ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 12 ottobre 2017

E’ un’oscurità temporanea,o una lunga notte dell’anima?

La mia vita da teologo a esorcista



La Tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria logica di tuttala sua vicenda storica come un’incarnazione continua del Verbo attraverso molti per tutti e per tutto


Per capire anche culturalmente e vivere un presente di fede e quindi una speranza affidabile per il futuro è necessario in questo momento rifarsi al Concilio Vaticano II e al post-concilio. E io vi offro il mio piccolo contributo nell’attuale momento drammatico di frattura tra Vangelo e cultura, di persecuzione del cristianesimo.
La scelta che mi ha dato l’orizzonte teologico del mio ministero è avvenuta nel 1963. Il venerabile Giuseppe Carraro mi ha mandato per la licenza in teologia alla Facoltà Pontificia allora di Venegono Inferiore. Da un anno era iniziato Il Concilio con l’approvazione del primo dei sedici documenti, la Sacrosanctum Concilium sulla riforma liturgica e quindi partendo dal Dio che ha assunto un volto umano e che risorto si fa sacramentalmente presente e operante attraverso la liturgia della Chiesa, fonte e culmine di tutta l’attività pastorale, caritativa. Io avevo animato nella sala san Zeno dell’Azione Cattolica in Via Seminario un nutrito gruppo per la riforma liturgica alla luce del libro di Vagaggini Senso teologico della liturgia. Carraro mi raccontò l’accoglienza generale del documento e che quasi tutti i Padri l’avevano approvato dando un buon avvio teologico-magisteriale al Concilio verso il quale generale era e anche in me un’attesa straordinaria come una nuova Pentecoste storica a cominciare proprio dalla riforma liturgica che il movimento liturgico, Pio XII con la Mediator Dei avevano portato avanti. Era nato in me il desiderio di andare alla Facoltà benedettina di sant’Anselmo a Roma spinto dal benedettino Pelagio Vesentin. Ma Carraro aveva notato al Concilio il manifestarsi dell’azione predominante del gruppo renano di vescovi, che anche oggi, capitanato da Kasper, riemerge con Papa Francesco, in rapporto alla teologia romana nella contrapposizione espressa anche da un libro L’Eglise est institution ou avveniment? 

La teologia romana (Filosofia tomista dell’essere, dogmatica) e qui a Verona con l’insegnante di dogmatica Mons. Sennen Corrà evidente era l’accentuazione istituzionale e quindi contro la Theologie nouvelle, Henrie de Lubac, mentre il gruppo renano accentuava l’avvenimento, filosofia ermeneutica e biblicamente analisi storico-critica, creatività pastorale nello Spirito Santo di fronte alla presunta astrattezza, rigidità dogmatica. Paolo VI che era stato arcivescovo di Milano e conosceva nella Facoltà di Venegono il tentativo di un connubio cattolico dell’e-e di istituzione e avvenimento, di filosofia tomista dell’essere in rapporto alla filosofia moderna, di ermeneutica biblica e dogmatica, e attraverso soprattutto il preside il teologo mons. Carlo Colombo favorì un dialogo fecondo tra la posizione renana e romana che nei documenti del Concilio è evidente, diversamente dal cosiddetto spirito del Concilio che ne assolutizza o l’una o l’altra. Carraro fin dall’inizio del Concilio, con il suo Cristocentrismo liturgico – esistenziale si inserì in questa mediazione fino al contributo nella Commissione che portò all’Optatam totius per la riforma dei seminari e degli studi teologici in modo Cristocentrico. E a Verona cominciò subito con lo Studio teologico San Zeno con il piano degli studi Cristocentrico attraverso il momento biblico, patristico, dogmatico, liturgico, giuridico, pastorale-ecumenico, dove il dogmatico faceva da regia.
Alla conclusione del Concilio l’8 dicembre 1965, con al mattino l’approvazione affrettata della Gaudium et spes e la concelebrazione con alla destra di Paolo VI la significativa presenza di Henrie de Lubac. Carraro ritornò a casa alla sera. Pur frequentando la Facoltà ero curato a Santa Maria in Organo e mi chiamò entusiasta dei sedici documenti, soprattutto della Lumen gentium con Maria, Madre della Chiesa. Un po’ meno per la Gaudium et spes per la dialettica antroprocentrica dei primi otto capitoli sfociata nel documento base catechetico nel post-concilio.
