LE PORTE DEL RELATIVISMO
di Francesco Lamendola
L’eminente teologo Antonio Livi, intervistato dal giornalista Bruno Volpe de La Fede Quotidiana, (pagina del 4 novembre 2017), ha detto, fra l’altro:
Purtroppo devo denunciare una persecuzione contro di me e contro tutti quelli che, come me, non si allineano alla “dittatura del relativismo”, che sembra il pensiero dominante, non solo in politica, ma anche in teologia. In una parrocchia di Modena mi avevano invitato a parlare dei problemi pastorali derivanti dall’ideologia del relativismo, ma ho dovuto cancellare la conferenza su ordine del Vescovo.
Dopo aver precisato che la Correctio filialis, da lui sottoscritta insieme ad altri sessantuno teologi, non è, come dice padre Cavalcoli, “un pugno nello stomaco del Papa”, ma un gesto rispettoso di amore filiale nei confronti della Chiesa e del Papa stesso, alla precisa domanda se l’esortazione apostolica Amoris laetitia sia da considerarsi eretica, risponde:
La “Correctio filialis” non lo dice, e io non l’ho mai detto. Anzi, ho polemizzato con chi parla della possibilità di un Papa eretico. In sé stessa, la “Amoris laetitia” è un importante documento post-sinodale che non contiene affermazioni formalmente eretiche, però dà luogo a interpretazioni e prassi che sono indubbiamente eretiche. Tutto sommato, Cavalcoli dice la stessa cosa, non differisce nella sostanza. Il problema vero sono i collaboratori del Papa, l’obiettivo delle critiche mie e di padre Cavalcoli è questo. Gli fanno scrivere e dire cose che si rivelano poi eretiche e lui, il Papa, non chiarisce, non corregge e non smentisce.
E alla domanda su che cosa pensi della celebrazione di Lutero sul foglietto della santa Messa, e di chi da definito la riforma luterana “un evento dello Spirito Santo” – il riferimento è a monsignor Nunzio Galantino – risponde:
Una enorme sciocchezza che però è anche una offesa gravissima allo Spirito Santo, insomma una bestemmia. Lutero è un eretico e non è possibile demolire quello che ha detto il Concilio di Trento. In quanto alle ripetute esaltazioni della figura storica di Lutero, esse sono un insulto alla fede cattolica. Ma questo fa parte degli errori pastorali, cioè pratici, di un Papa molto mal consigliato. Jorge Mario Bergoglio è vittima di molti cattivi consiglieri, perché è sempre stato troppo sensibile agli slogan della teologia della liberazione e non ha mai avuto molta stima della teologia dogmatica e delle sue premesse logiche e metafisiche.
Ci sembra che ci sia qui materiale più che a sufficienza per una riflessione molto seria su quello che sta succedendo oggi nella Chiesa cattolica. Fino a pochi anni fa, molti pensavano che stesse avanzando una dittatura del relativismo, come la chiamava Benedetto XVI; ma che essa fosse ancora all’esterno della Chiesa, insomma che imperversasse nella società civile e nella cultura profana: oggi, invece, bisogna prendere atto che non è così, e forse non lo era neanche allora: la dittatura del relativismo è già penetrata, e in maniera massiccia, all’interno della Chiesa, e parte dai suoi vertici, non dalla base. È proprio la gerarchia ad essersene fatta strumento: anche strumento repressivo, come si è visto con il vescovo di Modena, Erio Castellucci, che ha proibito a monsignor Livi di tenere la sua conferenza; o come l’arcivescovo Javier Martinez Fernandez, che ha cacciato dalla diocesi di Granada l’illustre filosofo cattolico Josef Seifert. E tutte queste cose non avvengono senza che il Papa ne sia informato, o ne sia lui stesso l’ispiratore.
Premettiamo di avere la massima considerazione e il massimo rispetto per monsignor Antonio Livi, ma anche per padre Cavalcoli, nonché per tutti i firmatari della Correctio filialis, e, più in generale, per tutti i bravi sacerdoti cattolici i quali, in questi tempi di crisi, di sbandamento, di smobilitazione, d’infiltrazione e d’inquinamento della vera dottrina cattolica, restano coraggiosamente al loro posto, non deflettono, non si piegano, ma cercano, nello stesso tempo, di non peggiorare una situazione che è già di per sé drammatica, e i quali non vogliono in alcun modo, sia pure con le migliori intenzioni, aumentare la confusione o lo sconforto dei fedeli, e quindi fanno di tutto per contenere le loro obiezioni e le loro critiche entro limiti tali da non produrre effetti irreparabili, da non esasperare ulteriormente gli animi, da non portare a situazioni di non ritorno. Queste loro preoccupazioni sono comprensibili e sono anche lodevoli. Nessun sacerdote, con la testa sulle spalle e un minimo di sensibilità pastorale, considera con leggerezza la possibilità che la terapia del malato possa provocarne il decesso: e il malato, in questo caso, è niente meno che la Sposa di Cristo, la santa Chiesa cattolica e apostolica, che ha giù affrontato e superato innumerevoli bufere e persecuzioni nei duemila anni della sua vicenda terrena.
