ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 4 febbraio 2016

Prima che sia troppo tardi?

DISTRUGGERE IL CATTOLICESIMO?

È in atto un disegno intenzionale per distruggere la religione cattolica? Chi non ricorda lo spettacolo tristissimo di quel prelato polacco che dopo aver chiamato i giornalisti dichiarava davanti alle telecamere la sua omosessualità 
di F.Lamendola   



Chi non ricorda lo spettacolo penoso, desolante, tristissimo, di quell’alto prelato polacco il quale, dopo aver chiamato i giornalisti, dichiarava davanti alle telecamere la sua omosessualità, stringendosi al suo amante e baciandolo, invocando il diritto di “avere una famiglia” anche per gli omosessuali, e qualificando “monofobia paranoica” l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della omosessualità, il tutto al principio di ottobre del 2015, proprio nell’imminenza dell’apertura del Sinodo sulla famiglia?

Episodi del genere, ormai sempre più frequenti, difficilmente possono essere considerati casuali; al contrario, più vi si riflette, li si confronta, si considerano i tempi e le modalità secondo cui vengono gettati in pasto ai mass-media, e più se ne ricava la netta, inequivocabile impressione che facciano parte di una strategia accuratamente studiata e predisposta; di un piano intenzionale per distruggere il cattolicesimo mediante uno sfaldamento e uno screditamento interno.
Questo prete polacco che attende per decenni prima di fare outing, godendo di tutti i benefici di una condizione privilegiata, e poi chiama i giornalisti per mettere in imbarazzo i membri del Sinodo, esercitare una pressione mediatica sulla Chiesa, e per assumersi la responsabilità di domandare scusa agli omosessuali, a titolo personale, per i “ritardi” della Chiesa cattolica nei loro confronti, non appare come un giovane uomo in crisi di coscienza, che un giorno, preso il coraggio a due mani, decide di liberarsi dal fardello della sua doppia vita: se così fosse stato, gli sarebbe stato sufficiente entrare in una chiesa qualsiasi e rivolgersi a un confessore, e poi lasciare i suoi incarichi, con dignità e in silenzio, evitando accuratamente ogni clamore mediatico e sforzandosi di far sì che non lo si potesse neppure sospettare di aver cercato di farsi pubblicità, o di aver voluto scavalcare i suoi superiori, o di aver voluto sfruttare il proprio caso per esercitare un ricatto morale e culturale verso la Chiesa, alla quale aveva giurato, entrandovi, fedeltà, umiltà e obbedienza.
E si tratta solo di un caso; di uno fra molti.
Di fatto, quel che sta accadendo è che il cattolicesimo sembra avere imboccato, per sua stessa scelta, la strada che lo vede trasformarsi da religione rivelata in un semplice sistema di morale; e, una volta che ciò sia accaduto, per la forza stessa del pensiero relativista che ormai predomina nella cultura moderna, esso non può che andare incontro alla propria auto-distruzione, mescolandosi, annacquandosi e fondendosi con altri sistemi di etica, sia religiosi, sia laici, i quali, oltretutto, hanno, su di esso, il vantaggio di essere più tolleranti verso le deviazioni dalla legge morale naturale, proprio perché non “ostacolati” o “rallentati” dal peso di una tradizione teologica fondata sul soprannaturale. Infatti, le uscite di preti infedeli e seminatori di scandalo, come monsignor Charamsa, si stanno facendo sempre più frequenti e sempre più sincronizzate, come se facessero parte di una strategia concertata e pianificata sino nei dettagli.
