Il papa almeno è sincero si dichiara modernista. Cosa vuol dire rileggere il Vangelo alla luce della cultura contemporanea: il veleno modernista è ormai penetrato così a fondo nelle nostre coscienze da toglierci ogni raziocinio
di Francesco Lamendola
Nel corso della conversazione con il gesuita Antonio Spadaro, direttore della rivista La civiltà cattolica, da cui è stato poi tratto il libro: Papa Francesco, La mia porta è sempre aperta (Milano, Rizzoli Editore, 2013), il neoeletto Bergoglio, invitato a esprimere il suo giudizio sul significato del Concilio Vaticano II per la storia della Chiesa, testualmente ha affermato (op cit., p. 68):
Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata proposta dal Concilio è assolutamente irreversibile. Poi ci sono questioni particolari come la liturgia secondo il “Vetus Ordo”. Penso che la scelta di Papa Benedetto [allusione alla lettera apostolica “Summorum pontificum” pubblicata in forma di “motu proprio” il 7 luglio 2007; nota nostra] sia stata prudenziale, legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa particolar sensibilità. Considero invece preoccupante il rischio di ideologizzazione del “Vetus Ordo”, la sua strumentalizzazione.
Prendiamo buona nota di questa affermazione: Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea.Se questa frase non ci fa saltare letteralmente sulla sedia, se non ha provocato alcuna reazione nella Chiesa e nel mondo cattolico, ciò si deve unicamente al fatto che il veleno modernista è ormai penetrato così a fondo nelle nostre coscienze, da toglierci, alla lettera, la facoltà del raziocinio.
Infatti, è una dichiarazione di fede modernista, al cento per cento: è l’essenza dell’eresia modernista. Già: perché – qualcuno se n’è forse dimenticato – il modernismo è un’eresia, per la quale san Pio X aveva stabilito, senz’altro, la pena della scomunica. Sembra quasi un concetto innocuo, perfino naturale: una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea; invece è un attacco diretto alla dottrina cattolica e alla divina Rivelazione, da essa custodita (ma Bergoglio ci crede, che lo scopo della Chiesa cattolica è quello di preservare la divina Rivelazione, così come essa realmente è, ossia come fu accolta nella Scrittura e nella Tradizione?). La cultura moderna – e, a maggior ragione, la cultura contemporanea – è, per sua essenza, irreligiosa e anticristiana, ispirata al materialismo, allo scientismo, al relativismo, all’edonismo: rileggere il Vangelo alla luce di essa, equivale a stravolgerlo, a falsarlo, a invertirne il significato. Non solo. Per un cattolico, il Vangelo non è la sola fonte della Rivelazione: ci sono anche gli altri libri della Bibbia, e c’è tutto l’Antico Testamento, oltre al Nuovo; inoltre, c’è la sacra Tradizione, ossia la trasmissione orale – ma non meno certa, né meno valida - della Verità divina.
E poi, cosa vuol dire “rileggere” il Vangelo? Sì, lo sappiamo: questo è un concetto molto caro al Concilio Vaticano II; e, dal Concilio in poi, tanto diffuso, tanto frequente, che ormai lo diamo per scontato. Ma proviamo a riflettere con un minimo di attenzione: che significa, rileggere il Vangelo? Significa, per caso, reinterpretarlo? In tal caso, significa che la nuova interpretazione del Vangelo è più autentica, più attendibile, insomma più vera, di quella precedente? Se così fosse, ne deriverebbero due cose, entrambe inaccettabili ed eretiche: primo, che la Chiesa cattolica, per duemila anni, ha sbagliato nel leggere il Vangelo, non ha saputo comprenderlo, ne ha dato una interpretazione riduttiva, insufficiente, fuorviante, con gravissimo danno per le anime; secondo, che è possibile, di tempo in tempo, e, necessariamente, di soggetto in soggetto, “rileggere” radicalmente l’interpretazione del Vangelo: il che è precisamente il nocciolo della dottrina luterana, eretica e scismatica. C’è poco da giocare con le parole: rileggere vuol dire più o meno tutto questo.
Poi, sempre parlando del Concilio, il papa dichiara che esso ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo, ricadendo nella stessa aporia. Se il Concilio ha prodotto un rinnovamento, ciò significa che ha cambiato la Chiesa; ma il Vangelo non cambia, né può cambiare, il Vangelo è sempre e solo il Vangelo, cioè Parola di Dio, incorruttibile ed eterna; e allora, come si può dire che il Concilio ha cambiato la Chiesa muovendo dallo stesso Vangelo? È un concetto ellittico e contraddittorio.
