Nessuna resa e nessuna rinuncia
Rompo il silenzio che mi ero imposto perché mi ha colpito
uno dei commenti che ho letto nella mia pagina facebook. Ha scritto un lettore:
“A volte senti la rinuncia come la cosa più facile da fare. Ma la cosa più
facile non ha mai prodotto qualcosa di più che un giardino di erbacce”
(Richelle E. Goodrich). Lo stesso lettore, condividendo il mio post, ha
scritto: “Un'altra arresa! La battaglia è appena incominciata e già…”.
Confermo quello che ho scritto: non si può combattere contro
i mulini a vento. Dovevo aggiungere “da soli”, perché questa è la mia storia.
Perché io ho combattuto e sto combattendo da solo, insieme a mia moglie e a mio
figlio.
Alla maggior parte del mondo cattolico, questa mia storia
andava bene – gli “piaceva”, perfino - quando mi faceva scrivere sui suoi
giornali e sulle sue testate on line o mi invitava per raccontare la
“favoletta” della conversione di uno che ha lavorato con Pannella. Ero quasi un
fenomeno da baraccone.
Quando questo mondo cattolico ha compreso che si trovava di
fronte uno che pensa, è iniziato l’ostracismo e l’isolamento.
Sono mancati gli
inviti alle conferenze, salvo qualche eccezione, sono stati sottratti gli
articoli – che costituivano piccoli lavori per chi non possiede nulla, neanche
una macchina – sono mancate le recensioni ai libri, che il convertito ha
continuato a scrivere.
Alcuni, hanno perfino detto che sono un ladro. Così come
sono stato condannato dai tribunali perché i radicali mi hanno accusato – senza
avermi fatto un benchè minimo rilievo in 10 anni di Tesoreria e dopo aver
aperto la causa per oltre 20 anni di lavoro a prestazione occasionale, che ho
regolarmente perso, senza ricevere né, liquidazione, né contributi, né pensione
- di aver rubato 200mila euro (i miei stipendi, sui quali ho pagato le tasse,
che i radicali conoscevano dai bilanci che presentavo e che venivano approvati
dai congressi, in giurisprudenza si chiama “consenso dell’avente diritto”),
così per loro – questi cattolici - sono un delinquente, un avanzo di galera.
Costoro devono sapere che la condanna a 10 mesi con pena sospesa e non
menzione, per me non è un’infamia, è un onore, perché è stata data da giudici
di questa terra, ma io l’ho offerta al mio unico Giudice, che è in Cielo.
Ma perché costoro (questi cattolici) hanno detto che sono un
ladro? Perché li ho smascherati. Ho fatto nomi e cognomi dei loro “compagni di
merende”, che mentre si vantavano di essere cattolici, addirittura in
Parlamento, firmavano gli appelli perché la radio di Pannella introitasse 10
milioni di euro all’anno di danaro pubblico, in base ad una legge dello Stato
italiano. Fate i conti di quello che significa anno dopo anno incassare questo
denaro. Se quel denaro non ci fosse stato, non ci sarebbero state le leggi
anti-umane prodotte dall’ideologia radicale. Per questo, quei parlamentari sono
complici di quell’ideologia. Ma questo si deve celare. Si deve occultare. “Ci
si deve accontentare di quello che si ha”, mi ha detto il direttore di una
testata cattolica on line. “Nel nostro mondo non si deve dire la verità,
altrimenti non la inviteranno più da nessuna parte”, mi ha detto un illustre
cattedratico cattolico. “Sputo nel piatto in cui mangio”, mi ha detto un altro
cattolico.
Io non appartengo alla cultura mafiosa. La aborro. Ad essere
invitato a convegni dove non si deve dire la verità, non ci tengo. Non sono
“compagno di merende” di alcuno, se quel qualcuno mi chiede di tacere. Perché a
me fanno paura l’Inferno e il Purgatorio. Forse più il Purgatorio dell’Inferno.
E credo che esistono.
Quindi, per timore del giudizio di Dio, l’ho detta la verità
sulle Marce per la Vita o sui Family Day in cui si invitavano quegli stessi
parlamentari, su Adinolfi che in assemblee pubbliche ringrazia Radio Radicale
che manda in onda il suo convegno, sui cattolici che hanno compiuto e compiono
a iosa crimini e peccati mortali divorziando e abortendo e che hanno costituito
il “ventre molle” sul quale l’ideologia pannelliana ha potuto operare.
Poi, l’avanzo di galera quale io sono, ha detto la verità
sul papa che ha definito Emma Bonino (responsabile di concorso nel reato di
quasi 11mila aborti, quando l’aborto era un reato, in base agli atti di un
processo che non si è mai celebrato perché nel frattempo lei ha ottenuto
l’immunità parlamentare) la “grande italiana”, in linea con il popolo cattolico
che la vorrebbe Presidente della Repubblica, in base ai sondaggi.