Ma come si fa a trasformare il cattolicesimo in un semplice sistema di morale? Semplice: lo si svuota dell’elemento soprannaturale; lo si svuota della teologia; lo si svuota del divino. Qualcuno obietterà che ciò è impossibile; che, se qualcuno tentasse di farlo, la cosa apparirebbe troppo evidente e susciterebbe, inevitabilmente, una vigorosa reazione. Eppure, il modo per svuotare il cattolicesimo dell’elemento soprannaturale, cioè per degradarlo da religione rivelata a semplice sistema di etica, uno fra i tanti, c’è, e non è per niente difficile: si tratta di venire incontro alla richiesta, tipica della cultura moderna, di sfrondare ed eliminare quelle “sovrastrutture” della Tradizione e delle Sacre Scritture, che devono essersi formate per influsso di una mentalità mitica, o, peggio ancora, per una manipolazione intenzionale da parte di chi, sin dall’inizio, volle divinizzare la figura di Gesù, che sarebbe stato soltanto un normalissimo essere umano, per quanto buono e illuminato, e non avrebbe fatto alcun miracolo.
In altre parole, nella seconda metà del XX secolo è stato ripreso il programma “modernista” dei primi del secolo, il cui scopo era, appunto, rendere compatibile il cattolicesimo con la mentalità razionalista del mondo moderno. Togliere i miracoli dalla Bibbia, e specialmente dal Nuovo Testamento, non è, tuttavia, una operazione così innocua come potrebbe sembrare: il miracolo per eccellenza, la Resurrezione, rischia di fare la fine degli altri. Togliere la Resurrezione, d’altra parte, equivale a togliere il cristianesimo come religione rivelata; e quel che resta, appunto, sarebbe solo un sistema di morale. Resterebbe quel che Gesù ha insegnato: le Beatitudini, l’amore reciproco, il perdono. Tutte cose che si possono trovare anche in altre religioni e in altri sistemi di morale: in quello di Socrate, per esempio, o in quello di Platone, nonché nella morale laica della modernità. Quest’ultima appare anzi in vantaggio, perché non parla quasi per nulla di doveri o sacrifici, ma quasi esclusivamente di diritti: diritti della persona, diritti dell’individuo. In altre parole, la morale laica e secolarizzata promette più cose della morale cristiana: acconsente alla decisione di una madre di abortire, per esempio, oppure alla volontà di un parente di lasciar morire il proprio congiunto che si trovi in una condizione di malattia terminale; ciò che il cristianesimo, invece, non ammette, anzi, condanna severamente.
Nel protestantesimo, il processo di accomodamento con le “richieste” del mondo moderno è stato molto più precoce e molto più radicale: in fondo, il protestantesimo nasce proprio da un bisogno di adeguare la mentalità cristiana con quella della società profana. Il cattolicesimo ha resistito per altri quattro secoli alle spinte imperiose della modernità; ha conservato il senso della trascendenza e il senso del mistero, da cui discende anche il senso del limite. Ma ormai la scienza, e specialmente la bio-ingegneria, sembra in grado di fare cose talmente straordinarie – o terribili, secondo i punti di vista – che il senso del limite è arretrato passo a passo, fino quasi a scomparire; e molti cattolici manifestano da tempo disagio e insofferenza per un complesso d’inferiorità rispetto alla cultura scientifica moderna, verso la quale si sentono arretrati e inadeguati. Inoltre, molti di essi nutrono dei sensi di colpa per l’atteggiamento manifestato in passato dalla Chiesa nei confronti della scienza e della libertà di pensiero: e c’è qualcuno che insiste a rivoltare il coltello nella piaga, tornando sempre a parlare del processo di Galileo, del rogo di Giordano Bruno, eccetera, anche se la Chiesa ha domandato scusa per tutto ciò, e anche se un esame spassionato di quelle vicende potrebbe mostrare che, in parecchi casi, gli esponenti del clero fecero, in buona fede, quel che sembrava loro più giusto per proteggere la verità di cui erano custodi dalle possibili ripercussioni negative di una cultura profana sempre più irrequieta e potenzialmente distruttiva.
Hanno scritto Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta nel libro «La fabbrica della manipolazione» (Bologna, Arianna Editrice, 2014, pp.152-154):

