Ma oggi non ci serve Misericordia
Ci piace poco questo Giubileo, se Misericordia significa mera filantropia. Ci piace ancora meno se significa terzomondismo, accoglienza indiscriminata. Non ci piace affatto, se significa essere tolleranti con gli intolleranti e cercare di capire chi attenta alla nostra vita e civiltà
Non ce ne vorrà Papa Francesco, ma ci sentiamo molto poco misericordiosi verso il suo Giubileo della Misericordia; un Giubileo straordinario che, per la prima volta dall’inizio del Novecento, non celebra una ricorrenza divina (come l’anniversario della Resurrezione di Cristo: era stato così nel 1933 e nel 1983) o un santo (come è stato per l’Anno Paolino indetto da Papa Benedetto XVI), ma una virtù (la Misericordia).
Epperò noi non vogliamo essere misericordiosi, se ciò significa bontà di cuore, filantropia, umanitarismo laico, decapitato del suo spirito divino. Non vogliamo essere misericordiosi, se questa Misericordia perde il volto di colui che è per eccellenza misericordioso, il Cristo. Proprio come è capitato in occasione della pacchiana festa di luci denominata Fiat Lux, in cui sulla facciata di San Pietro sono comparsi i volti di animali, dal leone all’aquila, e mica quello di Gesù, in una versione animalista e ambientalista della misericordia… Non vogliamo essere misericordiosi se all’invito «Non abbiate paura!» lanciato da Papa Francesco non si associa la continuazione della frase pronunciata da Giovanni Paolo II, e cioè «Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo». Ché, per un cristiano, è Lui il vero rimedio alla paura…
Non vogliamo essere misericordiosi se misericordia vuol dire terzomondismo, accoglienza indiscriminata, tolleranza anche verso gli intolleranti o perdono incondizionato sia del peccatore che del peccato. Ci piace poco questa misericordia, che prova a comprendere le ragioni di chi compie atti terroristici e si mostra remissiva verso gli attentati contro la vita.
Non vogliamo essere misericordiosi se ciò significa non condannare la violenza e non reagire al male, se vuol dire essere passivi e rassegnati, indolenti e perciò colpevoli, indulgenti per vigliaccheria, semplici come le colombe e non prudenti anche come i serpenti.
Non vogliamo essere misericordiosi se la pietà umana verso la persona che sbaglia non si associa alla condanna del suo gesto, se per non offendere l’altro barattiamo la nostra identità e libertà, se la nostra risposta a chi ci attacca si limita alla preghiera e all’arrendevolezza, se dimentichiamo l’obbligo del Vero in nome della Comprensione. Ché non può esserci Misericordia e quindi Carità senzaVerità.
E tanto meno vogliamo essere misericordiosi come Allah il Misericordioso che pure, in alcuni passi del Corano, esorta a tutto tranne che alla misericordia. Non vogliamo essere clementi come lui, che è il Compassionevole, ma anche il Più Grande («Allah Akbar»), in nome del quale si compiono stragi.
Più che un Giubileo della “pietà”, vorremmo allora un Giubileo della pietas, intesa come riscoperta del nostro senso religioso. Più che un Giubileo della misericordia, ci piacerebbe un Giubileo della magnanimità, che ci faccia riscoprire la fierezza dell’essere cristiani. Altrimenti sarebbe cosa veramente miserevole questo Giubileo della Misericordia.
http://www.lintraprendente.it/2015/12/86055/
(Gian Guido Vecchi) «Guardi, io non so se e quanto ci sia stata paura. Ma se ogni angolo della comunicazione, ogni parola scritta e tavola rotonda e rubrica televisiva parlano solo o per lo più di sicurezza, è chiaro che la gente finisca per chiedersi: che facciamo?».
Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona, è un «prete di strada» come Bergoglio e ha passato il primo giorno del Giubileo in visita ad alcune comunità della diocesi. «Guarderei all' essenziale». E cioè, eminenza?
«Che siano tante o poche, mi pare che un Giubileo non debba essere misurato dal numero di persone. Magari il fatto che Francesco abbia disposto l' apertura delle Porte Sante in ogni cattedrale, in tutte le diocesi del mondo, potrebbe rallentare l' afflusso di turisti a Roma. Ma il punto non è questo».
E qual è?
«Si deve piuttosto guardare al cammino di conversione che ogni persona è chiamata a fare. E raccontare quegli spicchi di bellezza, entusiasmo e misericordia che sono dentro la nostra quotidianità...».
