ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 luglio 2016

Se e ma

QUANDO BENEDETTO XVI DICEVA

Quando Benedetto XVI diceva "La Turchia stia fuori dall'Europa". L'allora cardinal Ratzinger scrisse parole di fuoco sulla Turchia, descrivendola come un mondo islamico troppo lontano dai valori occidentali e cristiani 
di Giuseppe De Lorenzo  




Il golpe in Turchia e le successive epurazioni di Erdogan mettono a nudo le differenze insanabili tra due mondi: quello occidentale, costruito sui valori cristiani, e quello turco, figlio del mondo ottomano.

Il 12 settembre 2006 Ratzinger tenne una lectio magistralis a Ratisbona

Eppure, ancora oggi molti dei politici europei restano convinti che il posto in UE lasciato vuoto dalla Gran Bretagna debba essere assegnato agli eredi di Ataturk. E non si fermano nemmeno di fronte all'evidenza che della rivoluzione laica di Ataturk non è rimasto nulla. All'orizzonte si profila una Turchia più vicina all'impero ottomano che alle democrazie occidentali. La sospensione della Convenzione dei diritti dell'uomo e la sedimentazione nel Paese dei principi della legge islamica, infatti, rendono ancor più profondo il divario tra noi e loro.

L'analisi di Ratzinger sulla Turchia

Ecco. Viene da chiedersi allora se c'era il bisogno di attendere un colpo di Stato e una presidenza dispotica come quella di Erdogan per capire che quello tra Turchia e Europa sarebbe stato un matrimonio nato male è finito peggio. No. Non era necessario tirare così tanto la corda. L'allora cardinal Joseph Ratzinger, infatti, già nel 2004 disse senza mezzi termini che le strade di Ankara e Bruxelles erano "naturalmente" separate. E che cercare di avvicinarle sarebbe stato sciocco.
"Storicamente e culturalmente - scriveva Benedetto XVI - la Turchia ha poco da spartire con l'Europa: perciò sarebbe un errore grande inglobarla nell'Unione Europea. Meglio sarebbe se la Turchia facesse da ponte tra Europa e mondo arabo oppure formasse un suo continente culturale insieme con esso". In questo discorso, ripescato dall'oblio del tempo dal professor Alessandro Campi dell'Università di Perugia, Ratzinger spiega chiaramente cosa separi i due "continenti culturali". "L'Europa - diceva - non è un concetto geografico, ma culturale, formatosi in un percorso storico anche conflittuale imperniato sulla fede cristiana, ed è un fatto che l'impero ottomano è sempre stato in contrapposizione con l'Europa. Anche se Kemal Ataturk negli anni Venti ha costruito una Turchia laica, essa resta il nucleo dell'antico impero ottomano, ha un fondamento islamico e quindi è molto diversa dall'Europa che pure è un insieme di stati laici ma con fondamento cristiano, anche se oggi sembrano ingiustificatamente negarlo. Perciò l'ingresso della Turchia nell’UE sarebbe antistorico”.
Senza se e senza ma.

Quando Benedetto XVI diceva "La Turchia stia fuori dall'Europa"

L'allora cardinal Ratzinger scrisse parole di fuoco sulla Turchia, descrivendola come un mondo islamico troppo lontano dai valori occidentali e cristiani

di

Giuseppe De Lorenzo
il Giornale.it

Turchia-Europa: il trucco del liberismo è vecchio, ma funziona sempre

Turchia-Europa: il trucco del liberismo è vecchio, ma funziona sempre

" Il fatto è che al liberismo non gliene frega assolutamente nulla né della pena di morte né delle repressioni militari e poliziesche e neppure del terrorismo e delle stragi: gli importano solo i soldi"


di Francesco Erspamer*

Il trucco è vecchio ma a quanto vedo funziona sempre. Angela Merkel e l’ossequiente Federica Mogherini fanno la voce grossa al macellaio Erdogan: eh no, se rimetti la pena di morte l'Europa te la sogni. Perché, stava per entrare in Europa, la Turchia integralista di Erdogan? E davvero la pena di morte è l’unico criterio di valutazione, e chissenefrega di assassinii, torture, epurazioni, censure, minacce, autoritarismo, corruzione, per non dire delle stragi di stato e del genocidio dei curdi? Come a dire che se Hitler avesse tolto la pena di morte allora il nazismo avrebbe potuto venire sdoganato. 

