ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 novembre 2015

Retroglossa



Il sito Chiesa e postconcilio pubblica oggi la traduzione di un lungo ed articolato intervento di Mons. Athanasius Schneider, dal titolo Una porta sul retro, per l'accesso ad una prassi neo-mosaica, nella Relazione finale del Sinodo.


Scritto in difesa dell'indissolubilità del Matrimonio, l'articolo è certamente chiaro ed esaustivo, specialmente allorché esso afferma: 

Questa parte della Relazione Finale contiene infatti tracce di una nuova prassi di divorzio di stampo neo-mosaico, benché i redattori abilmente e in maniera scaltra abbiano evitato qualsiasi cambiamento diretto della Dottrina della Chiesa. Pertanto, tutte le parti in causa, tanto i promotori della cosiddetta agenda Kasper quanto i loro oppositori, possono apparentemente affermare con soddisfazione: “È tutto a posto. Il Sinodo non ha cambiato la Dottrina”. Ma questa percezione è del tutto ingenua, poiché ignora la porta sul retro e le incombenti bombe ad orologeria presenti nei testi sopra citati che diventano evidenti ad un esame accurato del testo secondo criteri interpretativi interni.

Ancora più esplicita è questa constatazione:

I Pastori della Chiesa e in particolar modo i testi pubblici del Magistero devono parlare in modo estremamente chiaro, poiché è questa la caratteristica essenziale del cómpito dell’insegnamento ufficiale. Cristo ha comandato a tutti i Suoi discepoli di parlare in modo estremamente chiaro: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5, 37). Questo è ancor più valido quando i Pastori della Chiesa predicano o quando il Magistero si pronuncia in un documento.Il testo dei paragrafi 84-86 della Relazione Finale costituisce disgraziatamente un serio allontanamento da questo comandamento divino. Nei passi menzionati il testo non rivendicava apertamente la legittimazione dell’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione: il testo evita persino di utilizzare l’espressione “Santa Comunione” o “Sacramenti”. Piuttosto, per mezzo di tattiche raggiranti, esso utilizza espressioni ambigue come “una più piena partecipazione alla vita della Chiesa” e “discernimento e integrazione”.

Poche righe oltre, mons. Schneider afferma:

Per mezzo di queste tattiche raggiranti la Relazione Finale, di fatto, pone delle bombe ad orologeria e apre una porta sul retro per l’ammissione dei divorziati risposati alla Santa Comunione, provocando così una profanazione dei due grandi sacramenti del Matrimonio e dell’Eucarestia e contribuendo almeno indirettamente alla diffusione della cultura del divorzio e della “piaga del divorzio” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 47). Quando si legge attentamente l’ambiguo testo della seconda parte – “Discernimento e integrazione” – della Relazione Finale, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’ambiguità elaborata in modo estremamente abile. 

Sua Eccellenza cita - rara avis specialmente tra i mitrati - nientemeno che un passo dell'Adversus haereses di Sant'Ireneo, che merita d'esser riportato:

“Chi mantiene immutabile nel suo cuore la regola della verità che ha ricevuto per mezzo del battesimo, riconoscerà senza dubbio i nomi, le espressioni e le parabole prese dalle Scritture, ma giammai riconoscerà l’uso blasfemo che questi uomini fanno di esse. Poiché, pur sapendo distinguere le gemme autentiche, non riconoscerà come re la volpe travestita da sovrano. Ma, dato che manca il tocco finale che può dare credibilità a questa farsa – in modo tale che chiunque la esamini a fondo possa immediatamente opporre un argomento che la rovesci –, abbiamo giudicato conveniente mettere in risalto, prima di tutto, in che cosa gli stessi autori di questa favola differiscono tra di loro, come se fossero stati ispirati da diversi spiriti d’errore. Questo stesso fatto costituisce una prova immediata che la verità della Chiesa è immutabile, e che le teorie di questi uomini non sono altro che un tessuto di falsità” (I, 9, 4-5).

