Le eco-avventure di «fratel» Enzo Bianchi
La dottrina cattolica è letteralmente andata a funghi. Lo scenario sono i boschi del biellese, nella piccola frazione del comune di Magnano chiamata Bose, dove dal 1965 ha sede la «comunità monastica» fondata da «fratel» Enzo Bianchi. Il quale, di monastico, ha una lunga veste nera tipo Neo nel film Matrix e poco altro: non è un consacrato e, anzi, esortato due volte a prendere i voti ha preferito «restare un semplice cristiano» (evidentemente i sacerdoti sono cristiani complicati).
Sul suo profilo Twitter l’ex «priore» ha superato ogni soglia del «cattolicamente corretto»: ha postato una foto che lo ritrae abbracciato a una quercia tricentenaria, che «ogni anno mi dona ovuli buoni».
Sul suo profilo Twitter l’ex «priore» ha superato ogni soglia del «cattolicamente corretto»: ha postato una foto che lo ritrae abbracciato a una quercia tricentenaria, che «ogni anno mi dona ovuli buoni».
Chissà che quei funghetti non contengano qualche neurotossina, che lentamente ha condotto la mente di «fratel» Enzo a realizzare la profezia di Giorgio Gaber in Il potere dei più buoni: «In questi tempi così immorali / io penso agli habitat naturali / penso alla cosa più importante / che è abbracciare le piante».
È la rivoluzione ecologista e panteista che ormai dilaga nella Chiesa Cattolica, incoraggiata dall’invenzione dei «peccati contro il creato» da parte di Papa Francesco, con la sua enciclica Laudato si’. Ed era destino che l’Al Gore del Vaticano finisse con il far proiettare, in occasione della cerimonia di chiusura del Giubileo della Misericordia, l’8 dicembre 2015, le immagini di scimmie e primati sulla facciata della Basilica di San Pietro. Dall’Immacolata Concezione alla darwiniana evoluzione. Con il generoso patrocinio della Banca Mondiale.
Ma Enzo Bianchi non è un caso isolato e forse non ha neppure la piena responsabilità delle sue fantasie teologiche (per non chiamarle eresie): in fondo, dopo qualche richiamo dei vescovi locali negli anni Settanta, a causa del carattere interconfessionale della comunità di Bose, non solo non ha ricevuto reprimende, ma è ammirato, incensato e onorato con importanti incarichi ufficiali. Addirittura, il mese scorso Stefano Filippi su Il Giornale rivelava come il Papa avesse accarezzato l’ipotesi di crearlo cardinale laico (nomina poi saltata nel concistoro di giugno).
Eppure la lista delle sue bizzarre sortite è praticamente infinita.
Qualche problema ce l’ha in particolare con il tema del peccato originale. Come ricordò Sandro Magister nel 2012, «fratel» Bianchi così si esprimeva in un libro del 1995 edito dai tipi del «monastero» di Bose: «Il peccato originale non consiste in un atto di Adamo ed Eva che ha causato la rovina di tutti noi, bensì nel fatto che ciascuno di noi, venendo alla vita, scopre che il male è già presente sulla scena della vita, nei suoi rapporti con le cose e con gli altri». Un po’ come per uno Schopenhauer qualsiasi: il male mica è opera del demonio, è solo che la vita è complicata. E quello della Genesi, sempre secondo l’illustre teologo, è solo un «mito», mentre «nessuna Chiesa cristiana vede nella storia di Adamo ed Eva il motore di un meccanismo perverso per cui il peccato si eredita senza colpa alcuna». Nasciamo immacolati come la Madonna, poi ci perdiamo per strada perché il mondo fa schifo.
A proposito della Madonna: guai a considerarla un valido esempio. I rimasugli della Chiesa patriarcale, purtroppo, diffondono della donna «immagini irreali: il modello di Maria, vergine e madre», a parere di Enzo Bianchi «non può essere il riferimento per una promozione della donna nella Chiesa. […] Il cammino per la Chiesa è ancora lunghissimo, perché ovunque ci sia un esercizio di comando restano gli uomini, mentre le donne sono confinate al servizio umile». La Madonna, dunque, non è altro che un grimaldello nelle mani dei preti maschilisti: troppo obbediente, troppo mansueta, magari troppo succube della fallocrazia.
