ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 11 marzo 2017

Vedrai, vedrai..


Aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l’abominio della desolazione (Dn 11, 31).
Se l’indiscrezione fosse vera, sarebbe veramente un fatto di gravità apocalittica, che richiamerebbe alla mente la profezia di Daniele sugli ultimi tempi. Il fatto che la notizia sia stata fornita da più fonti indipendenti le conferisce una certa attendibilità, anche se non possiamo escludere a priori che un allarme fasullo sia stato messo in circolazione a bella posta come un diversivo, per distogliere la nostra attenzione da altre questioni sensibili, come l’eutanasia e l’adozione di bambini da parte di coppie sodomitiche. Di che si tratta, in ogni caso? Da qualche settimana si vocifera di una segreta commissione vaticana che avrebbe ricevuto l’incarico di revisionare ulteriormente il rito cattolico della Messa per rendere possibile una communicatio in sacris con anglicani e protestanti, compresa la “concelebrazione” di ministri delle diverse confessioni. A questo fine si starebbe pensando – pare – all’adozione dell’antichissima Anafora di Addai e Mari, la quale, pur non contenendo le parole dell’istituzione dell’Eucaristia, se non in modo implicito, nel 2001 è stata riconosciuta valida dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
La questione, nella sua inverosimile paradossalità, richiede degli approfondimenti a più livelli. Se siamo arrivati al punto che si possano anche solo immaginare ipotesi del genere, è probabilmente perché il sentimentalismo imperante, fondato sull’ignoranza e sulla disinformazione, ha talmente offuscato le menti che ormai nemmeno le peggiori enormità vengono più percepite come tali. Ad ogni modo – anche se in tempi normali sarebbe del tutto superfluo – occorre anzitutto ricordare che il cosiddetto “ministero” esercitato nelle comunità protestanti non ha alcun valore sacramentale, dato che esse non hanno l’Ordine sacro. I loro ministri sono semplici laici e nella loro Cena, di conseguenza, non avviene assolutamente nulla; per lo stesso motivo non le si può chiamare “chiese” (com’è purtroppo divenuto abituale in casa cattolica), poiché in assenza del sacramento dell’Ordine la successione apostolica si è interrotta ed è quindi venuto meno un elemento costitutivo della Chiesa, insieme all’unità della fede, della comunione gerarchica e della vita di grazia.
Come non scusare, tuttavia, sacerdoti e fedeli – specie, paradossalmente, i più (de)formati – se un anziano professore di teologia, ex-rettore di un pontificio istituto romano, in un corso di licenza sull’ecumenismo è arrivato ad affermare (l’ho udito con le mie orecchie qualche anno fa) che anche i protestanti, in realtà, hanno il ministero sacro in quanto i loro pastori ricevono una preghiera con l’imposizione delle mani? Quel venerando docente, almeno nella sua giovinezza, avrebbe dovuto apprendere che il rispetto della forma dei Sacramenti è indispensabile alla loro validità; una sua modifica arbitraria li rende nulli. Oltretutto manca completamente, presso i sedicenti “riformati”, l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa: in questo caso, costituire dei ministri che, per il carattere indelebile del sacramento, siano abilitati ad offrire il Sacrificio in persona Christi. Per questi stessi motivi papa Leone XIII, confermando le decisioni di Giulio III, Paolo IV e Clemente XI, nel 1896 dichiarò invalide le ordinazioni anglicane, dato che il rito era stato illegittimamente modificato in modo sostanziale.
Un cattolico non può quindi partecipare al culto anglicano o protestante, sia perché, non essendo quello stabilito da Cristo e trasmesso dagli Apostoli, non ha validità, sia per non dare l’impressione di prenderlo per buono aderendo alla falsa dottrina che vi è connessa, ovverossia (tra le altre cose) alla negazione della transustanziazione. È vero che, nel corso dei secoli, la Chiesa è intervenuta sulla forma di alcuni Sacramenti e sulla sua determinazione, ma non ne ha mai toccato la sostanza e, in ogni caso, l’ha fatto in modo legittimo, cioè tramite una decisione della suprema autorità. Perfino la nuova Messa, elaborata con l’intenzione esplicita di renderla accetta agli eretici, è valida, sebbene assomigli terribilmente a quella anglicana (tanto è vero che un loro ministro, già trent’anni fa, a Londra mi confidò candidamente che usava abitualmente il rito di Paolo VI).