Quindi soggiunge, sciaguratamente: I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Di tutti gli aspetti di sedicente “innovazione” attuarti dal Concilio, non avrebbe potuto citarne uno più sbagliato, più disastroso, più “divisivo” (lui che ama questa parola) della cosiddetta riforma liturgica. Chi non sa che essa è stata sostanzialmente opera di monsignor Annibale Bugnini, un arcivescovo massone che prese in giro Paolo VI, assicurandogli che erano già stati approvati in sede di commissione liturgica tutti quei documenti che, invece, alla commissione liturgica diceva essere stati già approvati dal papa? E che Bugnini fosse iscritto alla Massoneria, non in senso figurato, ma nel senso più concreto, non è affatto una malevola illazione della stampa scandalistica: il suo nome figurava nella cosiddetta lista Pecorelli, con la data d’iniziazione, il 23 aprile 1963 (dunque, in pieno svolgimento del Concilio), con il numero di codice 1365/75 e pure con il nome in codice: BUAN. Lo scandalo che seguì a queste rivelazioni fu talmente grave che Paolo VI, il 4 gennaio 1976, sollevò il cardinale da tutti i suoi incarichi presso la Curia romana e lo spedì il più lontano possibile, in Iran, in qualità di nunzio apostolico: praticamente, una condanna all’esilio. E c’è di più: Bugnini chiese ripetutamente udienza al papa per tentar di spiegare e di chiare la sua posizione, ma Paolo VI non volle mai riceverlo, e, alla fine, il discusso porporato dovette partire, obtorto collo, per l’Iran, alla vigilia della rivoluzione islamica khomeinista; sarebbe rientrato in Italia solo per morire, in una clinica di Roma, il 3 luglio del 1982. Misteriosa anche la sua morte: era stato ricoverato per un intervento chirurgico di poco conto, una semplice ernia, evidentemente non troppo pericolosa se, per quello stesso giorno, era stata prevista la sua dimissione dall’ospedale. L’autore anonimo del libro Via col vento in Vaticano – oggi sappiamo che era il protonotario apostolico Luigi Marinelli - pubblicato, suscitando un enorme vespaio mediatico, nel 1999 - ipotizza che Bugnini possa essere stato assassinato.
Comunque, tornando alle parole di Bergoglio, colpisce la definizione della riforma liturgica come rilettura del Vangelo (concetto già espresso, e abbiamo visto quanto poco ortodosso) e servizio al popolo: una espressione veramente curiosa. Un tempo, le riforme ecclesiastiche, per esempio quelle volute da san Pio X in ambito curiale, o nei seminari, o nella musica sacra (a torto lo si è fatto passare per un papa conservatore) si facevano a maggior gloria di Dio; ora scopriamo che si fanno come servizio al popolo. Evidentemente, la Chiesa si è trasformata in una repubblica democratica (o demagogica) mirante alle comodità dei cittadini, più che alla obsoleta e noiosa nozione di Verità. E il fatto di calcare ulteriormente il concetto (ma ce n’era bisogno?), affermando che la “rilettura” del Vangelo è partita da una situazione storica concreta, è un’aperta professione di storicismo: cioè, ancora, di modernismo. Lo storicismo consiste nell’assolutizzazione del valore della storia: essa si giustifica da sé, il suo divenire è una forza irresistibile e indiscutibile. Ma non è la visione della storia che appartiene alla cultura cattolica, per il semplice fatto che, per questa, la storia umana non è altro che la storia della Salvezza, e quindi essa è subordinata, dal principio alla fine, dalla creazione al Giudizio universale, alla potestà divina. Pertanto la storia non può avere in sé il proprio significato: se così fosse, allora la storia si spiegherebbe da sola, e non ci sarebbe bisogno neppure dell’ipotesi Dio, tanto meno della sua certezza. Ora, la storia non è assoluta, ma relativa, perché il padrone della storia è Dio e, al di sopra della storia umana, c’è il piano divino, così come la dimensione naturale è sovrastata (e spiegata) da quella soprannaturale. Ne consegue che la Chiesa non deve affrettarsi ad adattare se stessa, di volta in volta, alle situazioni storiche concrete, perché ogni situazione storica è concreta (questo è un concetto lapalissiano!; quale situazione storica è teorica?), ma sono le scelte di vita del cristiano che piegano a sé le situazioni storiche, così come lo spirito domina la materia, e l’assoluto domina il relativo. A non crederci, sono i marxisti.
Poi, il colpo di scure: Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata proposta dal Concilio è assolutamente irreversibile. Tradotto: da qui non si torna indietro. È il tipico modo di esprimersi e di ragionare dei progressisti: essi sono all’avanguardia, perché capiscono meglio degli altri cosa sia la verità; perciò la loro missione consiste nel creare il fatto compiuto, dal quale sia impossibile tornare indietro. Sono talmente sicuri di sé da non contemplare la possibilità di sbagliarsi, né che altri ritengano di dover percorrere altre strade: ciò che essi fanno e decidono, è articolo di fede, diventa dogma. Ed ecco che la repubblica ultrademocratica, basata sull’idea di servizio al popolo, lascia cadere la maschera e ridiventa una monarchia assoluta, anzi, una tirannide: ciò che viene deciso al vertice è sacro e intoccabile, qualunque discussione in merito sarebbe un atto di lesa maestà. Questa è, si badi, la loro missione storica: perché, avendo assolutizzato la storia, sono quasi costretti, dalla logica stessa della loro prospettiva, ad assolutizzare anche se stessi. Curiosa inversione di prospettiva: erano partiti dallo storicismo, come relatività del vero, e approdano al dogmatismo: ciò che loro decidono essere vero, non può più essere neanche discusso, meno ancora – eventualmente - cambiato. In altre parole, essi decidono per tutti, anche per le generazioni future; e non stiamo parlando di noccioline, ma della divina Rivelazione, vale a dire, in ultima analisi, della salvezza delle anime. In tal modo, essi si pongono in contraddizione con se stessi: se il dato storico è sempre relativo, allora anche l’aggiornamento teologico, dottrinale, pastorale e liturgico dovrà essere continuo e incessante: e allora, come si fa a “fissarlo” una volta per tutte? Oppure sarà lecito, ai teologi, ai cardinali e ai papi che verranno fra cento anni – se ve ne saranno ancora – disfare quel che la riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha deciso di modificare, pardon, di “rileggere”, e non quella soltanto?
Il papa, almeno, è sincero: si dichiara modernista
di Francesco Lamendola
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