“Don Gino, Domenica dobbiamo presentare tutti e sedici documenti e tu preparati, con l’aiuto di mons. Colombo, a fare un brevissimo commento di ognuno.”. Feci notare il rischio di fronte agli insegnanti di teologia, ai canonici che allora erano come il consiglio Presbiterale. “Non aver paura, è un momento meraviglioso, dobbiamo ringiovanire”. Alla Domenica l’Azione Cattolica, la Spal e tutte le realtà diocesane avevano riempito la Cattedrale. Il Vescovo è stato eccezionale, il clima straordinario, l’entusiasmo al settimo cielo.
A Natale mi invita a pranzo dopo la Messa di mezzogiorno. E lì mi manifesta, accanto a tutta la positività, le forti critiche suscitate soprattutto dai miei commenti e l’opportunità di inviarmi già dalla sera Rettore al Santuario della Madonna della Corona. A settembre il Rettore don Fantoni aveva fatto un infarto e il santuario, la canonica erano rimasti quasi chiusi.
Nel 1966 nello Studio teologico era scoppiata la prima polemica tra il dogmatico Padre Bonetti e il biblista Padre Fedrizi sull’interpretazione della Dei Verbum: alla prima stesura della Dei Verbum vi aveva contribuito Rahner ed era stata bocciata (anche se dopo il Concilio fu ripresa), la seconda non aveva raggiunto il quorum, alla terza con il contributo di Ratzinger, soprattutto il n. 12) fu approvata alla fine di novembre del 1965. “Don Gino va dal tuo don Carlo a Venegono e chiedigli lumi”. Andai: “Don Gino c’è qui il prof. Ratzinger”. Ebbi il dono di un colloquio di due ore con una stupenda interpretazione alla luce dei testi conciliari: Non ritenere che la Rivelazione sia come un meteorite caduto nel libro per cui ai biblisti spetti non solo l’analisi storico-critica dei testi ma anche l’interpretazione che deve essere unitaria e teologica. Il 18 novembre 1965 il Concilio Ecumenico Vaticano II approvò la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, che costituisce una delle colonne portanti dell’intero edificio conciliare. Questo documento tratta della Rivelazione e della sua trasmissione, dell’ispirazione e della interpretazione della Sacra Scrittura e della sua fondamentale importanza nella vita della Chiesa. Raccogliendo i frutti del rinnovamento teologico precedente, il Vaticano II pone al centro Cristo, presentandolo quale “il mediatore e insieme la pienezza di tutta la Rivelazione” (2). Infatti il Signore Gesù, Verbo fatto carne, morto e risorto, asceso al cielo e continuità sacramentale dell’incarnazione, ha portato a compimento l’opera della salvezza, fatta di gesti e parole, e ha manifestato il volto e la volontà di Dio nella sua essenza trinitaria di Padre, Figlio, Spirito Santo, così che fino al suo ritorno glorioso non è da aspettarsi alcuna rivelazione pubblica (n. 3). Gli apostoli e i loro successori, i Vescovi, sono i depositari del messaggio che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, perché fosse trasmesso integro a tutte le generazioni. La Sacra Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento o Alleanza cioè storia di amore di Dio per l’umanità e la Sacra Tradizione, tutte e due sotto l’azione guida dello Spirito santo, contengono tale messaggio che Cristo ha affidato alla Chiesa. La Rivelazione non è come un meteorite fissato in un libro ma dato a un popolo con un libro ispirato e che ispira. Questa stessa Tradizione fa conoscere il canone integrale dei Libri sacri, ispirati e li rende rettamente comprensibili e operanti, così Dio che ha parlato ai patriarchi e ai profeti, non cessa di parlare alla Chiesa e per mezzo di questa, al mondo (n. 8). Lo Spirito aiuta ogni cristiano nell’ascolto ecclesiale della Parola di Dio e arriva cogliere le verità divine proposte dalla Chiesa, il patrimonio di fede per una via ordinaria, che è la vita della stessa comunità. La condizione è che essa sia veramente ecclesiale, cioè unita al vescovo, che si suppone a sua volta unito al vescovo di Roma, il Papa.