«Un punto sul quale i "tradizionalisti" sembrano aver ragione, tuttavia,è quello del coinvolgimento di potenti lobby nello snaturamento del Cattolicesimo, a partire dalla metà del XX secolo. È interessante vedere come tali "forze" abbiano preso di mira da subito i pilastri fondamentali del Cristianesimo: la figura di Gesù Cristo e la testimonianza contenuta nei Vangeli. Uno dei "grimaldelli"  usati è stato, da questo punto di vista, lo shock dovuto all'olocausto ebraico, per suscitare tra i cattolici una sensazione di inadeguatezza, se non di vero e proprio "senso di colpa". Si è voluto, in sostanza, lasciare intendere che le responsabilità nel massacro degli Ebrei risalissero, in un modo o nell'altro, nella polemica cristiana contro il Giudaismo, fino a prendere di mira persino gli stessi Vangeli.
A farsi promotore di tali suggestioni all'interno della Chiesa, fu un personaggio potente: il cardinale gesuita tedesco Augustin Bea, protagonista del dialogo ebraico-cattolico, ma anche biblista e fulcro di una vera e propria lobby interna alla Chiesa. L'idea che circolava all'interno dell'entourage" del cardinale, allo scopo di riconciliare cattolici ed  ebrei, infatti, era che le accuse di "deicidio" e l'ostilità dimostrate nei secoli contro gli ebrei da parte dei cristiani - ostilità che peraltro aveva sempre fatto da contraltare a un acceso sentimento anticristiano da parte degli ebrei - fossero non solo il frutto di degenerazioni contingento, ma anche il segno di un "peccato originale" che affondava le sue radici fino ai Vangeli stessi.
In nome di questa nuova stagione dei rapporti ebraico-cristiani, il cardinale Bea – il quale accusava apertamente di “antisemitismo” anche i cristiani palestinesi che si opponevano all’occupazione israeliana – tessé un’imponente rete di amicizie e di collaborazioni, specie con organizzazioni come il B’nai B’rith, riunendo attorno a sé personalità ecclesiastiche coerenti con il suo nuovo assunto. Applicando con grande spregiudicatezza categorie moderne a realtà di duemila anni fa, il gruppo del cardinale arrivò così perfino ad accusare gli stessi evangelisti di “antisemitismo”, a causa delle polemiche presenti nei Vangeli contro la casta sacerdotale ebraica d’allora.
Uno dei collaboratori del cardinal Bea, padre Gregory Baum – un ex ebreo ateo convertito ee ordinato sacerdote, autore di un saggio intitolato “Gesù e gli Ebrei” – scrisse addirittura che le frasi “antiebraiche” erano una vera e propria “collezione  di scritti d’odio”.
Un altro collaboratore, monsignor  John Oesterreicher, anch’egli ebreo convertito e autore con Bea del decreto “De Judaeis” – durante una predica nella cattedrale di San Patrizio a New York, disse testualmente: “Noi non leggiamo più le numerose dichiarazioni di Gesù Cristo contro il suo popolo contenute nel Vangelo”.
Il Vangelo, in sostanza, era ritenuto non “politicamente corretto” e andava quindi “cambiato”; ma in che modo sarebbe stato possibile “centrare” i Libri Sacri continuando però a ritenersi cattolici? E soprattutto: come fare accettare all’insieme della Chiesa una tale rivoluzione?
Lo strumento ideologico adatto alo scopo, in realtà, era già nelle mani del cardinal Bea, che lo aveva introdotto nell’ambiente cattolico negli anni in cui era stato rettore del Pontificio Istituto Biblico (1930-1949), ed era l’ESEGESI STORICO-CRITICA. L’esegesi storico-critica, in realtà, aveva come scopo dichiarato quello di rendere più comprensibili i testi biblici – e in particolare i Vangeli – attraverso una migliore comprensione storica degli eventi descritti. Un metodo di esegesi apparentemente “scientifico”, dunque, ma in realtà fortemente condizionato da una visione ideologica generatasi nel mondo protestante e tendente a “purificare” i Vangeli da tutti gli aspetti ritenuti INCOMPATIBILI CON LA CULTURA MODERNA.
Negli anni Trenta, i pastori luterani tedeschi Rudolf Bultmann e Adolf von Harnack avevano proposto la cosiddetta “demitizzazione” dei Vangeli, ovvero, in concreto, l’eliminazione di tutti quegli aspetti SOVRANNATURALI che, a loro parere, non potevano essere accettati dall’uomo moderno; pertanto,  se ad esempio nei Vangeli si parlava dei “miracoli”, ciò si doveva sicuramente imputare a una tarda “manipolazione” da parte degli evangelisti stessi, che dovevano avere “inventati” gli episodi allo scopo di esaltare la figura di Gesù». Il compito del “nuovo esegeta”, quindi, avrebbe dovuto essere quello di cancellare queste “sovrastrutture mitiche”, per arrivare a comprender chi fosse stato realmente il GESÙ STORICO.
In una simile presa di posizione, naturalmente, c’è tutto il peso di un secolo e mezzo di pensiero razionalista e materialista, pregiudizialmente avverso ad ogni realtà “non quantificabile” dalla scienza moderna. Tale tipo di pensiero, tuttavia, aveva l’indubbio vantaggio di proporsi come “moderno” e “al passo con i tempi”: vere e proprie PAROLE MAGICHE, per quella parte del mondo cattolico che soffriva di una terribile crisi d’identità e provava un cupo senso d’inferiorità di fronte al mondo.
Dopo il Concilio Vaticano II e a partire dal Pontificio Istituto Biblico,  queste idee, in forme più o meno radicali, invaderanno tutto il mondo cattolico, a partire da Università Pontificie e Seminari: i Vangeli verranno “sezionati” come su un tavolo d’autopsia per cercare di capire cosa potere definire attendibile e cosa no,  cosa potere definire “compatibile” con la modernità  e cosa invece rigettare; il tutto, con criteri che naturalmente cambieranno a seconda del clima ideologico e persino politico dl momento. Certi passi del Vangelo, ad esempio, verranno presi alla lettera, mentre altri saranno scartati per principio in quanto “non credibili”; alcuni studiosi non accetteranno minimamente l’idea che Gesù possa avere compiuto dei miracoli, altri accetteranno solamente i miracoli più “compatibili” con la mentalità moderna; alcuni riterranno che Gesù sia stato un “antisemita”, altri che sia stato antiromano; per alcuni i Vangeli avranno un certo valore storico, per altri solo un significato morale e così via.
Di fatto, alcuni sacerdoti cattolici si ritroveranno a predicare dai pulpiti un Vangelo in cui - con una perfetta operazione di bi-pensiero orwelliano – non credono più, con tutto ciò che ne può conseguire anche sul piano dea tenuta disciplinare e morale del Clero.»