Il fatto è che al liberismo non gliene frega assolutamente nulla né della pena di morte né delle repressioni militari e poliziesche e neppure del terrorismo e delle stragi: gli importano solo i soldi che possono fare le multinazionali e, attraverso di esse, la piccola casta di politici e giornalisti al loro servizio.
La Turchia può compensare la Gran Bretagna in Europa; con il vantaggio che con Erdogan un Turkexit non ci sarebbe mai perché l’opposizione la stanno massacrando e chi la scampa non fiaterà più almeno per qualche decennio.
È una sceneggiata: il messaggio è chiaro: hai vinto, ci piaci, fai un piccolo atto puramente formale e ti facciamo entrare nell’UE, a portarci mano d’opera a costo quasi nullo, scarsa sensibilità ambientale e sindacale, consumatori che si accattano qualunque americanata, come neanche gli italiani. E a chi si opponeva prima e si opporrebbe adesso rispondono: ma non ha la pena di morte, dunque è un paese democratico, è un paese civile; e se ti opponi a un paese senza pena di morte evidentemente sei un islamofobo, un razzista, un fascista.

*Professore all'Harvard University. Post Facebook del 21 luglio 2016

L'ambiguità che ci rende complici delle dittature. Alberto Negri

L'ambiguità che ci rende complici delle dittature. Alberto Negri

C’è un doppio standard della politica internazionale di cui Erdogan prima ha fatto le spese e poi ha approfittato


di Alberto Negri, Il Sole 24 ore


Perché accettiamo autocrati e dittatori? Perché servono: siamo complici, non partner. Loro lo sanno, si fanno usare e poi sfuggono al controllo e ci ricattano secondo un copione che conosciamo benissimo.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, è solo l’ultimo della lista, ma forse il più insidioso. Insidioso in quanto non è solo appoggiato da una maggioranza elettorale conservatrice ma fa parte del sistema di sicurezza occidentale con 24 basi dell’Alleanza atlantica, armi nucleari comprese. Con l’epurazione nelle Forze armate, oltre a quella nell’amministrazione, mette sotto torchio i generali laici, più fedeli alla Nato che a lui.
Gli Stati Uniti e l’Europa non sanno cosa fare: sono a letto con il nemico che è anche un loro amico e alleato. L’imbarazzo è palpabile e sfiora l’autoironia. Il consolato Usa ieri celebrava a Istanbul, in ritardo sul 4 luglio, la festa nazionale: sull’invito si legge, testuale, che è dedicata «non» al giorno dell’indipendenza americana ma alla «partnership strategica Usa-Turchia». Ecco servita la politica occidentale: è immaginabile che Washington tenga sotto pressione Erdogan ma solo fino a un certo punto, così come l’Unione europea, che ha firmato con Ankara un accordo perché si tenga tre milioni di profughi siriani.
C’è un doppio standard della politica internazionale di cui Erdogan prima ha fatto le spese e poi ha approfittato usando proprio le regole europee per far fuori i generali laici con falsi processi. Del resto chi ha mai difeso la Turchia quando si scontrò con Israele per gli aiuti a Gaza, dove oggi il 90% vive con le razioni dell’Onu? E chi ha mai sostenuto il presidente egiziano Morsi, appoggiato da Erdogan, sia pure regolarmente eletto? Per questo il presidente turco ha fatto la pace con Israele: quando nella regione sei gradito a Tel Aviv a casa puoi fare quello che vuoi, questo è lo standard dalle nostre parti ed Erdogan lo conosce perfettamente.
La riappacificazione con Putin chiude un triangolo perfetto: tre Paesi che non tengono in gran conto i diritti umani e occupano come Israele territori altrui, da quelli palestinesi al Golan siriano. È l’incrollabile messaggio che mandiamo da decenni al mondo musulmano.
Non solo. Pensiamo di usare gli autocrati come ci pare: un tempo Saddam per fare la guerra all’Iran, oggi Erdogan per condurre con i jihadisti quella alla Siria di Assad perché fa comodo al fronte sunnita anti-Iran, cioè a quelle monarchie del Golfo che ci riempiono le tasche di quattrini in commesse militari e investimenti.
Gli americani la chiamano politica del “doppio contenimento”, sia del fronte sunnita che di quello sciita, dove per altro gli Usa bloccano le banche internazionali che vogliono fare affari con Teheran, senza mai scomporsi nei confronti dei sauditi che tagliano teste a tutto spiano. La pena di morte minacciata da Erdogan è a geometria variabile: si vedono mai dei sit-in davanti all’ambasciata saudita?
Per questo abbiamo tollerato che la Turchia si islamizzasse, che Erdogan reprimesse chiunque non la pensasse come lui, facendo fuori oltre al Pkk anche i civili curdi. Ma ci siamo già dimenticati di Kobane quando bastonava i volontari anti-jihadisti?
Poi qualche cosa non funziona, come la guerra contro Assad e facciamo finta che non sia stata la signora Hillary Clinton, da segretario di Stato, a incoraggiare la Turchia a inviare sull’”autostrada della jihad” migliaia di militanti che adesso tornano nei loro Paesi e a casa nostra a fare i terroristi. Il risultato è il seguente: non abbiamo la democrazia in Siria, sostenuta da Putin, e ora neppure in Turchia. Un capolavoro di ipocrisia e forse anche di imbecillità.
*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore

