ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 8 novembre 2017

La carità senza la dottrina?

 FUGGITE IL MALE CON ORRORE         

«Fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene!». San Paolo era un vero maestro di psicologia pratica, esistenziale, oltre che di morale: quanta saggezza, quanta finezza, quanta delicatezza vi sono nelle sue raccomandazioni 

di Francesco Lamendola  

 

In questi tempi oscuri per la Chiesa e per i seguaci di Gesù Cristo, quando i pastori non fanno il loro dovere, non custodiscono il gregge, non lo proteggono, né lo confortano, ma fanno tutto il contrario, lo disperdono, lo deridono, lo insultano, una grande consolazione scende nell’anima tornando sempre al Maestro che non delude, che non tradisce, che non abbandona mai; e, secondariamente, agli altri testi del Nuovo Testamento, che traboccano di sapienza, di grazia e di autentico spirito cristiano, come le lettere di san Paolo.
Rileggiamoci, allora, per nostro conforto personale - e anche per svolgere una riflessione che ci aiuti a comprendere meglio la situazione presente, e ad assumere decisioni responsabili nelle condizioni che ci sono imposte, e che non abbiamo scelto né voluto, ma che stiamo subendo, nostro malgrado - rileggiamoci questo passo della Lettera ai Romani previsto dalla liturgia odierna: il capolavoro teologico dell’Apostolo delle genti, che, a duemila anni di distanza da quando fu scritta, non cessa di spargere semi di consolazione, di edificazione e di rassicurazione fra quanti cercano Dio con cuore sincero (12, 1-16; tradizione della Bibbia di Gerusalemme):

Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera di avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra, e queste membra  non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; ch ha un ministero attenda al ministero; chi l’insegnamento, all’insegnamento; chi l’esortazione, all’esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità.
Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.

