E monsignor Balda lanciò l'allarme: "La Chaouqui sa troppi segreti"
La Repubblica
(Marco Ansaldo) «Con il passare dei mesi, cominciai a notare nella signora Chaouqui atteggiamenti e valutazioni non sempre congrui. Trattandosi di persona in possesso di notizie di rilevante importanza per la Sede Apostolica e con frequentazioni di rilievo in ogni ambito, ho tentato di moderare ed orientare positivamente attenzioni e attività».
Così scriveva, appena nel luglio scorso, monsignor Lucio Angel Vallejo Balda al numero due del Vaticano, il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. È una lunga, dettagliata lettera, piena di osservazioni e informazioni che il segretario della Cosea, la Commissione sulle finanze della Santa Sede, aveva inviato al braccio destro del Papa. Nelle due pagine il monsignore spagnolo informa il capo del governo vaticano della «situazione spiacevole». Repubblica presenta qui il documento in esclusiva.
La lettera è datata “Vaticano, 17 luglio 2015”. L’intestazione è quella della “Prefettura degli Affari Economici”. Lo scrivente è “Il Segretario”. «Eminenza Reverendissima – comincia Vallejo Balda – nelle scorse settimane avrei voluto metterla al corrente di situazioni delicate da conoscere». E spiega: «Nel tempo sono emersi elementi che – diventati ora eclatanti e di dominio pubblico all’interno della cerchia delle persone frequentate dalla signora – mi hanno suggerito un atteggiamento di decisa presa di distanza. Di tali elementi potrei darne chiara evidenza ove Vostra Eminenza lo ritenesse necessario». E qui Vallejo Balda cita una frase piuttosto rilevante, che allarga lo spettro del caso: «Purtuttavia ritengo utile seguire linee di approfondimento di tale situazione che riguardano non la singola persona, ma anche altri ambienti e collegamenti da chiarificare». A quali ambienti si riferisce il monsignore spagnolo?
Vallejo prosegue: «Mi rincresce davvero rappresentare tale situazione relativa ad una persona che all’inizio della collaborazione non aveva manifestato alcun segno che lasciasse presagire una deriva di questo tipo. Forse la vicinanza ad ambienti e problematiche importanti, insieme alla giovane età e alla probabile concorrenza di elementi di natura personale, ha potuto determinare un’evoluzione così tristemente problematica di una persona che, all’inizio della collaborazione in Santa Sede, aveva mostrato doti non comuni a livello di intuizione, capacità di elaborazione e connessione dei dati, nonché di relazione interpersonale. In ogni caso ho ritenuto mio dovere comunicare quanto sopra al fine di assumere i provvedimenti che la prudenza consiglia in casi simili».
Non è finita. Perché Vallejo Balda accenna in breve a un’altra questione. Che però, subito dopo, avrà uno sviluppo accelerato. «Una seconda questione è relativa alla vicenda Ospedale Casa Divina Provvidenza. È giunta a questa Prefettura ampia documentazione di tipo ufficiale riguardante l’operazione di polizia giudiziaria denominata in gergo “Fuori Sacco”, relativa all’ospedale summenzionato. Per il suo contenuto è stata protocollata e acquisita nell’archivio riservato. Per la sua rilevanza mi è sembrato utile far presente la cosa e mettere a disposizione di Vostra Eminenza, ove lo si ritenesse opportuno, tale documentazione».
Passano nemmeno cinquanta giorni da questa lettera. È estate piena, si sa che i due libri-inchiesta dei giornalisti Fittipaldi e Nuzzi con le carte segrete vaticane stanno per uscire. Vallejo parte nel fine settimana del 24-28 settembre per prendere la madre dalla Spagna. Al rientro viene avvertito che c’è stato un furto nella Prefettura. Viene chiamato in merito. Il 1 ottobre gli viene chiesto di consegnare il computer e il cellulare personale. Il 2 novembre è arrestato.
“Fuori Sacco” è un’indagine della procura di Trani su finanziamenti illeciti e riciclaggio riguardanti la Casa Divina Provvidenza di Bisceglie per la quale a giugno erano stati fatti 10 arresti. Tra questi quello di Antonio Azzollini, già senatore di Forza Italia e del Popolo della Libertà e successivamente del Nuovo Centrodestra. I documenti relativi erano stati dunque protocollati e messi nell’archivio riservato della Prefettura. Non si sa se il furto abbia riguardato o no anche queste carte.