La nuova fase del regno di Erdogan e l'ipocrita indignazione dell'occidente. Fulvio Scaglione

La nuova fase del regno di Erdogan e l'ipocrita indignazione dell'occidente. Fulvio Scaglione

Finché la Turchia faceva comodo per intercettare i profughi o per smembrare la Siria, la moderazione di Erdogan non sembrava così indispensabile


di Fulvio Scaglione



“Scene rivoltanti di giustizia arbitraria e vendetta”, fa dire la cancelliera Merkel ai suoi portavoce. Per aggiungere di persona che la reintroduzione della pena di morte “significherebbe la fine delle trattative per l’ingresso nell’Unione Europea”. Il dopo-golpe della Turchia è scandito dagli arresti ordinati da Recep Erdogan, che ormai si contano a migliaia tra soldati, poliziotti, prefetti, governatori e magistrati. Ma anche dai moniti e, come si vede dal caso tedesco, anche dalle minacce che arrivano da Occidente.
La Merkel non è stata l’unica a legare pena di morte e accoglimento nella Ue. Lo hanno fatto anche Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, e il nostro ministro degli Esteri Gentiloni. Al coro europeo si è unito il solista d’oltreoceano. Gli Usa, per bocca del segretario di Stato John Kerry, hanno addirittura legato “il mantenimento dei più alti standard di rispetto per le istituzioni democratiche e per l’applicazione della legge” alla permanenza della Turchia nella Nato.
Tutto questo avrà di sicuro una qualche influenza sul modo in cui Erdogan deciderà di varare il nuovo atto del suo regno sulla Turchia: il terzo, quello del potere assoluto, dopo il primo del consenso conquistato con il decollo economico e il secondo dell’avventura imperialista neo-ottomana. Allo stesso tempo, però, rivela tutto il disagio con cui l’Occidente, e non da oggi, maneggia il “caso Turchia”.
Certo, la gigantesca purga che Erdogan vuole varare, agitando su golpisti veri e presunti la spada della pena capitale, lo porterà ben lontano da ciò che, in termini di applicazione della democrazia e amministrazione della giustizia, si richiede a un Paese dell’Unione Europea. Ma non è che prima del golpe la Turchia fosse molto vicina. Negli ultimi anni Erdogan ha varato una serie di riforme che hanno regalato ai servizi segreti (nei giorni scorsi il suo vero baluardo) poteri insindacabili, tolto alla magistratura gran parte dell’indipendenza rispetto al potere esecutivo, ridotto il diritto alla libera espressione, mortificato la libertà di stampa, limitato fortemente i diritti civili.
Non si sentivano, allora, molti appelli alla moderazione e al rispetto dei sacri principi. Allo stesso modo, nel recente passato né gli Usa né la Nato (di cui Kerry, è bene notarlo, parla come di una proprietà privata) si preoccupavano degli “alti standard” che ora invocano, nemmeno di fronte alla repressione nelle regioni curde o alla benevolenza della Turchia nei confronti delle decine di migliaia di foreign fighters che attraversavano il suo confine per andare a sterminare gente in Siria e in Iraq. Anzi, allora la Nato degli “alti standard” si impegnava a proteggerlo, quel confine, e a stendere il proprio velo militare a sostegno di Erdogan. Succedeva l’altro ieri, non mille anni fa.
Finché la Turchia faceva comodo per intercettare, ben pagata, i profughi che tanto inquietano gli europei o per smembrare la Siria di quell’Assad tanto inviso agli americani e ai loro alleati in Medio Oriente, la moderazione di Erdogan non sembrava così indispensabile. Oggi sì. Ma oggi forse è tardi: il cavallo scosso Erdogan da tempo non risponde alle redini dell’Occidente ed è difficile che lo faccia, sia che abbia superato un golpe vero (che comunque non può avere mandanti solo interni alla Turchia), sia che ne abbia organizzato uno finto. Comunque, dopo aver ottenuto un potere quasi assoluto.
In questo clamoroso riposizionamento collettivo, c’è un personaggio che bada bene a non farsi notare ma potrebbe intascare un ottimo dividendo economico e politico: Vladimir Putin. Il signore del Cremlino è stato uno dei primi a parlare con Erdogan dopo il vero-finto golpe e i due si sono promessi di incontrarsi al più presto. La crisi seguita all’abbattimento del caccia russo nel novembre del 2015 aveva mandato all’aria scambi commerciali del valore di 45 miliardi l’anno e un rapporto strategico per entrambi i Paesi, soprattutto nel settore dell’energia. Lo zar e il califfo si erano rappacificati poche settimane fa e rilanciare l’intesa è ora negli interessi di entrambi. Della Turchia, se vorrà proseguire nel duro confronto con l’Europa e gli Usa. Della Russia, che in quel confronto è da tempo impegnata.
  
*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore 


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