Se il magistero ordinario e straordinario è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, la comunicazione più grande del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità dinamica, logica cioè umana, mai contraddittoria. Si chiama Tradizione. La Tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria logica di tuttala sua vicenda storica come un’incarnazione continua del Verbo attraverso molti per tutti e per tutto. Papa e vescovi per essere vincolanti devono sempre rimanere fedeli alle parole del Vangelo e alla costante tradizione e insegnamento della Chiesa. La Chiesa non vive di se stessa ma del Vangelo e dal Vangelo sempre trae orientamento per il suo cammino. La costituzione conciliare Dei Verbum, con il contributo dell’Esortazione post-sinodale Verbum Domini, ha impresso un forte impulso alla valorizzazione della Parola di Dio cioè Dio che come ha parlato allora parla oggi continuando l’incarnazione del Verbo, da cui è derivato un profondo rinnovamento della vita e della missione della Comunità ecclesiale, soprattutto nella predicazione, nella meditazione personale, nella catechesi, nella teologia, nella spiritualità e nelle relazioni ecumeniche. E’ infatti la Parola di Dio, per l’azione continua dello Spirito Santo, guida i credenti verso la pienezza della verità (Gv 16,13). Nell’esperienza di 15 anni di esorcista posso documentare la forza di liberazione della Parola di Dio. Esegesi scientifica e lectio divina sono dunque entrambe necessarie e complementari per ricercare, attraverso il significato letterale, quello spirituale, che Dio vuole comunicare a noi oggi. E’ stato per me un dono, una conversione quell’incontro. Con questo orizzonte filosofico – teologico, con al centro la fonte liturgico – sacramentale – pastorale- ecumenico- caritativa si è sviluppato il piano Cristocentrico di studi dello Studio teologico san Zeno alla luce dell’Optatam totius. Nel 1969 con più di quattrocento chierici, 40 professori e 150 alla scuola di Teologia per laici e religiosi è venuto il card. Garronne, allora Prefetto della Congregazione dei Seminari, invitando i professori a Roma con i membri della Congregazione e approvando con massima cum laude la Ratio, il piano di studi e facendola pubblicare su Seminarium per tutti i Seminari.
L’uscita del Documento di base per la catechesi con una accentuazione antropocentrica, rifacendosi ai primi otto capitoli della Gaudium et spes e proibendo a Verona l’uso del Catechismo di san Pio X, ha creato parecchi problemi, affrontati nel Sinodo del 1974 sull’Evangelizzazione nel mondo contemporaneo, con la relazione introduttiva e conclusiva del card. Vojtyla partendo, nella dialettica partire dall’uomo o partire da Dio, da Cristo che rivela contemporaneamente chi è Dio e chi è ogni uomo che Dio ama fino al perdono; la fede pienamente accolta, vissuta nell’amore e pensata diviene continuamente cultura cristiana in dialogo con tutte le culture mantenendo la propria identità, anche nell’attuale drammatica frattura tra Vangelo e cultura. Ne è uscito con Paolo VI l’8 dicembre del 1975 l’interpretazione cristocentrica del Concilio con l’Evangelii nuntiandi, preparando con Giovanni Paolo I nel 1968 il nuovo Documento base la Catechesi tradendae. Incontrando nel 1974 in piazza san Pietro il card. Ratzinger e ripetendo le difficoltà già dette nel 1966 per Verona: “Continuo a ripetere al Santo Padre l’urgenza di un Sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa perché la Dei Verbum non è ancora entrata nella coscienza comune”. Divenuto Papa Benedetto XVI ha svolto questo Sinodo con la splendida Esortazione post-sinodale Verbum Domini che completa il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 e il Compendio del 2005. Gli strumenti ci sono tutti per la Nuova Evangelizzazione e non possono essere disattesi né dal papa, né dai vescovi, né dalla comunità.