Ieri Francesca Chaouqui, mentre domani riprenderà il processo con l’interrogatorio suo e di monsignor Vallejo Balda, ha postato un commento su Facebook. «Balda consegnò l’archivio della nostra commissione ai giornalisti come si fa con un figlio al patibolo, avendo lui visto in Gianluigi (Nuzzi, ndr) l’ultima spiaggia per smuovere le coscienze. Tutto sbagliato. Ma i due libri ad una cosa porteranno: sarà il mondo a chiedere a Francesco di cambiare aria con più forza ancora». Mentre noi, aggiunge, «tra un mese saremo solo un ricordo, con il nostro processo e i messaggini da taverna falsificati».
fonte
Così scriveva, appena nel luglio scorso, monsignor Lucio Angel Vallejo Balda al numero due del Vaticano, il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. È una lunga, dettagliata lettera, piena di osservazioni e informazioni che il segretario della Cosea, la Commissione sulle finanze della Santa Sede, aveva inviato al braccio destro del Papa. Nelle due pagine il monsignore spagnolo informa il capo del governo vaticano della «situazione spiacevole». Repubblica presenta qui il documento in esclusiva.
La lettera è datata “Vaticano, 17 luglio 2015”. L’intestazione è quella della “Prefettura degli Affari Economici”. Lo scrivente è “Il Segretario”. «Eminenza Reverendissima – comincia Vallejo Balda – nelle scorse settimane avrei voluto metterla al corrente di situazioni delicate da conoscere». E spiega: «Nel tempo sono emersi elementi che – diventati ora eclatanti e di dominio pubblico all’interno della cerchia delle persone frequentate dalla signora – mi hanno suggerito un atteggiamento di decisa presa di distanza. Di tali elementi potrei darne chiara evidenza ove Vostra Eminenza lo ritenesse necessario». E qui Vallejo Balda cita una frase piuttosto rilevante, che allarga lo spettro del caso: «Purtuttavia ritengo utile seguire linee di approfondimento di tale situazione che riguardano non la singola persona, ma anche altri ambienti e collegamenti da chiarificare». A quali ambienti si riferisce il monsignore spagnolo?
Vallejo prosegue: «Mi rincresce davvero rappresentare tale situazione relativa ad una persona che all’inizio della collaborazione non aveva manifestato alcun segno che lasciasse presagire una deriva di questo tipo. Forse la vicinanza ad ambienti e problematiche importanti, insieme alla giovane età e alla probabile concorrenza di elementi di natura personale, ha potuto determinare un’evoluzione così tristemente problematica di una persona che, all’inizio della collaborazione in Santa Sede, aveva mostrato doti non comuni a livello di intuizione, capacità di elaborazione e connessione dei dati, nonché di relazione interpersonale. In ogni caso ho ritenuto mio dovere comunicare quanto sopra al fine di assumere i provvedimenti che la prudenza consiglia in casi simili».
Non è finita. Perché Vallejo Balda accenna in breve a un’altra questione. Che però, subito dopo, avrà uno sviluppo accelerato. «Una seconda questione è relativa alla vicenda Ospedale Casa Divina Provvidenza. È giunta a questa Prefettura ampia documentazione di tipo ufficiale riguardante l’operazione di polizia giudiziaria denominata in gergo “Fuori Sacco”, relativa all’ospedale summenzionato. Per il suo contenuto è stata protocollata e acquisita nell’archivio riservato. Per la sua rilevanza mi è sembrato utile far presente la cosa e mettere a disposizione di Vostra Eminenza, ove lo si ritenesse opportuno, tale documentazione».
Passano nemmeno cinquanta giorni da questa lettera. È estate piena, si sa che i due libri-inchiesta dei giornalisti Fittipaldi e Nuzzi con le carte segrete vaticane stanno per uscire. Vallejo parte nel fine settimana del 24-28 settembre per prendere la madre dalla Spagna. Al rientro viene avvertito che c’è stato un furto nella Prefettura. Viene chiamato in merito. Il 1 ottobre gli viene chiesto di consegnare il computer e il cellulare personale. Il 2 novembre è arrestato.
