Su "Avvenire" di oggi Agostino Giovagnoli ha salutato con molto ottimismo le due ordinazioni episcopali fatte in Cina a fine novembre, più una terza in arrivo all'inizio di questo mese. Le ha presentate come la felice sperimentazione di "un 'modus operandi' che potrebbe costituire la sostanza di un accordo formale tra le due parti", cioè tra Roma e Pechino, ormai vicino alla meta.
Giovagnoli insegna storia all'Università Cattolica di Milano ed è rappresentante di prim'ordine della Comunità di Sant'Egidio, cioè di quella presunta "diplomazia parallela" che da decenni fa il controcanto – né richiesto né gradito – ai diplomatici vaticani in vari teatri del mondo. E la Cina è appunto uno di questi teatri.
Solo che una delle due ordinazioni non è stata affatto di buon auspicio. Anzi. È suonata come uno schiaffo dato dalle autorità cinesi alla Chiesa cattolica.
Il fattaccio è successo il 30 novembre a Chengdu, la capitale della regione di Sichuan, nella Cina centrale.
Il nuovo vescovo, Giuseppe Tang Yuange, 53 anni, era stato designato da Roma nel maggio del 2014. In seguito anche le autorità cinesi avevano approvato la sua nomina. Ma quando si è giunti al dunque, cioè alla suaordinazione, le autorità comuniste hanno deciso loro da chi farlo ordinare. E hanno infilato a forza nel quintetto dei vescovi consacranti un paio di nomi che per Roma sono come un affronto.
Per cominciare, il vescovo che ha presieduto il rito di consacrazione è stato sì riconosciuto tempo fa anche dal Vaticano, ma non ha mai troncato i suoi legami strettissimi con il regime, dei cui ordini è uno dei più fedeli esecutori. Il suo nome è Fang Xingyao, è vescovo di Linyi, nello Shandong, è vicepresidente della conferenza episcopale fantoccio messa in piedi dalle autorità politiche senza naturalmente annettervi i circa trenta vescovi "clandestini" non ufficialmente riconosciuti, ma soprattutto è presidente dell'Associazione patriottica dei cattolici cinesi, che è la vera macchina di controllo del regime sulla Chiesa, bollata da Benedetto XVI nel 2007 come "incompatibile con la dottrina cattolica".
Ma il secondo nome suona ancora peggio. Si tratta del vescovo Lei Shiyin di Leshan, nel Sichuan, il quale non solo non è stato mai riconosciuto da Roma, ma è incorso nella scomunica proprio per essere stato ordinato illecitamente, nel 2011, e ordinato proprio da monsignor Fang Xinyao, a cui è legatissimo anche nell'Associazione patriottica, di cui è vicepresidente su scala nazionale e presidente nel Sichuan.
In più, a quell'ordinazione illecita del 2011 aveva preso parte anche ilvescovo di Pechino Li Shan, altro cattivo esempio di vescovo "ufficiale" riconosciuto da Roma ma poi tornato al pieno servizio delle autorità di regime.
Lei Shiyin è uno degli otto vescovi cinesi riconosciuti dal governo ma pubblicamente scomunicati da Roma. Ed è anche uno dei più difficili da riportare all'ovile, dato che su di lui pende l'accusa di avere amanti e figli.
Ebbene, è proprio da questa coppia di impresentabili che le autorità cinesi hanno preteso che il nuovo vescovo di Chengdu fosse ordinato, lo scorso 30 novembre. E c'è voluto un cordone di poliziotti per assicurare l'ingresso in cattedrale del secondo, che un gruppo di fedeli aveva tentato invano di bloccare, issando un cartellone di protesta.
L'ultimo incontro tra le delegazioni di Roma e di Pechino che stanno negoziando un accordo sulla nomina dei vescovi si è svolto a metà novembre.
Ma se questi sono i fatti, un accordo che non sia un cedimento della Chiesa appare ancora lontano, molto lontano.
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