Di fronte alla drammatica frattura fra Vangelo e Cultura Carraro mi ha fatto avviare nel 1976 il Centro Giuseppe Toniolo di fronte al cammino verso l’incredulità dell’Europa occidentale. Le stesse tendenze sono evidenti negli Stati Uniti. L’eclissi del cristianesimo a livello culturale, perché a livello personale la fede è sempre possibile pur sempre più difficile, è come l’eclissi del sole. Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza della modernità democratica, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità. Culturalmente per un certo periodo continueremo ancora a vivere il declino del capitale etico e culturale del nostro patrimonio di duemila anni di cristianità-greco-romana e di più di tremila anni di tradizione giudeo-cristiana. In questo momento sembra avverarsi in negativo la terza parte del segreto di Fatima in una tempesta di forze sociali, storiche, tecnologiche, educative e intellettuali che militano proprio contro la fede nel cristianesimo. Una nuova religione semi - ufficiale, il nuovo ateismo sta prendendo il posto acquisendo le sembianze di una chiesa consolidata e attraverso l’ONU globalizzata. Una miscela selvaggia di ideologie e di culti esoterici guadagnano terreno in Occidente. Come esorcista sto constatando che la stregoneria sta vivendo un grande risveglio. Molti apparati statali stanno in qualche misura mobilitandosi per sopprimere e prevenire il cristianesimo. Il processo è già iniziato, ma si può vedere da una vasta carovana di azioni legali, sotto l’egida dei diritti umani e degli organi dell’antidiscriminazione, per costringere le chiese e le istituzioni cristiane a non insegnare, anche a chi sceglie nella scuola la religione cattolica, la fede cattolica e la conseguente morale. La nostra cultura, la nostra gente, per non parlare dei nostri poveri e dei nostri ammalati, sentono la mancanza di cristianesimo più di quanto ne siano consapevoli. E’ un’oscurità temporanea, come sembrano pensare la maggioranza e anche chi nella Chiesa ha autorità, o una lunga notte dell’anima occidentale? Anche con il rischio del martirio vale la pena accogliere, conservare la fede, viverla e anche pensarla perché possa divenire ancora cultura per tutti.
http://www.culturacattolica.it/attualit%C3%A0/in-rilievo/ultime-news/2017/10/11/la-mia-vita-da-teologo-a-esorcista

LA ROTTAMAZIONE DEI VALORI
   
Il relativismo totalitario sta rottamando i valori. E' una rottamazione epocale di un intero paradigma, quello dei valori tradizionali e dell’etica assoluta: imposto con un massiccio, metodico e planetario lavaggio del cervello di Francesco Lamendola 
 
  
È in atto, a ritmo sempre più accelerato, la rottamazione epocale di un intero paradigma, quello dei valori tradizionali e dell’etica assoluta, in nome di un relativismo che sempre più si sta configurando come un nuovo, implacabile totalitarismo, imposto con un massiccio, metodico, planetario  lavaggio del cervello da pare dei mass media e della cultura dominante, università in testa, ma sostenuto anche, all’occorrenza, da una pressione di tipo giudiziario: chi esprime opinioni diverse, rischia la denuncia, la multa e la prigione, e ciò chiude la bocca a ogni eventuale dissidenza o contestazione – ironicamente, in nome di una presunta difesa della democrazia. Di conseguenza, tutte le persone che vivono ancora, intellettualmente, culturalmente, spiritualmente e moralmente nel mondo dei valori e della tradizione, che credono ancora in Dio, nella Patria, nella famiglia, nella distinzione fra il vero e il falso, fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, fra il bello e il brutto, si trovano ad essere automaticamente “superate” e, perciò, “rottamate”. Non servono più, sono diventate inutili, come dei ferri vecchi. In questa maniera, non solo milioni di persone, ma delle intere generazioni – una sicuramente, forse due o perfino tre, quelle dei nati prima del 1960 – sono state mese fuori gioco, fuori della storia, e gentilmente gettate nel cestino della carta straccia. Quel che credevano, quel che sentivano, il mondo per il quale si sono spese, non hanno più importanza; i loro sacrifici, le loro rinunce, le loro battaglie, non hanno più senso; ciò che hanno cercato di costruire, d’insegnare, di trasmettere ai loro figli e nipoti, specialmente con l’esempio della loro vita, viene rifiutato e respinto, sovente dileggiato, altrimenti, semplicemente, ignorato; il loro orizzonte esistenziale è stato dichiarato privo di senso, inutile, soprannumerario. In altre parole, sono state congedate pubblicamente: ancora vive, è come se fossero già morte; sono stati spenti i microfoni, spente le luci, tolte le scenografie; tutto quel che possono ancora fare, è togliersi di mezzo in silenzio, anche fisicamente, il più presto possibile.
