Il bosco sacro e la legna
Bergoglio ha chiaramente scelto quest'ultima. Ha scelto l'immersione nel mondo. E nel mondo divenuto immagine della società dello spettacolo, questo calarsi nel saeculum è costantemente esposto al rischio della mediatizzazione; del "populismo spirituale" per lo schermo che sovverte l'umiltà e la semplicità nel loro contrario. Rischia di diventare personaggio, e non più figura, simbolo, ponte. La mediazione sparisce, e il Papa diventa un curato di campagna.
Il sacro richiama la trascendenza. Esso è nel mondo pur non appartenendovi essenzialmente: si dà nella sua lontanza. Come luce eterna, non è soggetto al tempo, anzi è proprio ciò che resiste al saeculum, cioè alla storia. Il papa, pontifex, è colui che pone un collegamento, un ponte: un mediatore tra due mondi, tra l’eterno e il temporale, tra l’umano e il divino. L’essenza del cristianesimo, d’altronde, è tutta nella mediazione. La religione della morte di Dio, del dolore infinito, che deve rinascere. La Persona del Verbo che, nell’incarnazione, si fece non esattamente Dio, non propriamente uomo. Il pontificato di Bergoglio, nel bene e nel male, rimarrà come un segno indelebile nella storia della Chiesa. Decisivo nella ridefinizione degli schemi e dei limiti della funzione papale stessa. L’interpretazione della sua figura, la sua ambiguità, i suoi punti di forza e di debolezza, del resto, si giocano proprio in quella soglia, in quel limite tra secolarizzazione e tradizione. Abbiamo avuto prima Giovanni Paolo II, il guerriero politico in lotta con il comunismo sovietico; poi Benedetto XVI, il teologo che reagisce fermamente al nichilismo come esito inevitabile della modernizzazione. E Bergoglio?
Come indicava Marcello Veneziani in un vecchio articolo dal titolo eloquente “La sfida di Francesco: Salvare la Chiesa togliendole sacralità”, il discrimine fra tradizione cattolica e e spirito del cristianesimo originario è tra la lontananza del sacro, la sua intrinseca distanza e altitudine, e la prossimità della santità, la sua vicinanza terrena nella sua dimensione di testimonianza fino al martirio. Bergoglio ha chiaramente scelto quest’ultima. Ha scelto l’immersione nel mondo. E nel mondo divenuto immagine della società dello spettacolo, questo calarsi nel saeculum è costantemente esposto al rischio della mediatizzazione; del “populismo spirituale” per lo schermo che sovverte l’umiltà e la semplicità nel loro contrario. Rischia, cioè, di tramutarsi in personaggio, e non più figura, simbolo, ponte. La mediazione sparisce, e il Papa diventa un curato di campagna. È il semplice prete – meglio: il prete semplice, spontaneo, avvezzo ai battibecchi del villaggio – che parla, quando sentiamo di pugni e della naiveté di alcuni gesti, quando ci dice che lui non è nessuno per giudicare. Papa Francesco, desacralizzando la Chiesa per avvicinarla al mondo, rischia di venir meno a quella mediazione di cui parlavo inizialmente. In questo tentativo, pur lodevole, di riavvicinamento della gente alla chiesa, si nasconde spesso quella tendenza ad annichilire l’oggettività, l’esteriorità necessaria da cui il cattolicesimo è strutturato: intendo la ritualità, le figure ieratiche, i simboli. Il cattolicesimo è vivificato essenzialmente da questa dialettica tra sensibile e soprasensibile: splendore della gloria di Dio sulla terra che si manifesta anche nel suo elemento visibile. Insomma: non è possibile certamente credere che sia l’oro del crocifisso il carattere fastidiosamente opulento e ossimorico della Chiesa.
A volte, in questo concentrarsi sull’aspetto soggettivo della religione, nell’erosione della gerarchia, si ha quasi l’impressione della Riforma. Se l’elemento fondamentale diventa l’interiorità, avviene quella che Hegel – riferendosi all’effetto del Protestantesimo nell’evo moderno – definiva la trasformazione del Bosco Sacro in legna: vale a dire, la desacralizzazione del mondo stesso. La scissione radicale tra uomo e mondo. Il Protestantesimo che rinchiude il fulcro della religione nella soggettività, nell’anelito, distruggendo l’autorità del magistero ecclesiastico e gli aspetti più esteriori, restituisce un mondo ridotto a oggetto strumentale per l’intelletto. La Fede, in caso, è proiettata in qualcosa di assolutamente al di là. Et pereat mundus. Viene alla mente la situazione della chiesa protestante in Olanda, dove, negli anni, si è assistito ad una desertificazione delle parrocchie; dove un pastore, Klaas Hendrikes, definitosi “credente ateo”, è arrivato persino a scrivere un manifesto in cui si invitava a mettere da parte l’esistenza di Dio come presupposto; o ancora: al pastore danese Thorkild Grosbøll, messosi sotto i riflettori dei media dopo aver affermato che Dio fosse qualcosa di fuori moda appartenente al passato. D’accordo, questa è solo una provocazione, un’iperbole che forse poco ha a che fare con Bergoglio. D’altronde Papa Francesco è meno eterodosso di quanto non appaia. La sua ambiguità, a volte, gli deriva come effetto collaterale dalla sua furbizia di gesuita. L’esito del Sinodo è stato chiaro su quei punti che maggiormente avevano destato l’attenzione: famiglia e omosessualità. E sono di pochi giorni fa i due messaggi riguardanti la gratuità dei sacramenti – fin nel loro annullamento -, e nell’attenzione a non trasformare il discorso sulla famiglia in ideologia. Indubbia è, quindi, la ferma intenzione di coinvolgere la funzione della Chiesa nella vita quotidiana della sua comunità, nel volgere lo sguardo in avanti, senza trasformarla in un partito politico.
Eppure, rimane difficile non osservare come la desacralizzazione della Chiesa si sporga sempre sull’orlo della sua secolarizzazione, in una piena iscrizione nella Storia, rischiando di veder venire meno il suo carattere sovratemporale, argine alla furia dissolutrice del divenire (vi è una profonda differenza tra ammodernamento delle sue strutture al proprio tempo – politiche in special modo – e secolarizzazione). Essa si toglierebbe da quel punto limite prima richiamato, tra terra e cielo, per gettarsi su uno dei due lati. Certo, Bergoglio piace. Piace un po’ a tutti: e forse è proprio questo il problema. L’avvicinamento della massa non significa automaticamente una crescita o un rafforzamento della comunità dei fedeli. La Chiesa non è soggetta al consenso elettorale del gioco democratico: non è un partito. Che l’anticlericale abbia benevolenza verso Bergoglio (ma, attenzione, non verso Papa Francesco) rimane sostanzialmente irrilevante. Tra le sfide del pontificato di Francesco vi è allora esattamente questa: traghettare la chiesa nella postmodernità, senza scambiare simpatizzanti per devoti.
I ponti tra il divino è l' umano a me pare che attraverso gli anni siano stati , passin passino, scientemente quasi distrutti; e più che un segno indelebile rimarrà uno sfregio fatto a tutta la cristianità. jane
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