San Paolo era un vero maestro di psicologia pratica, esistenziale, oltre che di morale: quanta saggezza, quanta finezza, quanta delicatezza vi sono in quelle raccomandazioni; non si finirebbe più di meditare le sue perle di saggezza, rese pure e cristalline dal prisma della Parola di Gesù Cristo, che le filtra e ne elimina tutte le scorie e le impurità di origine umana. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo: quanto dovremmo ricordarcene sempre; e quanto dovrebbero ricordarsene quei sedicenti cattolici ai quali preme soprattutto di trovare un’intesa, un compromesso, un “modus vivendi” tra la loro fede, o ciò che essi credono ancora tale, e il modo di pensare di questo mondo di tenebre della modernità. E poi dice: ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. Sì: perché solo lasciando agire in sé la grazia di Dio, l’uomo può ritrovare la giusta relazione con se stesso, diviene capace di fare una stima esatta di se stesso, senza insuperbire e senza disprezzarsi, e soprattutto sa riconoscere la volontà di Dio: perché questo non sarà mai possibile finché l’anima è piena dell’io, gonfia dell’io, intossicata dall’io, e non sa vedere, né udire, nient’altro che le brame, i timori e le passioni disordinate dell’io smisurato, debordante, ipertrofico. Come è possibile udire la voce di Dio, nel frastuono dell’io, che urla continuamente di voler questo e quest’altro, e di aborrire questo e quest’altro? Eppure, solo sgonfiando il proprio io, solo lasciandolo andare, solo lasciandosi riempire dalla grazia, si diviene capaci di discernere la volontà di Dio. E come si giunge a sgonfiare il proprio io? Dice san Paolo, nel passo su riportato: non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi. Quanta consapevolezza, quanto sano realismo, quanto senso del proprio limite – del proprio limite  individuale, ma anche del limite umano in generale – e quanta meravigliosa capacità di auto-ridimensionarsi, di auto-mortificarsi; quale costante vigilanza contro lo spirito di superbia che tende a montare al primo soffio di vento favorevole, in quelle poche, stringate, vigorose parole: Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
Oggi va molto di moda, nella Chiesa, forse anche troppo, la parola discernimento, insieme al concetto che essa esprime: la capacità di valutare con retto giudizio ogni singola situazione, senza cedere alla tentazione di fare di tutta l’erba un fascio. Benissimo: ma il primo ed essenziale discernimento, il cristiano non lo deve fare con i propri peccati, o con quelli altrui, al  fine di minimizzarne la portata, di attenuarne la gravità, di escogitare qualche giustificazione che gli risparmi la fatica di fare i conti con la propria debolezza, con il proprio egoismo e con la propria concupiscenza; no: il primo ed essenziale discernimento è quello che riguarda la volontà di Dio nei confronti di ciascuno di noi. Ciò che io, come cristiano e come cattolico, devo discernere, innanzitutto, è la volontà di Dio nei miei confronti: in altri termini, ciò a cui Egli mi sta chiamando. Perché Dio chiama tutti gli uomini, anche se non lo sanno; li ha chiamati da prima che nascessero, da prima che venissero concepiti, da prima che il mondo fosse creato: li ha chiamati dal’abisso del tempo, e li ha chiamati affinché trovino la strada per tornare a Lui. Ma ciascuno è chiamato in una specifica maniera: perché Dio non appiattisce le differenze, non ha alcun desiderio di omologare, di standardizzare il suo rapporto con gli uomini. Ciascuno di noi è una singolarità ed Egli si pone di fronte a noi come a delle singolarità, pieno di rispetto e di trepidazione per noi, come la mamma che vorrebbe veder crescere e diventare maturo suo figlio, anche se ha paura che gli possa capitare qualcosa di male e pertanto, se dipendesse solo da lei, non si staccherebbe mai dalla sua mano, non lo lascerebbe andare per la sua strada, ma poi, imponendosi uno sforzo, lo fa, lo lascia andare, perché sa che è giusto così e che quel figlio, se non imparerà a camminare da solo, non saprà mai cos’è la vita, e non sarà mai realmente responsabile delle proprie azioni, giuste o sbagliate che siano.
Ed ecco un’altra autentica perla di saggezza psicologica e morale: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera di avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Com’è vero che gran parte dei malintesi, delle incomprensioni, delle liti, delle contese, delle invidie, delle gelosie, nascono da una errata valutazione di se stessi, in genere da una ridicola sopravvalutazione, sempre per quella benedetta tendenza dell’ego a gonfiarsi, a gonfiarsi a dismisura, ad afferrare tutto quel che gli capita a tiro per alimentare se stesso, ingordo, insaziabile, incontenibile, e più si gonfia e si esalta e s’inebria, e più smarrisce, insieme alla giusta valutazione di sé, la strada per tornare a Dio: anche perché gli manca la cosa essenziale per ridimensionarsi e vedersi quale realmente è: la fede. Più si ha fede, e più si accende lo sguardo interiore, più esso diventa capace di riconoscere la propria anima e di farne una giusta valutazione, evitando di scivolare in ridicole (e patetiche) esagerazioni. Noi ci rendiamo ridicoli quando non sappiamo guardare in Dio, cosa che renderebbe il nostro sguardo così limpido, da poterci poi vedere esattamente come siamo, e non distorti dal prisma della nostra soggettività, della nostra finitezza narcisista. E infine: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene. Sono parole chiarissime, molto semplici: cosa potrebbe esservi di più chiaro, di più ovvio e naturale, di più legato al buon senso istintivo di ciascun essere umano? Eppure, quanto è difficile udire queste parole: non le pronuncia quasi più nessuno. Neppure la mamma o il papà ai loro bambini; né le signorine che fanno catechismo all’oratorio parrocchiale; e neppure le maestre, o i professori, o i fratelli maggiori. Tutti parlano di cento cose - ammesso poi che parlino: perché oggi si parla sempre meno, in compenso si lasciano parlare sempre più i mezzi di comunicazione informatici e la televisione -; ma ormai quasi nessuno è solito ripetere: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene. Molti credono di poter fare la vita facile, la vita edonista, la vita trasgressiva, ignorando questa massima: riconosci e pratica il bene, riconosci ed evita il male, chiamando le cose con il loro nome, per quanto possa essere doloroso: cioè chiamando bene, il bene, e male, il male, come si faceva una volta, come facevano i nostri nonni – e ora più nessuno.
Ci domandiamo, perciò, per quali ragioni la Chiesa abbia smesso, a partire dal Concilio Vaticano II, dapprima con una certa gradualità, poi in maniera più scoperta ed evidente, infine senza ritegno, di parlare del bene e del male; perché i teologi della “svolta antropologica”, perché i cardinali e i vescovi massoni e relativisti, perché il clero progressista e neomodernista non esprimano più questo semplice, ma fondamentale concetto della dottrina morale cristiana: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene. Perché il papa Francesco, che parla così volentieri coi giornalisti, dappertutto e in qualsiasi circostanza, e che ogni giorno, nelle omelie dalla Casa di Santa Marta, ci ha abituati alle sue improvvisazioni, alle sue uscite estemporanee, spesso confuse e molto sopra le righe, spesso teologicamente azzardate o peggio, non esprima mai questo concetto elementare, rivolgendosi al popolo cattolico, per esempio così:Cari fratelli, dobbiamo fuggire il male, e fuggirlo con orrore, perché il male deturpa la bellezza della creazione di Dio, sfigurando le sue creature predilette, gli uomini; dobbiamo cercare il bene, sforzarci di praticarlo, e attaccarci ad esso come il bambino si attacca al seno di sua madre, come se temesse di poter perdere quel contatto vitale. Perché non parla in questo modo? 

«Fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene!»

di Francesco Lamendola

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