La misericordia come antidoto al terrore?
«Non tanto un antidoto, è proprio l' opposto. È l' altra misura della vita. Al di là del Giubileo in quanto tale, se non capisco questo, se non recupero questo altro modo di vedere, sarò sempre un tribolato, un prigioniero. Dobbiamo riscoprire la misericordia come necessità assoluta per ogni persona e comunità cristiana, per tutta l' umanità».
La paura passera?
«La paura è umana. Ma poiché la misericordia è una storia d' amore, più amore mettiamo e più la paura scompare. Questo lo dice la parola di Dio, ma dobbiamo esserne tutti convinti, anche chi non crede. Non saranno le analisi sociologiche o politiche che ci aiuteranno a superare questo momento di difficoltà. Si tratta di riprendere il criterio della misericordia, tutti, come criterio di vita».
Senza farsi ossessionare dalla sicurezza?
«Capisco che ci si preoccupi di garantirla, ma a volte mi verrebbe da chiedere: di quale sicurezza parliamo? La mia stagione umana di che sicurezza gode? Ci preoccupiamo che non ci succeda qualcosa, ma questo qualcosa può essere per tutti noi dietro l' angolo e non è necessariamente collegato a questi atti terroristici che non fanno parte dell' umano. Proviamo a guardare la realtà anche in un altro modo. Alle ragazze e ai ragazzi delle cresime, poco tempo fa, ho detto: domattina, quando vi svegliate, guardatevi allo specchio. E dite: io sono una meraviglia, una meraviglia di Dio e della vita».
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/12/italia-il-cardinale-menichelli.html
Italia
Corriere della Sera
Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona, è un «prete di strada» come Bergoglio e ha passato il primo giorno del Giubileo in visita ad alcune comunità della diocesi. «Guarderei all' essenziale». E cioè, eminenza?
«Che siano tante o poche, mi pare che un Giubileo non debba essere misurato dal numero di persone. Magari il fatto che Francesco abbia disposto l' apertura delle Porte Sante in ogni cattedrale, in tutte le diocesi del mondo, potrebbe rallentare l' afflusso di turisti a Roma. Ma il punto non è questo».
E qual è?
«Si deve piuttosto guardare al cammino di conversione che ogni persona è chiamata a fare. E raccontare quegli spicchi di bellezza, entusiasmo e misericordia che sono dentro la nostra quotidianità...».
La misericordia come antidoto al terrore?
«Non tanto un antidoto, è proprio l' opposto. È l' altra misura della vita. Al di là del Giubileo in quanto tale, se non capisco questo, se non recupero questo altro modo di vedere, sarò sempre un tribolato, un prigioniero. Dobbiamo riscoprire la misericordia come necessità assoluta per ogni persona e comunità cristiana, per tutta l' umanità».
La paura passera?
«La paura è umana. Ma poiché la misericordia è una storia d' amore, più amore mettiamo e più la paura scompare. Questo lo dice la parola di Dio, ma dobbiamo esserne tutti convinti, anche chi non crede. Non saranno le analisi sociologiche o politiche che ci aiuteranno a superare questo momento di difficoltà. Si tratta di riprendere il criterio della misericordia, tutti, come criterio di vita».
Senza farsi ossessionare dalla sicurezza?
«Capisco che ci si preoccupi di garantirla, ma a volte mi verrebbe da chiedere: di quale sicurezza parliamo? La mia stagione umana di che sicurezza gode? Ci preoccupiamo che non ci succeda qualcosa, ma questo qualcosa può essere per tutti noi dietro l' angolo e non è necessariamente collegato a questi atti terroristici che non fanno parte dell' umano. Proviamo a guardare la realtà anche in un altro modo. Alle ragazze e ai ragazzi delle cresime, poco tempo fa, ho detto: domattina, quando vi svegliate, guardatevi allo specchio. E dite: io sono una meraviglia, una meraviglia di Dio e della vita».
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/12/italia-il-cardinale-menichelli.html
(Paolo Rodari) Il cardinale Ruini: "È inappropriato il paragone con l' Anno Santo di Wojtyla che fu preceduto da un lungo cammino". Per l' ex presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini, non è un caso che «la misericordia sia al centro del pontificato di Francesco. C' è un motivo - dice - che ha a che fare con la sua persona e la sua spiritualità. Ma c' è anche un altro motivo: molto semplicemente, la misericordia è il centro del cristianesimo; il messaggio di Gesù di Nazaret è anzitutto la lieta novella di Dio che viene come nostro salvatore mosso dall' infinita bontà e misericordia che è egli stesso».