Largo ai giovani, almeno a parole: perché, di fatto, la modernizzazione forzata e il giovanilismo esasperato che stanno dietro a questa gigantesca opera di rottamazione delle precedenti generazioni non sono affatto il segnale di una conquistata centralità da parte dei giovani; tutto al contrario. C’è ben poca attenzione verso i giovani, oggi, a cominciare dalla loro speranza d’inserirsi nel mondo del lavoro; per non parlare delle carriere più prestigiose, tutte saldamente occupate da settantenni e ottuagenari ben decisi a tenersi strette le loro poltrone sino all’ultimo soffio di vita. Strano, vero? Da una rivoluzione culturale che estromette così brutalmente i “vecchi”, ci si aspetterebbe che il motore abbia un cuore giovane, e che i giovani ne siano i protagonisti e gli ovvi beneficiari; invece no. Il fatto è che i principali animatori di tale rivoluzione non sono i “giovani” in senso anagrafico, ma quelli, per lo più anziani, già “arrivati” e comodamente allogati entro il sistema, i quali hanno deciso di optare per questa repentina accelerazione del cambio di paradigma, dal paradigma dei valori assoluti a quello del relativismo istituzionalizzato e imposto per via legale e giudiziaria. Per limitarci al panorama di casa nostra – ma il fenomeno è di portata mondiale – il presidente della Repubblica, Mattarella, il presidente del Consiglio, Gentiloni, il pontefice Francesco, i presidenti della Camera e del Senato, i ministri, molti parlamentari, quasi tutti gli intellettuali in forza ai principali giornali, televisioni e case editrici, gran parte del corpo accademico, la quasi totalità degli artisti, degli architetti, degli urbanisti, dei musicisti, per non parlare di tecnici e scienziati, e poi gran parte dell’alto clero, cardinali, arcivescovi e vescovi: pur avendo superato da un pezzo l’età in cui si può esser definiti giovami, hanno scelto di schierarsi per il fulmineo cambio di paradigma, in base al quale ciò che era vero, giusto, buono e bello fino a ieri, o, al massimo, fino all’altro ieri, oggi è divenuto politicamente scorretto, scorrettissimo, è divenuto falso, ingiusto, cattivo e brutto. Tutti costoro han deciso di saltare a piè’ pari sulle nuove posizioni, tagliandosi i ponti alle spalle, e, quel che più conta, tagliandoli alle spalle della società intera, loro che ne sono le guide.
Si è cosi creata una situazione inedita, curiosa, stupefacente. Le classi dirigenti dicono, fanno e raccomandano, anzi, prescrivono, più o meno l’esatto contrario di quel che dicevano, facevano, raccomandavano e prescrivevano sino all’altro ieri; fanno anzi finta di averla sempre pensata come la pensano adesso, fanno finta che il cambio di direzione non ci sia stato, che nessun contrordine sia stato dato; e pretendono che le masse, la gente comune, i singoli individui, prendano per buona questa nuovissima dottrina: cancellare il passato, facendo finta che non ci sia mai stato; censurare ciò che era vero fino a ieri, rimuovendone anche il ricordo; e, di conseguenza, censurare, rimuovere e cancellare anche una parte di se stessi. Si pretende che le persone si adeguino alle nuove direttive come se fossero delle macchine: e come ad una macchina si possono sostituire i pezzi che la compongono, così da ottenere una macchina sostanzialmente nuova, partendo da quello che essa era prima, allo stesso modo le classi dirigenti pretendono che le persone si lasciano manipolare, rottamare, riciclare, trasformare, riadattare, in maniera da diventare delle persone nuove, con una nuova maniera di sentire e di pensare, con una nuova sensibilità e  una nuova prospettiva, come se nulla fosse, come se non fossero mai state ciò che erano state prima. La parola d’ordine, sottintesa ma evidentissima, è: dimenticare il passato, farlo sparire; cominciare tutto daccapo, procedere in una direzione affatto nuova, fingendo, però, che la direzione di marcia sia sempre la stessa, e tutto sia sempre stato così come appare oggi, come lo si vuole oggi.