Ho detto la verità sul papa, che tramite mons. Vincenzo
Paglia, fa pervenire a Pannella, qualche giorno prima della sua morte, una
medaglietta e il suo libro sulla misericordia, facendo credere a tutto il mondo
che il leader radicale si è convertito. Sul suo portavoce di allora, padre
Lombardi, che sostiene che occorre fare i conti con “l’eredità umana e
spirituale di Pannella”. Su Eugenia Roccella e Gaetano Quagliariello, che in
Parlamento, commemorando la morte di Pannella, fanno il panegirico sul suo
metodo e sulla sua “lezione”. Su Massimo Gandolfini che dice di Pannella: “Ho
un ricordo sul piano umano molto buono e molto bello”.
Per dire queste e molte altre verità, nel mio primo libro su
Bergoglio, “Ancilla hominis”, ho perso due anni fa l’unico lavoro che avevo.
“Buona fortuna” mi ha scritto l’allora direttore dell’Agenzia Sir, che
conoscevo da quando eravamo ragazzi e che mi aveva imposto di scrivere con lo
pseudonimo oltre 300 articoli in tre anni.
Altri ostracismi sono arrivati quando mi sono permesso di
scrivere che di fronte alla dissacrazione che ogni giorno viene compiuta da
Bergoglio della Parola di Dio (dissacrazione che certamente porterà a breve ad
una punizione) – conseguenza di un “mandato” di cui è corresponsabile quasi
l’intera gerarchia ecclesiastica, che tace e acconsente - mi sembrava fuori
luogo concentrarsi su Amoris Laetitia e “inseguire” dichiarazioni su
“correzioni pubbliche” che sembrano provenire da una genia molto diffusa:
quella di coloro che lanciano il sasso e nascondono la mano, per non produrre
nulla. Solo fumo.
Confermo: da soli, non si può combattere contro i mulini a
vento.
Questo non significa rinunciare o arrendersi. Significa
prendere semplicemente atto che si è soli. Che l’accanimento non è solo dei
“nemici”, ma anche e soprattutto degli “amici”, di coloro che, ad esempio,
informati, non hanno detto una parola – salvo isolate eccezioni – su un avanzo
di galera che si trova di nuovo sotto processo per aver scritto in uno dei suoi
6 libri (finora) e oltre 2mila articoli, 2 parole che hanno dato fastidio a un
radicale. Le parole sono “servo sciocco” in un libro in cui io stesso mi
definivo “servo di…”.
Io, rinviato a processo, mentre del radicale che accompagna
a morire le persone, il pubblico ministero chiede l’archiviazione del caso.
Allora, lo dico a coloro che manifestano la loro
solidarietà, che comprano i miei libri, che vengono alle conferenze che riesco
a tenere, che scrivono messaggi, che hanno partecipato con generosità concreta
alla campagna “Io sto con Danilo”, lo dico a coloro che mi vogliono bene come
io ne voglio a loro, l’avanzo di galera continuerà a combattere. Lo farà
umilmente, anche per coloro che tacciono, che non s’indignano, che “tutto va
bene, madama la marchesa”. E lo farà anche per i suoi nemici, perché Nostro
Signore mi obbliga ad amarli ed io non mi sottraggo a questo comandamento.
Come mi scrive un carissimo amico sacerdote, l’importante è
non lasciarsi andare, ma rimanere saldi, fermi, fondati nella fede e nella
fiducia. Giorno per giorno, quasi vedendo crollare in continuazione le cose,
demolite dalla rabbia di Satana, ma poi risollevate dalla pazienza e dalla
fede.
Cappato-Dj Fabo: cosa succede ad abbandonare i princìpi non negoziabili
Dopo la puntuale analisi di Tommaso Scandroglio pubblicata ieri, vale ancora la pena ritornare sulla richiesta di archiviazione avanzata dai pubblici ministeri nei confronti del leader radicale Marco Cappato, responsabile del suicidio assistito di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo. Il Giudice delle indagini preliminari (Gip) infatti, potrebbe ancora respingere questa richiesta: cosa non molto probabile ma certamente auspicabile.
Il fatto è che se si accetta l’introduzione nella giurisprudenza di principi quali il “diritto alla dignità” si compie un altro bel balzo verso la barbarie. Quello che infatti viene presentato sotto la veste positiva di un diritto individuale maggiormente rispettoso della dignità umana, nasconde in realtà la concezione per cui ci sono vite indegne di essere vissute, concetto che ci riporta direttamente al nazismo e ai suoi progenitori, ovvero le Società eugenetiche sviluppatesi nel mondo anglosassone e nord europeo a partire dall’inizio del ‘900.
