ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 novembre 2015

La voce dei «padri mormoranti» ?


Ma i "padri mormoranti" rimpiangono Giovanni Paolo II 
 La Stampa 
(Marcello Sorgi) L' aristocrazia nascosta della Chiesa romana difende la posizione della Curia "Hanno arrestato persone scelte da Francesco, perché accusare noi di tradimento?" -- C'è un' altra scuola di pensiero che sta crescendo attorno al secondo Vatileaks, lo scandalo dei documenti trafugati al Cosea, la commissione d' inchiesta sulle finanze vaticane, che ha portato all' arresto di due persone vicine al Papa, il presidente, monsignor Vallejo Balda, e la Chaouqui, membro laico della stessa commissione. È la voce dei «padri mormoranti», l' aristocrazia della Chiesa altrimenti definita «partito romano», che non ci sta ad essere descritta solo come insieme di lusso e privilegi, e rivendica il ruolo avuto storicamente alla guida dell' istituzione.
Si tratta di un partito complesso, niente affatto composto solo da nemici del Papa e della sua missione di rinnovamento, come parte dell' entourage di Francesco vorrebbe far credere. Un partito che rivendica la fedeltà al Pontefice, professata sempre nei momenti difficili, fino al recente Sinodo sulla famiglia, in cui il punto più controverso, la libertà dei parroci di scegliere con «discernimento» se dare o no la comunione ai divorziati risposati, è passato per un solo voto. Mormorio che sale Il «mormorio» dei padri romani, cardinali e principi della Chiesa, «con spirito di sottomissione», obietta: stavolta gli arrestati sono due di fiducia del Santo Padre, selezionati per le loro qualità da Francesco per un incarico assai delicato come la revisione delle finanze vaticane. Se hanno commesso errori, e se il Papa s' è sbagliato a sceglierli, per quale ragione il suo atto d' accusa si rivolge contro la Curia romana? Una Curia attraversata, sì, nel passato anche recente, da veleni e congiure che nessuno vuol nascondere, ma nel complesso sempre fedele al Pontefice, quale che sia, e da subito ben disposta, fin da 37 anni fa, ad accettare il trauma del Papa straniero. Qui affiora il rimpianto di San Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, autore di una pagina importantissima della storia della Chiesa e per questo proclamato santo a furor di popolo immediatamente dopo la morte. Ecco, Wojtyla, pur essendo il primo pontefice straniero che rompeva la tradizione dei papi italiani, pur venendo da lontano, pur percorso dal desiderio di libertà che animava i cattolici costretti a coltivare la fede quasi in clandestinità, all'ombra della dittatura sovietica e della «cortina di ferro», non pensò mai di mettere sotto accusa la Curia, di bollarla con l' infamia del tradimento, di sottometterla col comando assoluto. Tutt'altro: lui, uomo proveniente dal lato conservatore della dottrina e dall' esperienza della clandestinità della fede sotto il regime comunista, scelse invece come segretario di Stato Casaroli, il cardinale dell' Ostpolitik e del confronto con Mosca. Lasciò al suo posto Marcinkus e non si sognò di toccare lo Ior. E volle fare così perchè guardava lontano e aveva a cuore l' unità della Chiesa, consapevole che la diversità delle idee non influisce sulla qualità degli uomini. Papa Wojtyla regnava dall' alto della sedia gestatoria, lasciando ai cardinali, ai vescovi e ai parroci il compito di governare il day by day dell'istituzione. Aveva chiari gli obiettivi irrinunciabili, che lo portarono ad aprire la breccia nel Muro di Berlino, e ad assistere alla caduta del comunismo. Cioè a vedere realizzarsi il contenuto delle sue quotidiane preghiere: da quando, ragazzo, recitava in teatro, alla sua lunga carriera da prete di strada ad alto prelato. Volare alto Non lo sfiorava l' idea che un Papa destinato a cambiare il solco della storia, e non solo il volto della Chiesa, come gli fu riconosciuto anche da Gorbaciov, potesse soffermarsi sugli interna corporis, dedicandosi a dettagli sproporzionati alla sua responsabilità. Anche per questo, forse, potè accettare che tra i fondi della Santa Sede per il sostegno a Solidarnosc e alla lotta per la liberazione della Polonia confluissero i soldi della Banda della Magliana, e come premio per questi aiuti un farabutto