Chiamatemi Francesco. Il romanzo della vita di Bergoglio – di Giorgio Grignaffini – un libro da cui si evince che la santificazione viene non dall’esplicazione dell’eroicità delle virtù teologali e cardinali, bensì dalla capacità di Francesco di «trasmettere emozioni» ai credenti come ai laici. Tutto il testo è basato sull’azione sociale di un uomo impegnato non tanto come sacerdote, curato di anime, pronto a correggere errori e peccati, quanto un protagonista della strada, interprete delle ingiustizie politiche…
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Chiamatemi Francesco. Il romanzo della vita di Bergoglio è il libro romanzesco di Giorgio Grignaffini, già vicedirettore della Fiction Mediaset e dal 2012 direttore editoriale della TaoDue Film, e che oggi ha curato come story editor lo sviluppo del film Chiamatemi Francesco, il Papa della gente, diretto da Daniele Luchetti, che sarà proiettato nelle sale cinematografiche il 3 dicembre prossimo, a pochi giorni dall’inizio del Giubileo. Il libro ha per copertina la stessa immagine che riporta la locandina del film: un abbraccio appassionato con una persona non identificabile. Nulla di pontificale in questa fotografia, nessun elemento che riconduca alla sacralità e a Cristo o alla Chiesa, tutto sentimentalmente ed emozionalmente umano.
Su libro e film del Pontefice, già “canonizzato” secondo i parametri umani, con questa operazione editoriale e cinematografica si fa conto di incassare parecchio; per certo si sa che il lungometraggio è stato venduto in 40 paesi del mondo sia nella vestizione cinematografica, sia in quella televisiva, realizzata, quest’ultima, in quattro ore da 50 minuti, e che si vedrà fra un anno e mezzo su Canale 5. Prodotto da TaoDue e distribuito da Medusa, il film ha contato su un budget di 15 milioni di dollari.
Non si sa se Papa Bergoglio abbia letto oppure no il romanzo della sua vita, ma si sa che il primo film sul Papa sarà presentato in anteprima in Vaticano martedì prossimo di fronte a settemila fedeli scelti dalla Santa Sede e da alcune parrocchie.
«Se il Papa ci sarà non possiamo saperlo», ha dichiarato il produttore Pietro Valsecchi, «ma siamo già contenti che il film è stato approvato da Don Guglielmo Karcher, il cerimoniere di Papa Francesco che dopo aver visto il film, è stato per un momento in silenzio e poi ha detto:“Avete fatto un buon film”».
Nella descrizione del libro, realizzata da Mondadori e presentata per pubblicità sui vari canali informativi, leggiamo: «Il racconto di Giorgio Grignaffini traduce la vicenda umana e spirituale di un papa già quasi santificato in vita in una storia emozionante e romanzesca. Quella di una persona per cui la religione è stata motivo di vita, di speranza, di forza. E che l’ha comunicata agli altri. Per questo Francesco è un papa che sa trasmettere emozioni anche al mondo laico». Da qui si evince che la santificazione viene non dall’esplicazione dell’eroicità delle virtù teologali e cardinali, bensì dalla capacità di Francesco di «trasmettere emozioni» ai credenti come ai laici. Tutto il testo è basato sull’azione sociale di un uomo impegnato non tanto come sacerdote, curato di anime, pronto a correggere errori e peccati, quanto un protagonista della strada, interprete delle ingiustizie politiche. Così fra le pagine più intense del romanzo e, quindi, del film, non emerge la preoccupazione principale che dovrebbe avere ogni buon pastore responsabile del proprio gregge, ovvero l’immane tragedia contemporanea della secolarizzazione e della scristianizzazione che da decenni scardina l’Occidente e la stessa Chiesa, bensì, come annunciato dal colosso editoriale Mondadori: «La scena di Ana Maria, figlia sedicenne e incinta di Esther Ballestrino – grande amica del papa, intellettuale marxista, tra le fondatrici delle Madri di plaza de Mayo, poi uccisa dal regime di Videla –, che, appena rilasciata dai militari, fa ritorno a casa, ferita e tremante».
La volontà di eliminare sacerdotalità, sacralità e divinità è palese. Francesco viene presentato come un uomo fra tutti gli altri: «Fidanzato con una ragazza lasciata per seguire la vocazione, perito chimico e insegnante di letteratura, buon amico del grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, uomo tra gli uomini, la sua vita personale e pastorale è sempre stata votata al prossimo, senza mai dimenticare gli amici più cari e la famiglia. Chiamatemi Francesco è la storia di un papa che ha sofferto, lottato, ma soprattutto e sempre, vinto qualsiasi battaglia grazie all’amore e alla dedizione». Questo è il modo di parlare di un Papa? È ormai evidente che i dissacranti tempi odierni, dove il valore autentico dell’esistenza non è più riposto nelle sofferenze di Cristo patite sul Calvario e immolate, ogni giorno, sugli altari delle chiese per la redenzione e la salvezza di ciascuno, hanno in questo Vescovo, come egli stesso si è definito fin da subito, il loro beniamino.
Il protagonista del libro e del film entra poco più che ventenne nell’ordine dei Gesuiti; attraversa gli anni della dittatura; è Padre Provinciale responsabile di un Istituto dove nasconde semineristi e giovani che fuggono dalla polizia di Videla. Dall’esperienza dei desaparecidos Bergoglio matura la decisione di occuparsi dei poveri come prete di strada fino alla nomina di Vescovo ausiliare di Buenos Aires, dove decide di occuparsi soprattutto delle periferie. Poi arriva, inaspettatamente, l’11 febbraio 2013 quando Benedetto XVI annuncia il suo ritiro. Si prepara allora il conclave che eleggerà Bergoglio Pontefice e il film si chiude sulle immagini di Piazza San Pietro e con quello storico saluto laico, che entusiasmò atei, laicisti e protestanti, raggelando molti cattolici: «buonasera!». Con quel saluto, privo di riferimenti cristocentrici, ma meramente antropocentrici, la sacralità petrina iniziò non solo a vacillare, ma ad essere messa da parte. Il Papa non utilizzò neppure il titolo che gli era stato appena assegnato. Ricordiamole quelle parole:
«Fratelli e sorelle, buonasera!
Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.
E adesso, incominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi pregate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo che chiede la benedizione per il suo vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.
Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!».
Da quella sera i fedeli hanno iniziato a porsi tante domande su quello strano modo del neo Pontefice di presentarsi al mondo… A distanza di quasi tre anni si possono comprendere molte più cose sul Vescovo di Roma, il grande istrione che ama i teologi, i giornalisti, i registi che parlano non di Cristo, del Vangelo, della Fede nella Trinità, ma dei problemi politico-sociali da un punto di vista progressista e che acclamano all’ “umanesimo” di Jorge Mario Bergoglio, esaltandolo non come guida delle anime, ma come uomo fra i tanti.
Scriptorium – Recensioni – rubrica quindicinale di Cristina Siccardi
Scriptorium
Recensioni – rubrica quindicinale di Cristina Siccardi
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