ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 29 gennaio 2015

Turbatori e turbati

Responsabilità gesuitiche nell'alta cultura

Fin dalla loro prima fondazione i Gesuiti fecero massimo assegnamento sul prestigioso influsso dell’alta cultura.
Approvati da pochi anni, proprio dei Gesuiti emersero al Concilio di Trento come influenti teologi. Tuttavia, appena qualche decennio dopo, furono causa d’un grave turbamento ecclesiale per aver sposato tesi metafisiche (sulla universalità della Causa Prima) e teologiche (sull’influsso soprannaturale della grazia sull’atto libero della creatura). Quest’indirizzo culturale gesuitico (chiaramente antitomista), chiamato molinismo, è perdurato (nonostante le diffidenze della Santa Sede) fino al Novecento.

Ma turbamenti non meno gravi i Gesuiti causarono nel Seicento per le loro teorie sia politiche sia morali, turbamenti che trovarono espressione nel 1656 in proteste divenute famosissime come il libro spagnoloTheatrum Jesuiticum e quello francese Lettres d’un Provincial.
Omettendo qui ogni riferimento alla condotta economica e politica di vari gesuiti (in Francia e Inghilterra, in America e in Spagna), va invece sottolineato il turbamento da loro provocato per la loro teoria missionaria (e la loro disciplina apostolica) in Asia, che dette il via a una colluvie di scritti antigesuitici diffusi dappertutto con larga semina di sospetto e risentimento.
Massime, a mio parere, sono le responsabilità gesuitiche in filosofia per aver ceduto, nel solco del molinismo e del sodale suarezismo, ambedue antitomisti, al cartesianismo (nonostante le diffide della loro Curia Generalizia) e al razionalismo: infatti proprio i Gesuiti avevano il monopolio educativo delle classi europee attraverso le centinaia dei loro collegi. Purtroppo il gesuita Suarez restò il campione della scuola gesuitica anche dopo che i Papi ribadirono il primato di S. Tommaso.
E’ vero che nella seconda metà del’900 quest’influsso pedagogico è molto diminuito a causa della crisi interna della Compagnia di Gesù, la quale nel 1950 contava circa 30.000 membri ora ridotti quasi alla metà. I residui collegi loro rimasti non sono più una garanzia, essendo ora inflazionati di professori laici laureati nelle avvelenate università laiciste. Anche i loro mille periodici sono ora ridotti a poca cosa (perfino Civiltà Cattolicasta ora diminuendo il suo livello teorico), tuttavia il loro influsso nel Novecento è stato molto deleterio a causa, soprattutto, del trascendentalismo filokantiano (antitomista) inaugurato dal gesuita Maréchal (che influenzò, tra gli altri, De Lubac, cedevole sul tema del soprannaturale) e seguito dal celeberrimo gesuita heideggeriano K. Rahner. Costui va considerato il principale sovvertitore in tutti i continenti della teologia cattolica (ed è ancora difeso dai confratelli Gesuiti, nonostante ormai sia di dominio pubblico, anche nella grande stampa, la sua duratura relazione “amorosa” con una giornalista tedesca che era contemporaneamente amante d’un ardente benedettino).
Altro deleterio influsso gesuitico va attribuito a Michel de Certau (+1968), iniziatore d’un cedimento alla psicanalisi, che ha avuto ulteriori cedimenti gesuitici in Roma, con riflessi tragici sulla dottrina spirituale.
Credo di non esagerare nell’esprimere l’opinione che gravissima appare la responsabilità gesuitica nel più recente accreditamento dottrinale della Massoneria, operazione post-bellica che, in Italia è culminata con le clamorose ambiguità del cardinale gesuita C.M. Martini, prima rettore del Biblico e della Gregoriana e infine arcivescovo di Milano (concorrente di Ratzinger nel conclave del 2005).
Va premesso che il gesuita Martini, rettore, senza speciali meriti scientifici, del Pontificio Istituto Biblico (già notoriamente cedevole alla “nuova esegesi” d’impronta razionalista), si rese responsabile d’ un lungo ed ingiustificato blocco della scoperta, vagliata con tutte le garanzie delle discipline pertinenti, del valore neotestamentario d’un papiro (l’ormai famoso 7Q5) risalente agli anni precedenti il 60 (scoperta che da sola buttava al macero intere biblioteche razionalistiche).
Lo stesso Martini governò la Gregoriana dando via libera ad indirizzi culturali “carismatici” che suscitarono più volte inchieste dell’autorità superiore. La sua ambiguità fu manifesta ai confratelli durante la Congregazione Generale gesuitica che seguì la crisi di Arrupe.
Io rilevai l’ambiguità dottrinale di Martini, Arcivescovo di Milano, a causa dell’impostazione teologica da lui data al Congresso Eucaristico, ma questa ambiguità risaltò davanti a tutti per la sua giustificazione del dubbio (che fu alla base della sua istituzione della “cattedra dei non credenti”). Poi ci furono le affermazioni sorprendenti sulla “secondarietà” dell’appartenenza alla Chiesa (definita riduttivamente “appartenenza giuridica e sociologica”), sul primato papale (da lui definito come “dominazione”), sul celibato (a cui egli negò ogni connessione con la rivelazione), sulla necessità d’una fede personale non vaga ma soprannaturale.
Infine, alla sua morte, (agosto 2012) ecco l’elogio conturbante del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi. Dei martiniani rapporti benevoli con la massoneria c’erano echi fin dal 1993, ma a quel tempo non si diceva che egli, Martini, fosse “un iniziato”massone, come il 14\9\2012, vantò pubblicamente il Gran Maestro del Grande Oriente Democratico, il quale aggiunse : “Martini era solito dire che la Chiesa era in ritardo di almeno 200 anni rispetto alla società contemporanea e la pensava diversamente dai Papi su temi come il sacerdozio femminile, la sessualità etero ed omo, il diritto alla ricerca scientifica e alle sue applicazioni mediche più avanzate, i diritti civili e le coppie gay ecc. … su tutte queste materie Martini aveva una visione progressista … aveva curiosità per la sapienzialità massonica…”.
Questa singolare concordanza di vedute denuncia l’ambiguità di alcuni influenti gesuiti, come a suo tempo aveva denunciato Gioberti nella sua opera (in cinque volumi) intitolata Il gesuita moderno.
Don Ennio Innocenti

CITAZIONE
Ripeto, perché forse non sono stato chiaro: dice una cosa e ne fa un’altra. Con quello che dice, soddisfa i conservatori; con quello che fa i progressisti. Il messaggio complessivo è: la dottrina rimane quella, non si tocca, ma la pratica è altra cosa. Non è progressista, non è modernista come dicono Scalfari o Socci: è una specie di terza opzione, con un’idea molto bizzarra di come dottrina e pastorale stanno insieme. Ma è un modello semplicemente devastante.

F.

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