Il «monaco laico» ha avuto modo di prendersela pure con i monaci stessi. In un’intervista a Repubblica del settembre 2015, Bianchi criticò il cristianesimo divenuto religione di Stato nell’impero di Teodosio, poiché reo di aver «distrutto i templi pagani, fatto scempio di opere d’arte» quasi come l’Isis, anzi, pure peggio; e definì i monaci del tempo «integralisti violenti, i talebani del momento». La logica conclusione del ragionamento era dunque che, in riferimento ai massacri e alle distruzioni dello Stato Islamico, «altri rifanno a noi quello che abbiamo fatto».
E se per Bianchi l’Islam è «una religione di pace e mitezza con una mistica di forza pari a quella cristiana», i passi del Corano che incitano alla violenza «non sono molto diversi da quelli che troviamo nella Bibbia e che ci fanno inorridire». Perché un buon cattolico, quando ascolta la Parola di Dio, deve provare orrore.
Naturalmente, «fratel» Enzo è anche un sostenitore della linea immigrazionista cara al pontefice e alla frangia della Conferenza episcopale italiana capitanata da monsignor Nunzio Galantino. Sempre nell’intervista di due anni fa, Bianchi si lasciava andare a una serie di dichiarazioni contro i membri della Chiesa vicini a Benedetto XVI che, tra le altre cose, rivelano come il papato di Francesco abbia avuto l’effetto di una specie di «tana libera tutti» per i progressisti furenti che a lungo aveva covato tanto rancore. Per Bianchi in Italia aleggiava un «rifiuto confessionale» all’accoglienza dei migranti, alimentato dal cardinale Biffi e dal vescovo Maggiolini, ma il l’ostacolo principale restava «la vera e propria fabbrica di paura dei barbari, edificata da forze politiche attente solo all’interesse locale, forze che prima di Francesco la Chiesa italiana ha assecondato, anche se all’inizio sembravano assumere riti pagani, precristiani, quelli sì barbarici». In sintesi: se il cristianesimo dei primi secoli combatteva il paganesimo era un credo fondamentalista e talebano, ma se la Chiesa «asseconda» la Lega Nord, all’improvviso le carnevalate di Umberto Bossi che sorseggiava l’acqua del Po diventano pericolosi rituali pagani e barbarici.
Ecco il prodotto finale del Concilio Vaticano II come forza di rottura rispetto alla Tradizione: un bislacco «martirologio» in cui Enzo Bianchi riversa personaggi tra loro completamente diversi, da Buddha a Gandhi a Girolamo Savonarola, accomunati da un unico requisito fondamentale: non essere cattolici ortodossi. La grottesca immagine con la quercia postata su Twitter, in fin dei conti, è solo l’estremo approdo di una degenerazione teologica che nel caso di Bianchi affonda le sue radici in decenni di assurde sperimentazioni liturgiche, di ambigue posizioni etiche sostenute sul filo di sottili distinzioni tra eutanasia ed accanimento terapeutico, di universalismo umanista e nebuloso ecumenismo, i quali finalmente hanno mostrato a «fratel» Enzo Bianchi la madre di tutte le verità: cioè che, sempre con Gaber, la cosa più importante è abbracciare le piante.
Ma Enzo Bianchi non è un caso isolato e forse non ha neppure la piena responsabilità delle sue fantasie teologiche (per non chiamarle eresie): in fondo, dopo qualche richiamo dei vescovi locali negli anni Settanta, a causa del carattere interconfessionale della comunità di Bose, non solo non ha ricevuto reprimende, ma è ammirato, incensato e onorato con importanti incarichi ufficiali. Addirittura, il mese scorso Stefano Filippi su Il Giornale rivelava come il Papa avesse accarezzato l’ipotesi di crearlo cardinale laico (nomina poi saltata nel concistoro di giugno).
Eppure la lista delle sue bizzarre sortite è praticamente infinita.
Qualche problema ce l’ha in particolare con il tema del peccato originale. Come ricordò Sandro Magister nel 2012, «fratel» Bianchi così si esprimeva in un libro del 1995 edito dai tipi del «monastero» di Bose: «Il peccato originale non consiste in un atto di Adamo ed Eva che ha causato la rovina di tutti noi, bensì nel fatto che ciascuno di noi, venendo alla vita, scopre che il male è già presente sulla scena della vita, nei suoi rapporti con le cose e con gli altri». Un po’ come per uno Schopenhauer qualsiasi: il male mica è opera del demonio, è solo che la vita è complicata. E quello della Genesi, sempre secondo l’illustre teologo, è solo un «mito», mentre «nessuna Chiesa cristiana vede nella storia di Adamo ed Eva il motore di un meccanismo perverso per cui il peccato si eredita senza colpa alcuna». Nasciamo immacolati come la Madonna, poi ci perdiamo per strada perché il mondo fa schifo.
