Se il “dignitoso” Kant fa la morale anche ai gesuiti
Il concetto di autodeterminazione è oggi la bandiera di forme acute e distruttive di soggettivismo. Per questo stupisce che La Civiltà Cattolica proponga di intendere la dignità umana come autodeterminazione e suggerisca una convergenza stretta tra la filosofia di Kant e la dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano II.
di Stefano Fontana
Il concetto di autodeterminazione è oggi la bandiera di forme acute e distruttive di soggettivismo nel campo della biopolitica: dall’aborto all’eutanasia al gender. Per questo stupisce che La Civiltà Cattolicaproponga di intendere la dignità umana come autodeterminazione e suggerisca una convergenza profonda tra la filosofia di Kant su questo punto e la dichiarazione Dignitatis humanae del Vaticano II.
Un articolo del gesuita Georg Sans, pubblicato sull’ultimo numero de La Civiltà Cattolica del 7 marzo 2015 vorrebbe fare l’apologia della Dichiarazione del Vaticano II sulla libertà di religione Dignitatis humanae, mostrando la sua congruità con il pensiero di Immanuel Kant. La tesi di Sans è che la Dignitatis humanae fonda la libertà di religione sulla dignità dell’uomo, come del resto – egli fa notare – dice il suo titolo. Aspetto fondamentale, anche se non unico, di tale dignità sarebbe l’autodeterminazione della persona. Che la Dignitatis humanae fondi la dignità sull’autodeterminazione risulterebbe secondo lui dal seguente passo:
«Nell’età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive».
Questo passo appartiene a quel genere di frasi dei testi conciliari che, proprio per il loro carattere descrittivo e narrativo, risultano problematiche.
Nei primi anni Sessanta molte persone perdevano la consapevolezza della loro dignità, pensiamo per esempio alla Russia o alla Cina. Nell’Occidente erano in atto processi di soggettivismo esasperato non certo mosso dal senso del dovere. Questo passo fa una descrizione di processi e non può essere quindi normativo. Non si può sostenere, basandosi su di esso, che la Dignitatis humanae fa consistere la dignità della persona nell’autodeterminazione. Senza tenere conto del fatto che il concetto stesso di autodeterminazione è molto problematico e certamente la sua versione moderna non è perfettamente collimante con quella cristiana. Siccome la dignità umana si fonda sull’autodeterminazione, ecco il passaggio a Kant che, secondo Sans, ha detto proprio questo. Egli si riferisce soprattutto al passo della Metafisica dei costumi in cui Kant dice che una persona non deve mai essere usata come mezzo, ma sempre come fine. Ne deriva per lui la perfetta congruità tra il messaggio del Vaticano II e la concezione kantiana dell’uomo e della morale. Del resto, l’autore, prima di parlare di Kant, si era anche riferito a Cicerone, Pico della Mirandola, Giannozzo Manetti, non però al Medioevo quando «si è dato rilievo alla miseria dell’uomo», e quindi non alla sua dignità né alla sua autodeterminazione». Tutti questi autori, Kant compreso e Medioevo escluso, esprimono per Sans quanto anche la Bibbia dice parlando dell’uomo creato a immagine di Dio: «All’uomo non vengono posti limiti, ma egli stesso deve sviluppare la propria natura».
Questo modo di procedere non aiuta né a conoscere Kant né a conoscere la Dignitatis humanae. Il collegamento con Kant mette in luce alcune ambiguità di linguaggio della Dichiarazione, che ha bisogno di essere inserita in contesti più adeguati, così invece viene condotta verso approdi impropri. Ciò accade spesso con i testi conciliari, quando vengono forzati ad inquadrarsi in un pensiero, come quello moderno, che non sempre fa per loro. La morale kantiana non è accettabile dal punto di vista cattolico, in quanto il volere è separato dal conoscere. La “natura” dell’uomo viene perduta e l’autodeterminazione inizia la sua deriva soggettivistica. La dignità dell’uomo, in Kant, è priva di fondamento ontologico: se lo si sovrappone alla Dignitatis humanae finisce che anche questa si congeda dall’ontologia, cadendo così in pasto ad una autodeterminazione “senza limiti”, quindi assoluta, che è la cifra della modernità ma non certo della rivelazione cristiana. L’uomo non è «fine a se stesso», come dice Kant e come riprende Sans, ma è finalizzato a Dio. Ha un bel dire Kant che l’uomo ha una dignità superiore agli animali, ma gli epigoni della sua filosofia oggi mettono spesso in discussione anche questo. Se l’uomo è fine a se stesso ben presto verrà inteso per molto meno. Solo se l’uomo ha per fine Dio, riesce a mantenere anche la propria dignità.
Per questo è ambiguo anche sostenere che la Dignitatis humanae ha fondato la libertà di religione sulla dignità della persona umana, ambiguo se non si chiarisce che il fondamento di questa dignità è trascendente: l’uomo è fatto a immagine di Dio e in vista di Lui. Ma Kant non poteva ammettere questa affermazione, perché non riteneva possibile che la ragione umana potesse parlare né di causalità né di finalità oltre la dimensione dei fenomeni. Per lui Dio è solo un postulato che bisogna ammettere data l’assolutezza della vita morale, che è originaria e quindi si fonda su se stessa. Per Kant, è Dio a derivare dall’assolutezza della legge morale e non l’assolutezza della legge morale a derivare da Dio. I tentativi, diventati ormai prassi, di piegare i testi conciliari ai pensatori della modernità, non rendono giustizia al lavoro dei Padri conciliari.
© La Nuova Bussola Quotidiana (02/04/2015)
Pubblicato da kattolika
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