Ciò premesso, vediamo che cosa non fila nel ragionamento di monsignor Livi. Egli nega che Amoris laetitia sia un documento eretico, e nondimeno ha sentito, da cattolico, il dovere di coscienza di proporre una sua formale correzione. Dice che è un importante documento post-sinodale che non contiene affermazioni formalmente eretiche, però dà luogo a interpretazioni e prassi che sono indubbiamente eretiche. Dunque, Amoris laetitia non è eretica, però induce i cattolici all’eresia: come è possibile? Diceva un certo Gesù Cristo che l’albero si riconosce dai frutti e, quindi, che se un albero è buono, non può dare frutti cattivi, e viceversa: dunque, seAmoris laetitia non è eretica, come avviene che i cattolici, basandosi su di essa, cadono in interpretazioni e prassi che sono “indubbiamente” eretiche? Non stiamo parlando di noccioline, o di caramelle: stiamo parlando di eresia, vale a dire della sciagura più grave, dell’attentato più pericoloso che si possa sferrare contro la fede cattolica e contro la Chiesa fondata da Gesù Cristo. Stiamo parlando, anche e soprattutto, della salute delle anime: della salute in senso etimologico, salus, salutis, cioè della salvezza eterna o della eterna dannazione. È una questione abbastanza seria, da richiedere delle prese di posizioni chiare e definite, sì o no? E allora: se un documento papale induce in eresia, come va che non lo si può definire eretico?
Se, poi, si passa da Amoris laetitia alla persona stessa del Papa, cioè al suo insegnamento e alla sua pastorale, la questione si fa ancora più scottante, ma il ragionamento di monsignor Livi rimane sostanzialmente lo stesso. Il problema vero – egli dice - sono i collaboratori del Papa; e precisa che gli fanno scrivere e dire cose che si rivelano poi eretiche e lui, il Papa, non chiarisce, non corregge e non smentisce. Ma un Papa al quale “fanno scrivere e fanno dire” delle cose che “si rivelano poi eretiche” (ma cosa vuol dire “poi”? cosa vuol dire che “si rivelano”? non lo erano fin dal principio?) non è un vero Papa, bensì un manichino; e, per giunta, un fomentatore di eresia, perché avalla le eresie dei suoi collaboratori. Concetto, questo, che lo stesso Livi ribadisce, precisando ulteriormente che il Papa, lui, “non chiarisce, non corregge, né smentisce”. Dunque, un Papa che non corregge e non smentisce l’eresia, e che non chiarisce le interpretazioni errate, e quindi eretiche, di quanto lui stesso aveva scritto e affermato, come lo si deve considerare? Tacere e non chiarire davanti all’eresia, non equivale forse ad essere pienamente e consapevolmente corresponsabili di quella eresia, con tutto ciò che la cosa comporta per la salute delle anime? Si noti che ciò vale anche al di fuori dell’ambito teologico e al di fuori delle funzioni e delle responsabilità, grandissime, di un Pontefice regnante. Se qualcuno, ad esempio, prende e distorce le mie parole, se le riporta fuori dal loro contesto, se induce gli altri a credere che il mio pensiero sia completamente diverso da quel che realmente è, e soprattutto dalle mie intenzioni, non è forse evidente che sarà mia cura e mio interesse far sentire immediatamente la mia voce, e chiarire che le mie parole sono stare distorte, e che il mio pensiero è completamente diverso dall’idea che ne hanno dato quelle tali persone? E se non lo faccio, se me ne sto zitto, pur vedendo benissimo quel che sta accadendo, e pur sapendo che moltissime persone hanno capito la verità alla rovescia, e mi attribuiscono dei pensieri e delle frasi che sono ben lungi da ciò che io intendevo dire, non significa questo, forse, che, dopotutto, mi va bene così? Che sono d’accordo con quella interpretazione? Che, tutto sommato, mi riconosco nell’immagine che di me e dei miei pensieri è stata data? Qui parliamo di puro buon senso, di evidenza intuitiva. Certo le cose cambierebbero se il Papa, o altri personaggi della gerarchia ecclesiastica, non fossero in buona fede; se il loro interesse, diciamo pure il loro gioco di squadra, fosse precisamente questo, e l’avessero studiato a tavolino: fare in modo che nessuno dica delle cose apertamente e completamente eretiche, però abbastanza ambigue da indurre in eresia chi le legge o le ascolta; e poi, tacendo, avallare quelle interpretazioni, e dunque promuovere attivamente, e sia pure in maniera cauta e indiretta, la propagazione dell’eresia, cioè di una dottrina non cattolica che viene spacciata, però, per cattolica, anzi, per “autenticamente” cattolica. Ma come pensare che sia in buona fede una persona, una persona che ricopre una responsabilità altissima come il Papa, se, davanti alla evidente strumentalizzazione delle sue parole, posto che di ciò si tratti, e all’evidente pericolo che molti fedeli siano indotti in eresia, continua a tacere? Qui tacet, consentire videtur, dicevano i romani: chi tace, evidentemente acconsente.
La dittatura del relativismo è già dentro la Chiesa
di Francesco Lamendola
Del 05 Novembre 2017
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