La dignità citata dai pubblici ministeri (Pm) infatti fa esplicito riferimento alle condizioni di sofferenza dovute a malattie non necessariamente terminali: il malato o chi per lui, in prima istanza, è chiamato a decidere se quella vita sia degna o meno; in realtà sappiamo benissimo dall’esperienza di altri paesi che a decidere quando una vita sia degna è poi inevitabile che sia il potere.
È quello che succede quando si rinuncia a difendere i princìpi non negoziabili, in primis la vita. Chi afferma, anche tra i cattolici, che tutti i valori sono uguali e che non bisogna fissarsi sul diritto alla vita, se non ha ancora capito dopo la legge sull’aborto, quella sulla fecondazione assistita e l’ultima sulle unioni civili, dovrebbe almeno riflettere sulle motivazioni dei Pm che vogliono archiviare la posizione di Cappato. I princìpi non negoziabili non sono valori su cui una parte di cattolici sono ossessionati; sono invece il fondamento della società, di ogni società. Se si intaccano questi princìpi tutto l’edificio viene giù. Ed è quello che sta accadendo in Occidente.
Se il diritto alla vita non è assoluto, è giocoforza che a decidere della dignità della vita di ciascuno sia il potere, che abbia la forma dello Stato o meno. E infatti si allarga sempre più la fascia di popolazione che rientra tra le vite indegne: si è cominciato con i bambini appena concepiti, si è andati avanti con gli embrioni scartati nei procedimenti di fecondazione artificiale, ora si procede con l’eutanasia: prima con i malati terminali, poi si allargherà per comprendere tutta quella fascia improduttiva di popolazione che in una società sempre più vecchia e in crisi economica, diventa un fardello insostenibile.
La dignità citata dai pubblici ministeri (Pm) infatti fa esplicito riferimento alle condizioni di sofferenza dovute a malattie non necessariamente terminali: il malato o chi per lui, in prima istanza, è chiamato a decidere se quella vita sia degna o meno; in realtà sappiamo benissimo dall’esperienza di altri paesi che a decidere quando una vita sia degna è poi inevitabile che sia il potere.
È quello che succede quando si rinuncia a difendere i princìpi non negoziabili, in primis la vita. Chi afferma, anche tra i cattolici, che tutti i valori sono uguali e che non bisogna fissarsi sul diritto alla vita, se non ha ancora capito dopo la legge sull’aborto, quella sulla fecondazione assistita e l’ultima sulle unioni civili, dovrebbe almeno riflettere sulle motivazioni dei Pm che vogliono archiviare la posizione di Cappato. I princìpi non negoziabili non sono valori su cui una parte di cattolici sono ossessionati; sono invece il fondamento della società, di ogni società. Se si intaccano questi princìpi tutto l’edificio viene giù. Ed è quello che sta accadendo in Occidente.
Se il diritto alla vita non è assoluto, è giocoforza che a decidere della dignità della vita di ciascuno sia il potere, che abbia la forma dello Stato o meno. E infatti si allarga sempre più la fascia di popolazione che rientra tra le vite indegne: si è cominciato con i bambini appena concepiti, si è andati avanti con gli embrioni scartati nei procedimenti di fecondazione artificiale, ora si procede con l’eutanasia: prima con i malati terminali, poi si allargherà per comprendere tutta quella fascia improduttiva di popolazione che in una società sempre più vecchia e in crisi economica, diventa un fardello insostenibile.
A proposito di eutanasia, se si lasciano passare così le motivazioni dei Pm, avremmo una giustizia che è già andata molto più avanti della legge sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) attualmente in discussione in Parlamento. Si tratterebbe di un precedente cui potranno richiamarsi altri giudici per forzare, come da copione, la legge sulle Dat, qualsiasi sia il testo che verrà approvato.
Al riguardo si può notare che siamo di fronte alla solita battaglia dei radicali - quelli che qualche prelato incensa – che, quando è in discussione una legge che riguarda le loro campagne per i diritti (in)civili, alzano il tiro con qualche caso clamoroso. In questo caso ne ha fatto le spese Dj Fabo, ma il gioco di Cappato ha avuto ancora una volta successo. Potendo contare su magistrati fiancheggiatori, Cappato ottiene un pronunciamento giudiziario che con il suicidio assistito sdogana anche l’eutanasia.
La vicenda però dimostra anche qual è la vera ratio della legge sulle Dat: checché ne dicano i cattolici avveniristici, qualsiasi legge sulle Dat (anche fosse più restrittiva di quella attualmente in discussione) rappresenta una porta aperta sull’eutanasia. È solo questione di tempo. Cappato e i Pm di Milano hanno solo dato un’accelerazione.
La vicenda però dimostra anche qual è la vera ratio della legge sulle Dat: checché ne dicano i cattolici avveniristici, qualsiasi legge sulle Dat (anche fosse più restrittiva di quella attualmente in discussione) rappresenta una porta aperta sull’eutanasia. È solo questione di tempo. Cappato e i Pm di Milano hanno solo dato un’accelerazione.
04-05-2017
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