Eminenza, Francesco, aprendo la porta santa, ha detto che la Chiesa deve anteporre la misericordia al giudizio. Secondo lei è giusto insistere solo sulla misericordia?
«Non è vero che Papa Francesco insista solo sulla misericordia. La misericordia, però, ha la precedenza, in tutta la tradizione biblica e anche nella teologia.
Ad esempio, san Tommaso dice che misericordia e giustizia sono inseparabili, che la misericordia è la perfezione della giustizia e che la misericordia viene sempre per prima, dato che alla base di ogni rapporto con Dio e tra noi c' è il dono gratuito che Dio ci ha fatto, anzitutto creandoci e poi salvandoci».
Ad esempio, san Tommaso dice che misericordia e giustizia sono inseparabili, che la misericordia è la perfezione della giustizia e che la misericordia viene sempre per prima, dato che alla base di ogni rapporto con Dio e tra noi c' è il dono gratuito che Dio ci ha fatto, anzitutto creandoci e poi salvandoci».
Il Papa ha anche ricordato il Concilio, un «incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche». Queste secche secondo lei esistono ancora?
«Il Concilio è stato un grande tentativo di ristabilire un rapporto positivo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Paolo VI, a dieci anni dalla chiusura del Concilio, diceva che le finalità del Concilio possono riassumersi in una sola: rendere la Chiesa del ventesimo secolo più idonea ad annunciare il Vangelo all' umanità del ventesimo secolo. Questa intenzione ha dominato il pontificato di Giovanni Paolo II, che parlava di "nuova evangelizzazione", e poi di Benedetto XVI, ciascuno naturalmente con il suo stile e il suo approccio. Delle secche, tuttavia, ci saranno sempre e di volta in volta bisogna cercare di uscirne. Per onestà intellettuale devo aggiungere che anche prima del Concilio c' era nella Chiesa un grande slancio missionario, che non può mai mancare perché la chiesa è missionaria per sua natura ».
L'apertura del Giubileo è stata segnata anche dalla paura. L' impressione, vedendo la piazza piena ma non stracolma, è che tanta gente abbia avuto paura a scendere in piazza. C' è chi ha paragonato la piazza di ieri alle folle oceaniche del Giubileo del 2000. È giusto fare questo paragone?
«Il paragone non è appropriato per molte ragioni: anzitutto quella ovvia che allora non c' era il timore degli attentati. Ma non dimentichiamo che quello era il Grande Giubileo, dell' anno 2000, e che era stato preparato attraverso un lungo cammino, segnato in particolare dalla lettera di Giovanni Paolo II "Tertio Millennio Adveniente": un cammino durato anni e che aveva coinvolto la pastorale della Chiesa intera».
Per molti dopo il tempo della Chiesa identitaria, che ha avuto anche in lei - con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - uno dei principali protagonisti, è iniziato un nuovo tempo, più spirituale, meno pubblico. Condivide questo pensiero?
«È iniziato certamente un tempo nuovo e le valutazioni e i confronti sono comprensibili e legittime. Personalmente vorrei solo dire che anche con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la dimensione spirituale era centrale e decisiva». Il Giubileo si è aperto con i due Papi che sono entrati insieme nella porta santa. Per alcuni osservatori c' è una dicotomia fra i due pontificati. Lei che giudizio ha? «Sinceramente non vedo delle dicotomie, ma delle differenze che sono fisiologiche: ogni Papa ha una sua sensibilità e una sua storia, e proprio così porta il suo personale contributo».
La Chiesa è scossa anche da Vatileaks. I documenti trafugati mostrano cose che oggettivamente non vanno. L' impressione è di una curia non del tutto allineata alla volontà di riforma del Papa. E anche di cardinali che alla povertà evangelica preferiscono altro. Perché secondo lei?
«Purtroppo ci sono cose che davvero non vanno. Direi di più: che risultano inconcepibili. Non ne farei però una questione di allineamento o meno della curia romana alla volontà di riforma del Papa: evitare certi comportamenti è richiesto da un minimo di senso morale, prima che da volontà di riforma».
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