A proposito della Madonna: guai a considerarla un valido esempio. I rimasugli della Chiesa patriarcale, purtroppo, diffondono della donna «immagini irreali: il modello di Maria, vergine e madre», a parere di Enzo Bianchi «non può essere il riferimento per una promozione della donna nella Chiesa. […] Il cammino per la Chiesa è ancora lunghissimo, perché ovunque ci sia un esercizio di comando restano gli uomini, mentre le donne sono confinate al servizio umile». La Madonna, dunque, non è altro che un grimaldello nelle mani dei preti maschilisti: troppo obbediente, troppo mansueta, magari troppo succube della fallocrazia.
Il «monaco laico» ha avuto modo di prendersela pure con i monaci stessi. In un’intervista a Repubblica del settembre 2015, Bianchi criticò il cristianesimo divenuto religione di Stato nell’impero di Teodosio, poiché reo di aver «distrutto i templi pagani, fatto scempio di opere d’arte» quasi come l’Isis, anzi, pure peggio; e definì i monaci del tempo «integralisti violenti, i talebani del momento». La logica conclusione del ragionamento era dunque che, in riferimento ai massacri e alle distruzioni dello Stato Islamico, «altri rifanno a noi quello che abbiamo fatto».
E se per Bianchi l’Islam è «una religione di pace e mitezza con una mistica di forza pari a quella cristiana», i passi del Corano che incitano alla violenza «non sono molto diversi da quelli che troviamo nella Bibbia e che ci fanno inorridire». Perché un buon cattolico, quando ascolta la Parola di Dio, deve provare orrore.
Naturalmente, «fratel» Enzo è anche un sostenitore della linea immigrazionista cara al pontefice e alla frangia della Conferenza episcopale italiana capitanata da monsignor Nunzio Galantino. Sempre nell’intervista di due anni fa, Bianchi si lasciava andare a una serie di dichiarazioni contro i membri della Chiesa vicini a Benedetto XVI che, tra le altre cose, rivelano come il papato di Francesco abbia avuto l’effetto di una specie di «tana libera tutti» per i progressisti furenti che a lungo aveva covato tanto rancore. Per Bianchi in Italia aleggiava un «rifiuto confessionale» all’accoglienza dei migranti, alimentato dal cardinale Biffi e dal vescovo Maggiolini, ma il l’ostacolo principale restava «la vera e propria fabbrica di paura dei barbari, edificata da forze politiche attente solo all’interesse locale, forze che prima di Francesco la Chiesa italiana ha assecondato, anche se all’inizio sembravano assumere riti pagani, precristiani, quelli sì barbarici». In sintesi: se il cristianesimo dei primi secoli combatteva il paganesimo era un credo fondamentalista e talebano, ma se la Chiesa «asseconda» la Lega Nord, all’improvviso le carnevalate di Umberto Bossi che sorseggiava l’acqua del Po diventano pericolosi rituali pagani e barbarici.
Ecco il prodotto finale del Concilio Vaticano II come forza di rottura rispetto alla Tradizione: un bislacco «martirologio» in cui Enzo Bianchi riversa personaggi tra loro completamente diversi, da Buddha a Gandhi a Girolamo Savonarola, accomunati da un unico requisito fondamentale: non essere cattolici ortodossi. La grottesca immagine con la quercia postata su Twitter, in fin dei conti, è solo l’estremo approdo di una degenerazione teologica che nel caso di Bianchi affonda le sue radici in decenni di assurde sperimentazioni liturgiche, di ambigue posizioni etiche sostenute sul filo di sottili distinzioni tra eutanasia ed accanimento terapeutico, di universalismo umanista e nebuloso ecumenismo, i quali finalmente hanno mostrato a «fratel» Enzo Bianchi la madre di tutte le verità: cioè che, sempre con Gaber, la cosa più importante è abbracciare le piante.
di Alessandro Rico
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