come De Pedis venisse seppellito a Sant' Apollinare. Papa Wojtyla non si sarebbe mai occupato di conti, preventivi, sotto lavelli e lavori domestici, come ha fatto Francesco e come rivelano i documenti e le intercettazioni del nuovo Vatileaks. Volava alto, sulle ali della Provvidenza e del destino della storia, sussurrano timorosamente i «padri mormoranti» che si sentono sotto accusa. Pur essendo appassionato di calcio (la sera, nell' appartamento, guardava le partite in tv), quando una volta ricevette in udienza Ronaldo, avvicinatosi per baciargli l' anello, fece finta di non riconoscerlo e gli chiese: «Lei di cosa si occupa?». Era il suo modo di marcare la distanza tra il Vicario di Cristo e la mondanità terrena, ben più apprezzabile in un pontefice ricordato anche per le sue doti di comunicatore. Il mormorio dei padri non si spinge a dirlo apertamente, ma è chiaro il paragone con Francesco, che in pubblico ha abbracciato Maradona, e scherzando lo ha paragonato a Pelè. Unità sepolta Ma se uno osserva che l' unità della Chiesa è stata sepolta per sempre dal complotto contro papa Benedetto e dalle sue disperate dimissioni, i «padri mormoranti», sdegnati, dicono che l'unità. è un dogma corrispondente alla volontà di Dio. Neppure i Borgia, neppure gli scismi, neppure l'esilio del Vaticano ad Avignone hanno potuto metterlo in discussione. La Chiesa «tende naturalmente» all' unità ed è compito di ogni Papa favorire incessantemente questo processo. Va da se che nessuno dei «padri mormoranti» vuol sostenere che Francesco, magari senza rendersene conto, o perchè viene «dalla fine del mondo» e non ha ancora compreso fino in fondo la specificità del sistema delle Gerarchie, o anche, semplicemente, perché è mal consigliato, stia contribuendo ad accentuare le eterne divisioni della Chiesa, che tuttavia non hanno mai influito realmente sul suo ruolo. Eppure, suggeriscono sommessamente, un di più di riflessione, di conoscenza, di accorgimento, potrebbe solo aiutarlo a compiere la sua opera e a misurare i risultati del suo impegno anche prima del previsto. Con la cautela che richiedono gli argomenti più delicati, il mormorio dei padri del «partito romano» giunge così al più delicato degli argomenti: i poveri, quei poveri che Francesco vorrebbe ogni giorno alla sua mensa, nelle case dei parroci, tra i fedeli e per i quali, invece, sottendono i suoi richiami quotidiani, la Chiesa non fa abbastanza, sprecando soldi e lasciandosi andare alla salvaguardia dei propri privilegi. Un'accusa così dura brucia sulle pelle dei monsignori: come può dire che non si fa abbastanza, replicano, se la Chiesa troppo spesso è l' unica struttura che si fa carico degli ultimi e della sofferenza degli strati marginali della società? Aiutare i poveri non vuol dire solo abbracciarli, come Francesco faceva nelle favelas da cui proviene. Si possono soccorrere anche con il lavoro quotidiano, organizzando i giovani, assistendoli nella preghiera, sfamandoli, vestendoli, istruendoli: come appunto la Chiesa romana e italiana non si stanca di fare. L' esempio corre a una figura indimenticabile di principe della Chiesa, schivo e ieratico quanto generoso, e ancor oggi, per questo, venerato, sebbene abbia lasciato da molti anni l' incarico di vicario del Papa. Monsignor Ruini, quand'era vescovo di Roma, soleva far radunare sotto la Basilica di San Giovanni un'assemblea di derelitti, che si accalcava in attesa di poterlo incontrare. Una squadretta di fidati parroci e suore provvedeva a selezionarne una delegazione, rendendoli presentabili a Sua Eminenza. Poi, suddivisi in due file, i disgraziati venivano allineati nel corridoio adiacente allo studio in cui il cardinale faceva le sue udienze. Ruini si affacciava di tanto in tanto per accompagnare gli ospiti di riguardo al suo ascensore personale. Quando appariva, i poveri, al suo cospetto, si avvicinavano per baciargli l' anello cardinalizio, taluni gettandosi a terra per l'emozione. E lui li confortava con il suo sguardo. La parabola significa che si può essere amico dei poveri, anche senza stringerli al petto, e avendo tra l'altro a disposizione un ascensore personale di servizio da offrire ai propri visitatori.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.