E, non senza encomiabile chiarezza, prosegue: 

L’evitare deliberatamente di menzionare e riaffermare questo principio nel testo della Relazione Finale può essere comparato con il sistematico astenersi dall’utilizzare il termine “homoousios” da parte degli avversari del dogma del Concilio di Nicea nel quarto secolo – gli Ariani formali e i cosiddetti semi-Ariani –, che inventavano continuamente espressioni nuove al fine di non confessare apertamente la consustanzialità del Figlio di Dio con Dio Padre.
Tale astensione da un’aperta confessione cattolica da parte della maggioranza dei vescovi nel quarto secolo causò una febbrile attività ecclesiastica con continui incontri sinodali e la proliferazione di una nuova formula dottrinale, che avevano il denominatore comune di evitare la chiarezza terminologica, vale a dire il termine “homoousios”. Analogamente, ai nostri giorni i due ultimi Sinodi sulla Famiglia hanno evitato di nominare e proclamare chiaramente il principio dell’intera tradizione cattolica secondo il quale quanti vivono in un’unione matrimoniale non valida possono essere ammessi alla Santa Comunione solo sotto la condizione di promettere di vivere in completa continenza e di evitare il pubblico scandalo.

Qui, a mio parere, Sua Eccellenza cade in una contraddizione che Baronio non può non definire sesquipedale

Una contraddizione che si trova nell'aver citato, con pari autorità degli scritti dei Santi Padri e dei Dottori della Chiesa, gli atti di quel Concilio Vaticano II che pecca in toto per equivocità. Se infatti il Concilio ha detto qualcosa di giusto e vero riguardo all'indissolubilità del matrimonio, esso ha nondimeno taciuto o negato altre verità del medesimo deposito della Fede, ricadendo a sua volta nella condanna di Sant'Ireneo, e con lui in quella di tutti i Padri: le teorie di questi uomini non sono altro che un tessuto di falsità.

E se le verità contenute per accidens in un'eresia non la rendono per questo meno pericolosa e condannabile, non si capisce come si possa ancora una volta - e proprio avendo sotto gli occhi i danni che i circiterismi del Sinodo stanno causando - usare come auctoritas quel Vaticano II, che fu padre dell'equivoco e del non detto, e che non volle - per deliberata volontà di quanti vi parteciparono e soprattutto dei Pontefici che lo presiedettero - parlare chiaramente al mondo contemporaneo. 

Sua Eccellenza commette - certamente in buona fede, come si può ritenere dal contesto e dai molteplici sui scritti - lo stesso errore dei padri conciliari che ieri accettarono gli atti del Concilio e quello dei padri sinodali che oggi accettano la Relazione finale. 

Bonum ex integra causa; malum ex quocumque defectu. Se il Sinodo va denunciato per quellaback door che viene deliberatamente lasciata aperta dai novatori, non è possibile non denunciare a maggior ragione e con più forza il Concilio, che di back doors ne ha spalancate un'infinità, anzi: che ha introdotto ed eretto a sistema pastorale in chiave de-dogmatizzante proprio quest'uso, ad iniziare dal subsistit in.

Questa contraddizione appare nella sua desolante chiarezza soprattutto allorché, nello stesso intervento, l'ottimo Presule coglie con tanta chiarezza intellettuale la pericolosità dei termini volutamente equivoci della Relazione finale e cita addirittura il caso della disputa sul Filioque.  

E a proposito di Filioque e di omoousios è il caso di ricordare che, proprio per non affermare chiaramente dinanzi agli eterodossi d'Oriente la fede immutabile della Chiesa Cattolica su questo punto fondamentale della dottrina, in tempi non remoti fu proprio Benedetto XVI a permettere che, durante la Cappella Papale dei Santi Pietro e Paolo celebrata in Vaticano alla presenza di una delegazione di (sedicenti) Ortodossi, al posto del Simbolo Niceno Costantinopolitano venisse recitato il Simbolo degli Apostoli, che non nega (ovviamente), ma pure tace quel consubstantialem Patri che gli scismatici rifiutano. Allo stesso modo, in altri contesti ecumenici, assistei io stesso all'omissione della  dossologia finale nell'inno Veni creator, proprio perché in essa vi era la confessione della fede nel Filioque. Una prassi inaugurata dal Vaticano II per non negare direttamente la dottrina, ma per far sì che, tacendola, le si possa affiancare l'errore che ad essa si oppone.

Suona contraddittorio chieder chiarezza per le parole equivoche del Sinodo citando i Padri della Chiesa e le parole della Sacra Scrittura, e poi nello stesso intervento citare, a conforto delle proprie tesi sull'indissolubilità del matrimonio la Gaudium et spes di quell'assise che per prima ed usurpando maggiore autorità, impose alla Chiesa, con volute omissioni o con termini deliberatamente equivoci, gli errori di cui oggi vediamo le disastrose conseguenze. 

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Rimando, per lo stesso tema, al mio articolo precedente Nec nominetur in vobis.

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