“Fuori Sacco” è un’indagine della procura di Trani su finanziamenti illeciti e riciclaggio riguardanti la Casa Divina Provvidenza di Bisceglie per la quale a giugno erano stati fatti 10 arresti. Tra questi quello di Antonio Azzollini, già senatore di Forza Italia e del Popolo della Libertà e successivamente del Nuovo Centrodestra. I documenti relativi erano stati dunque protocollati e messi nell’archivio riservato della Prefettura. Non si sa se il furto abbia riguardato o no anche queste carte.
Ieri Francesca Chaouqui, mentre domani riprenderà il processo con l’interrogatorio suo e di monsignor Vallejo Balda, ha postato un commento su Facebook. «Balda consegnò l’archivio della nostra commissione ai giornalisti come si fa con un figlio al patibolo, avendo lui visto in Gianluigi (Nuzzi, ndr) l’ultima spiaggia per smuovere le coscienze. Tutto sbagliato. Ma i due libri ad una cosa porteranno: sarà il mondo a chiedere a Francesco di cambiare aria con più forza ancora». Mentre noi, aggiunge, «tra un mese saremo solo un ricordo, con il nostro processo e i messaggini da taverna falsificati».
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Nuzzi e Fittipaldi raccolgono cacca ma il garantismo vale anche per loro
Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi (foto LaPresse)
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Occorre difendere la sorte giudiziaria dei due giornalisti. Però malvolentieri
Non conosco o non credo di conoscere Nuzzi e Fittipaldi, i due giornalisti sotto processo in Vaticano per un reato che, malgrado l’endorsement del Papa in persona, mi pare non esista, quanto meno rivolto contro di loro in funzione professionale di captatori di carte riservate messe a disposizione da cordatari di serie B non si sa come finiti nelle segrete stanze. E’ ovvio che ha ragione Antonio Socci quando scrive che il reverente e molto ossequioso encomio tributato al Pontefice “progressista” ha indotto il Giornalista Collettivo a trascurare la loro sorte giudiziaria anomala, laddove se a processarli fosse stato il paterno, severo e giusto pontificato di un Ratzinger le cose sarebbero andate altrimenti, e l’opinione sarebbe stata messa a fuoco dagli stessi che ora fanno i pompieri.
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Credo si debba offrire in pegno una protesta garantista, che va oltre la circostanza di fatto, e cioè la assoluta improbabilità di un esito davvero castigatorio di quel processo ai due liberi giornalisti. Però malvolentieri. E cerco adesso di spiegare il perché dello scetticismo. C’è infatti un modo in tutte le cose. Il modo dei vari leaks vaticani è sempre lo stesso. Un piccolo staterello ciarliero e pettegolo, attraversato da tempestose rivalità e da lobby più o meno curiali, produce monnezza: la si raccoglie e la si pubblica in libri-scoop. Legittimo, ma non proprio affascinante. D’altra parte viviamo in un mondo in cui la Croce è diventata la testata di una pubblicazione di vita breve, è vero, promossa da un fenomenale giocatore di poker in nome di Dio, Patria e Famiglia con l’appoggio della famiglia Chaouqui, nientemeno. Un mondo in cui una delle più antiche istituzioni di potere e di azione temporale e spirituale, la curia, è stata definita “lebbra del papato” dal Papa in persona, nel corso di una intervista.
Ma del mondo sottosopra fa parte anche la debolezza dell’assunto merdarolo. La sceneggiatura del “Padrino parte III”, il più stupido della bella serie tratta dal libro di Puzo, alligna d’ogni parte. Il Vaticano è interessante per tante ragioni, è utile sforzarsi di capire il gioco di potere spirituale e clericale o ecclesiastico dietro le quinte, sebbene sia molto più importante capire le cose che si vedono, che si scrivono, che si pensano nell’ultima cattedra di umanità, di spiritualità e di storia a disposizione del mondo moderno, dopo che tutte le altre sono state debitamente decostruite cioè distrutte. Ma da sempre, dai tempi del buon Marcinkus e anche prima, il giochetto della vaticanistica un tanto al chilo è fatto apposta per ridurre a poltiglia scandalistica storie relativamente minori, e qualche volta palesemente irrilevanti, che riguardano le zone grigie dell’obolo di San Pietro, quando non gli appalti di Mafia Vaticana, per usare la formula in voga.