Di fatto, questo è ciò a cui, sempre più spesso, stiamo assistendo: a una apostasia generalizzata, ma che non ha la franchezza di manifestarsi come tale; a una dissoluzione pilotata, graduale, abilissima nel dissimularsi, dei contenuti del cristianesimo, operata da esponenti del clero, anche da vescovi e cardinali, i quali, di fatto, agiscono come se “mistero”, in teologia, fosse divenuto una parolaccia; come se “missione” fosse diventata un’altra parola impronunciabile; e come se il cattolicesimo non fosse altro che una proposta di vita morale, simile e non superiore a quella di altre religioni e di altri sistemi etici, rispetto ai quali non ha alcun primato da rivendicare, nessuna verità superiore da affermare. Uomini come il cardinale Augustin Bea (1881-1968), che è stato uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II, ispirando un documento importantissimo come la dichiarazione «Nostra aetate», nonché un paladino del dialogo interreligioso spinto fino ai limiti del relativismo, e un esponente di spicco della scuola biblica fondata su presupposti critici ultra-razionalisti, hanno, di fatto, contribuito a smantellare le basi stesse del cattolicesimo, così come quindici secoli di storia della Chiesa ce lo avevamo consegnato, fin verso la metà del secolo scorso. Il senso di colpa nei confronti del Giudaismo è stato l’ultimo elemento di cui uomini come Bea si sono serviti per dare il colpo di grazia alla identità cristiana e cattolica; senso di colpa spinto fino a lambire, con l’accusa infamante di antisemitismo, non solo gli evangelisti, ma la stessa figura del Cristo. Di fatto, al posto del cattolicesimo si sta delineando una nuova religione mondialista, basata sul sincretismo delle molte fedi oggi esistenti, delle molte morali, sia religiose che laiche, e, in cima a tutto il resto, il nuovo culto dell’Olocausto, eretto a religione della colpa perenne e inespiabile: precisamente ciò che il cristianesimo è venuto ad abolire, ossia la conseguenza del Peccato originale, mediante l’amore e la Redenzione di Gesù Cristo.
Possibile che i nuovi solerti cattolici “progressisti”, razionalisti e modernisti, non vedano dove stiamo andando? Le possibili spiegazioni sembrano restringersi a due: o non lo vedono affatto, e allora sono solamente degli utili idioti, intenti a servire, inconsapevolmente,  un diabolico progetto di dissoluzione; oppure lo vedono benissimo, e allora sono qualcosa di molto peggio: gli strumenti volontari e interessati alla esecuzione di quel progetto. Nell’un caso e nell’altro, ci sembra che sia arrivato il momento che quanti non sono disposti ad assistere, rassegnati, al compimento d’un simile disegno, escano dalla loro abulia e comincino a mobilitarsi per reagire in maniera energica, prima che sia troppo tardi. 


È in atto un disegno intenzionale per distruggere la religione cattolica?

di Francesco Lamendola

1 commento:

  1. Il grande prof. Lamendola è come sempre chiarissimo e illuminante. Davvero coraggiose e filosoficamente serrate le sue argomentazioni

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