È evidente che una “concelebrazione” tra ministri di diverse confessioni è non solo una mostruosità, ma anche qualcosa di impossibile a livello metafisico, nonché sul piano giuridico e dottrinale: gli altri non sono sacerdoti, non hanno la nostra stessa fede nell’Eucaristia e non sono in comunione gerarchica con noi. Anche la cosiddetta intercomunione, che in Germania è prassi corrente ed è stata purtroppo ammessa anche in importanti ricorrenze con grande afflusso di fedeli, è un abuso gravissimo: non solo chi vi accede non assolto da peccati gravi commette un sacrilegio (come quei poveri cristiani che non hanno la Confessione e non credono alla Presenza reale), ma di fatto, pur accedendo insieme al Sacramento dell’unità per eccellenza, siamo e rimaniamo divisi, non per motivi puramente storici o disciplinari, come si vorrebbe far credere, ma per ragioni più che sostanziali. L’unica via verso un’unità reale – piuttosto che immaginaria o velleitaria – è la conversione dei non-cattolici alla vera fede e il loro ritorno in seno all’unica Chiesa di Cristo.
A che pro, allora, modificare ulteriormente la Messa? L’unica motivazione possibile può essere proprio quella di abolire il Sacrificio. Qui entriamo in un altro ordine di problemi. L’Anafora di Addai e Mari (attribuita dalla tradizione siro-orientale a due dei settantadue discepoli inviati in missione da Cristo) viene fatta risalire dagli studiosi, al più tardi, al III secolo dell’era cristiana. L’assenza del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia (cioè delle parole consacratorie) rifletterebbe una fase molto arcaica in cui esso non era stato ancora inserito, come è avvenuto in tutti i riti della Chiesa universale. Questo antichissimo canone è a tutt’oggi in uso nella Chiesa Assira d’Oriente, presente nell’odierno Iraq e nella diaspora. Questa Chiesa di origini apostoliche, separatasi per il rifiuto del Concilio di Efeso, ha tuttavia «preservato pienamente la fede eucaristica nella presenza di nostro Signore sotto le specie del pane e del vino e nel carattere sacrificale dell’Eucaristia» (1); nel 1994 ha firmato una Dichiarazione comune per il superamento degli equivoci in campo cristologico. Nel 1552 una parte di essa è ritornata alla piena comunione con la Sede Apostolica sotto il nome di Chiesa Caldea.
Se veramente intendono inserire l’Anafora di Addai e Mari nel rito romano, sarebbe effettivamente una mossa molto astuta: potrebbero rendere la Messa nulla – o almeno dubbia – facendo credere che nulla sia cambiato. Ciò che in sé la rende valida è, da una parte, il fatto che è sempre stata usata da una Chiesa particolare che ha un rito proprio e legittimo e, dall’altra, la condizione che il sacerdote abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, cioè di realizzare la transustanziazione. Anche se il termine risale alla teologia scolastica e non si trova nella tradizione orientale, tuttavia la realtà che indica deve essere oggetto di fede per tutti, come si sottolinea nelle professioni di fede che hanno dovuto sottoscrivere le Chiese separate per ritornare in comunione con Roma. Ora, qualora un sacerdote latino la usasse senza la dovuta intenzione, temo che possa risultare invalida. Non è un mistero per nessuno, purtroppo, che non sia infrequente il caso di preti cattolici che non credono più alla Presenza reale. Tuttavia, finché usano il rito legittimamente approvato dal Papa, chiedendo la trasformazione delle specie eucaristiche nel Corpo e nel Sangue di Cristo e recitando correttamente le parole consacratorie, il loro difetto di fede non invalida la Messa; al massimo ciò potrebbe avvenire (ma non è una certezza nemmeno questa) se nel consacrare ponessero un’intenzione positivamente contraria, cioè escludessero con un atto positivo della volontà di voler compiere la transustanziazione.
Comunque sia, non c’è un motivo plausibile per introdurre nel nostro rito un’anafora di un’altra tradizione liturgica, visto che, se proprio si ama l’antichità, abbiamo l’antichissimo Canone romano. Se mai questo passo verrà compiuto, a quel punto non bisognerà più andare per niente alla Messa nuova, dato che il dubbio sulla validità della consacrazione sarà troppo elevato. Alla luce di questi possibili sviluppi si comprende ancora meglio la portata profetica del motu proprio Summorum Pontificum e il valore imprescindibile dell’opera di quanti hanno conservato il rito tridentino, così che potesse giungere fino a noi in questi tempi di sovversione totale. Siamo ben coscienti che il processo rivoluzionario non sia iniziato soltanto quattro anni fa, ma è evidente che in questo lasso di tempo (quello che, come di recente rivelato da una fonte americana, i poteri occulti avrebbero dato al loro uomo per realizzare una primavera nella Chiesa Cattolica) si sia verificata un’accelerazione impressionante. Che i “grandi elettori” stiano reclamando da Santa Marta una concreta svolta decisiva nell’adempimento dei loro piani? Ad ogni modo, se realmente saremo posti di fronte a un bivio, sappiamo già da che parte andare.
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