E’ un giochino a somma zero, che diseduca la professione dell’informare, la riduce a passacartismo, la mette a disposizione di quelle stesse cordate e funicolari che si dice di voler denunciare e svellere con una certa compunzione. Insomma: bene che Nuzzi e Fittipaldi si guadagnino la mesata facendo anche in Vaticano quel che si fa nella Repubblica, raccogliendo buste piene di cacca, il cui contenuto di conoscenza è sviante e balordo, ma il giornalismo, anche inteso senza la gualdrappa della qualità, che c’entra? Ecco, garanzie per tutti, anche per due valorosi reporter, ma senza illusioni e mistificazioni ed eccessi di zelo. Surtout, pas de zèle.
di Giuliano Ferrara | 28 Novembre 2015 Foglio
FEDERICO TULLI - Caso Fittipaldi e Nuzzi: c'era una volta la rivoluzione di Bergoglio
Un processo penale che arriva a sentenza in due settimane. Può sembrare un miracolo, poiché c'è di mezzo la Chiesa cattolica, ma non lo è. Stiamo parlando del giudizio nei confronti dei due giornalisti Emiliano Fittipaldi e Gianluigi Nuzzi - autori rispettivamente di Avarizia (Feltrinelli) e Via Crucis (Chiarelettere) -, che a quanto pare si concluderà entro l'8 dicembre. Giusto in tempo per il taglio del nastro del Giubileo straordinario della Misericordia indetto da papa Francesco.
Qualcuno ha fatto notare la curiosa coincidenza. E in effetti non si può escludere che, una volta condannati dalla corte vaticana (i rumors vanno in questa assurda direzione), il capo supremo della Santa Sede decida di pronunciare l'ultima parola sul caso concedendo la grazia. Anzi la Misericordia.
Del resto non sarebbe una novità. Già Paolo Gabriele detto “il corvo”, il maggiordomo di Benedetto XVI che nel 2012 ha dato il via a Vatileaks 1, dopo la veloce condanna è stato graziato e in tempi brevi. Bene, anzi, male. Fittipaldi e Nuzzi, giornalisti italiani, rischiano addirittura fino a 8 anni di carcere e sono alla sbarra del tribunale pontificio per aver svolto, in Italia, un lavoro che, in Italia, è tutelato dall'articolo 21 della Costituzione. Vale a dire la pubblicazione, in Italia, in un libro, di notizie documentate da fonti certe.
Oltre allo sconcertante silenzio da parte del governo e del parlamento italiano, non si può non evidenziare che in maniera molto diversa si è svolto l'iter processuale di mons. Wesolowsky. Ridotto nel 2014 allo stato laicale per pedofilia da parte della Congregazione per la dottrina della fede, l'ex nunzio vaticano in Rep. Dominicana venne rinviato a giudizio nel marzo del 2015 dalla magistratura penale al termine di oltre quattro mesi di un'istruttoria che si è svolta nel più totale segreto. L'annuncio del processo, il primo del genere in Vaticano per di più nei confronti di un alto prelato, fu accolto dai media nostrani come un segnale evidente della discontinuità di papa Bergoglio rispetto ai suoi predecessori e della sua concreta volontà di estirpare la pedofilia dal clero cattolico.
Peccato però che quel processo non si è mai svolto. Wesolowsky è morto alla fine di agosto 2015 senza essere mai comparso davanti ai suoi giudici. Il monsignore, ricercato dall'Interpol con l'accusa di aver stuprato bambini in Santo Domingo e il forte sospetto di aver già colpito in tutti e tre i continenti nei quali aveva svolto in precedenza la sua opera pastorale e diplomatica per la Santa Sede, è morto d'infarto oltre cinque mesi dopo il rinvio a giudizio mentre si trovava ai domiciliari, davanti alla tv.