Si tratta, in primo luogo, di una complessa, capillare, sistematica operazione contro la verità, contro l’identità, contro la memoria. Bisogna trasformare sette miliardi e mezzo di persone in altrettanti immemori, in altrettante Belle Addormentate nel bosco. Il mondo è radicalmente cambiato, ma loro non devono saperlo, non devono neppure sospettarlo. La cosa è relativamente facile con i bambini e con i più giovani: essendo nati in questo clima, e avendo pochi ricordi o nessun ricordo della situazione preesistente, non è affatto difficile convincerli che non esiste e non è mai esistito un passato “diverso”, che il mondo è sempre stato quale lo vedono ora. Per esempio: che gli immigrati ci sono sempre stati; che il loro inserimento nella nostra società è un processo naturale, irreversibile e, comunque, benefico; che le unioni omosessuali hanno la stessa dignità intrinseca del matrimonio fra uomo e donna; che i bambini possono nascere dall’unione di un uomo  di una donna, ma anche dalla fecondazione eterologa praticata da una lesbica, per poi crescerli con la sua compagna, o dalla pratica dell’utero in affitto, nel caso di due omosessuali maschi; che il diritto a divorziare, ad abortire, ad avere una “morte dolce” in ospedale, c’è sempre stato, e, comunque, è giustissimo e sacrosanto che sia garantito a tutti; che il cattolicesimo è la religione della neochiesa massonica di papa Francesco, nel quale ci sono solo ponti e nessun muro, cioè nessuna dottrina, nessuna verità, nessuna certezza assoluta, perché esso è solo una delle tante vie per giungere a “Dio”, un dio poco esigente, peraltro, e assai largo di manica, che capisce tutto, perdona tutto, e che, addirittura, si aspetta da noi, in certi casi, che viviamo nel peccato, perché altro, oggettivamente, non potremmo fare, stante la complessità delle situazioni e la fragilità della nostra natura (vedi il famigerato paragrafo 303 della esortazione apostolica Amoris laetitia).
L’ambito della vita religiosa si presta particolarmente per illustrare il concetto della rimozione del passato. Per un ragazzino di dieci, dodici anni, è normale che il cattolicesimo sia questa cosa qui: la santa Messa con i burattini, o con l’aperitivo, o con i balli, gli applausi, le buffonate, il prete che canta durante l’omelia brani di musica leggera, il vescovo che va attorno in bicicletta dentro la chiesa, le suore che cantano scompostamente canzoni profane e perfino blasfeme, il papa che si mette il naso da pagliaccio, il vescovo che elogia pubblicamente l’altissima moralità del defunto Marco Pannella, gli induisti che portano dentro la chiesa i loro idoli, i musulmani che si mescolano ai cattolici nel Sacrificio eucaristico, gli ebrei che non hanno alcun bisogno di convertirsi, perché anche solo pensarlo sarebbe un reato di lesa maestà nei confronti della sola religione esistente sulla quale non è dato scherzare: la Religione dell’Olocausto. Per questo ragazzino, al quale l’insegnante di religione nella scuola pubblica, e, spesso, anche la catechista in parrocchia, oltre che il suo stesso parroco e il suo stesso vescovo, hanno trasmesso questa idea del cattolicesimo, questa idea del Vangelo, questa idea di Gesù Cristo – un uomo simpatico che perdonava tutti, che voleva la giustizia sociale e che non sopportava i ricchi, mentre amava le prostitute e i peccatori – riuscirebbe difficile credere che il cattolicesimo, per innumerevoli generazioni di uomini e donne, sia stato tutt’altra cosa. E, soprattutto, per lui sarebbe difficile credere che la morale cattolica condannasse una serie di comportamenti che, ora, la Chiesa tollera, o addirittura incoraggia e benedice; e che fra il modello di vita proposto dalla Chiesa e quello del mondo vi fosse una differenza sostanziale. Per lui, oggi, la Comunione è quel rito, invero un po’ strano, nel quale si va all’altare, magari in calzoncini corti e sandali da spiaggia, si prende con le mani quel pezzetto di pane che il prete chiama, chissà perché, il Corpo del Signore, lo si mette in bocca e si torna al banco; momento, comunque, piuttosto noioso: molto più vivace e simpatico è lo scambiarsi il “segno della pace”, sbracciandosi allegramente a destra e a sinistra, avanti e indietro, e uscendo anche dal banco per stringere la mano ad amici e sconosciuti. 
Il relativismo totalitario sta rottamando i valori

di Francesco Lamendola

Del 12 Ottobre 2017
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