto verso la
raffigurazione della divinità a cui si offriva il sacrificio; anche nel Tempio
di Gerusalemme si faceva cosí: il sacerdote incaricato di offrire la vittima
stava davanti alla "tavola del Signore", come si chiamava il grande
altare dell’olocausto nel cuore del Tempio (cfr. Malachia 1, 12), e questa
"tavola del Signore" era collocata di fronte al tempio interno ov’era
custodita l’Arca dell’Alleanza, il Santo dei Santi, il luogo in cui dimorava l’Altissimo
(cfr. Salmi 16, 15).
Un
pranzo si consuma con il padre di famiglia che presiede, in seno alla cerchia
famigliare; mentre invece, in tutte le religioni, esiste una apposita liturgia
per il compimento del sacrificio, liturgia che prevede che il sacrificio si
compia all’interno o davanti ad un santuario (che può essere anche un albero
sacro): il liturgo è separato dalla folla, sta davanti ai presenti, di fronte
all’altare, rivolto alla divinità. In tutti i tempi, gli uomini che hanno
offerto un sacrificio si sono sempre rivolti verso colui al quale il sacrificio
era diretto e non verso i partecipanti alla cerimonia.
Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origene si fa interprete della concezione della Chiesa delle origini: "Colui che si pone dinanzi all’altare dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete consiste nell’intercedere per i peccati del popolo". Ai giorni nostri, in cui il senso del peccato sparisce sempre piú, la concezione espressa da Origéne sembra essersi largamente perduta.
Lutero, lo si sa, ha negato il carattere sacrificale della Messa: egli non vi vedeva altro che la proclamazione della parola di Dio, seguita da una celebrazione della Cena; da qui la sua preoccupazione di vedere il liturgo rivolto verso l’assemblea.
Nel suo commento al libro dei Numeri (10, 27), Origene si fa interprete della concezione della Chiesa delle origini: "Colui che si pone dinanzi all’altare dimostra con ciò di svolgere le funzioni sacerdotali. Ora, la funzione del prete consiste nell’intercedere per i peccati del popolo". Ai giorni nostri, in cui il senso del peccato sparisce sempre piú, la concezione espressa da Origéne sembra essersi largamente perduta.
Lutero, lo si sa, ha negato il carattere sacrificale della Messa: egli non vi vedeva altro che la proclamazione della parola di Dio, seguita da una celebrazione della Cena; da qui la sua preoccupazione di vedere il liturgo rivolto verso l’assemblea.
Certi
teologi cattolici moderni non negano direttamente il carattere sacrificale
della Messa, ma preferirebbero che questo passasse in secondo piano al fine di
poter meglio sottolineare il carattere di pasto della celebrazione; questo, il
piú delle volte, a causa di considerazioni ecumeniche a favore dei protestanti,
dimenticando però che per le Chiese orientali ortodosse il carattere
sacrificale della divina liturgia è un fatto indiscutibile.
Solo
l’eliminazione della tavola da pranzo e il ritorno alla celebrazione
all’"altar maggiore" potranno condurre ad un cambiamento nella
concezione della Messa e dell’Eucaristia, e cioè alla messa intesa come atto
d’adorazione e di venerazione di Dio, come atto d’azione di grazia per i suoi
benefici, per la nostra salvezza e la nostra vocazione al regno celeste, e come
rappresentazione mistica del sacrificio della croce del Signore.
Questo,
tuttavia, non esclude, come abbiamo visto, che la liturgia della Parola sia
celebrata non all’altare, ma dal seggio o dall’ambone, com’era un tempo durante
la Messa episcopale. Ma le preghiere devono essere tutte recitate in direzione
dell’Oriente, e cioè in direzione dell’immagine di Cristo nell’àbside e della
croce sull’altare.
Visto che durante il nostro pellegrinaggio terreno non ci è possibile contemplare tutta la grandezza del mistero celebrato, e ancor meno lo stesso Cristo, né l’"assemblea celeste", non basta parlare ininterrottamente di ciò che il sacrificio della messa ha di sublime, bisogna invece fare di tutto per mettere in evidenza, agli occhi degli uomini, la grandezza di questo sacrificio, per mezzo della stessa celebrazione e della sistemazione artistica della casa del Signore, in particolar modo dell’altare.
Visto che durante il nostro pellegrinaggio terreno non ci è possibile contemplare tutta la grandezza del mistero celebrato, e ancor meno lo stesso Cristo, né l’"assemblea celeste", non basta parlare ininterrottamente di ciò che il sacrificio della messa ha di sublime, bisogna invece fare di tutto per mettere in evidenza, agli occhi degli uomini, la grandezza di questo sacrificio, per mezzo della stessa celebrazione e della sistemazione artistica della casa del Signore, in particolar modo dell’altare.
Allo
svolgimento della liturgia e alle immagini, si può applicare ciò che dice dei
"veli sacri" lo Pseudo Dionigi l’Areopagita, nella sua opera Sui
nomi divini (1, 4):
questi veli "che [ancora adesso] nascondono lo spirituale nell’universo
sensibile, e il sovraterreno nel terreno, che conferiscono forma e immagine a
ciò che non ha né forma né immagine… Ma il giorno verrà che, essendo divenuti
incorruttibili e immortali e avendo raggiunto la pace beata accanto a Cristo,
saremo, come dice la Scrittura, presso il Signore (cfr. I Tessalonicesi 4, 17)
tutti pieni di contemplazione per la sua apparizione visibile".
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