Dunque, ricapitolando, da un lato abbiamo la criminalizzazione di un diritto. Con un processo che in 30 giorni dalla divulgazione delle notizie incriminate si concluderà a tempo record con una (molto probabile) condanna per due degli imputati che secondo le norme di qualsiasi Paese civile e democratico hanno svolto il loro mestiere facendo peraltro un servizio alla comunità. E dall'altro c'è la tutela di un criminale. Con un pedofilo ricercato in tutto il mondo civile che la Santa Sede, in oltre un anno, non ha fatto a tempo a portare nemmeno una volta in tribunale.
È lecito pensare che c'è qualcosa che non torna riguardo le priorità nell'agenda del cosiddetto “papa rivoluzionario”?
Federico Tulli
(26 novembre 2015)
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/11/26/federico-tulli-caso-fittipaldi-e-nuzzi-cera-una-volta-la-rivoluzione-di-bergoglio/
Qualcuno ha fatto notare la curiosa coincidenza. E in effetti non si può escludere che, una volta condannati dalla corte vaticana (i rumors vanno in questa assurda direzione), il capo supremo della Santa Sede decida di pronunciare l'ultima parola sul caso concedendo la grazia. Anzi la Misericordia.
Del resto non sarebbe una novità. Già Paolo Gabriele detto “il corvo”, il maggiordomo di Benedetto XVI che nel 2012 ha dato il via a Vatileaks 1, dopo la veloce condanna è stato graziato e in tempi brevi. Bene, anzi, male. Fittipaldi e Nuzzi, giornalisti italiani, rischiano addirittura fino a 8 anni di carcere e sono alla sbarra del tribunale pontificio per aver svolto, in Italia, un lavoro che, in Italia, è tutelato dall'articolo 21 della Costituzione. Vale a dire la pubblicazione, in Italia, in un libro, di notizie documentate da fonti certe.
Oltre allo sconcertante silenzio da parte del governo e del parlamento italiano, non si può non evidenziare che in maniera molto diversa si è svolto l'iter processuale di mons. Wesolowsky. Ridotto nel 2014 allo stato laicale per pedofilia da parte della Congregazione per la dottrina della fede, l'ex nunzio vaticano in Rep. Dominicana venne rinviato a giudizio nel marzo del 2015 dalla magistratura penale al termine di oltre quattro mesi di un'istruttoria che si è svolta nel più totale segreto. L'annuncio del processo, il primo del genere in Vaticano per di più nei confronti di un alto prelato, fu accolto dai media nostrani come un segnale evidente della discontinuità di papa Bergoglio rispetto ai suoi predecessori e della sua concreta volontà di estirpare la pedofilia dal clero cattolico.
Peccato però che quel processo non si è mai svolto. Wesolowsky è morto alla fine di agosto 2015 senza essere mai comparso davanti ai suoi giudici. Il monsignore, ricercato dall'Interpol con l'accusa di aver stuprato bambini in Santo Domingo e il forte sospetto di aver già colpito in tutti e tre i continenti nei quali aveva svolto in precedenza la sua opera pastorale e diplomatica per la Santa Sede, è morto d'infarto oltre cinque mesi dopo il rinvio a giudizio mentre si trovava ai domiciliari, davanti alla tv.
Dunque, ricapitolando, da un lato abbiamo la criminalizzazione di un diritto. Con un processo che in 30 giorni dalla divulgazione delle notizie incriminate si concluderà a tempo record con una (molto probabile) condanna per due degli imputati che secondo le norme di qualsiasi Paese civile e democratico hanno svolto il loro mestiere facendo peraltro un servizio alla comunità. E dall'altro c'è la tutela di un criminale. Con un pedofilo ricercato in tutto il mondo civile che la Santa Sede, in oltre un anno, non ha fatto a tempo a portare nemmeno una volta in tribunale.
È lecito pensare che c'è qualcosa che non torna riguardo le priorità nell'agenda del cosiddetto “papa rivoluzionario”?
Federico Tulli
(26 novembre 2015)
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/11/26/federico-tulli-caso-fittipaldi-e-nuzzi-cera-una-volta-la-rivoluzione-di-bergoglio/
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