ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 16 febbraio 2018

Razzismo alla rovescia

LA CHIESA "INTERNAZIONALISTA"


La Chiesa è universale non internazionalista. La favola creata da Soros & Bergoglio sui profughi. "Non è bene dare il pane destinato ai propri figli al primo sconosciuto" sono parole di Gesù non di un razzista o di un fascista 
di Francesco Lamendola  

  

Ci siamo interrogati a lungo su che cosa possa aver prodotto l'imponente fenomeno culturale che è sotto gli occhi di tutti: un vasto settore del clero cattolico che non si sente più italiano, che se ne frega di quel che pensa la maggioranza degli italiani, del loro disagio, della loro legittima e sacrosanta preoccupazione, e che ha occhi, orecchi e soprattutto cuore solo per i cosiddetti migranti, per i falsi profughi, dei quali è pronto a scusare e giustificare ogni atto di delinquenza, ogni comportamento prepotente e incivile, perché, poverini, sono dei disperati che fuggono da guerra e fame, anche se non è vero niente, è una favola creata da Soros & Bergoglio, basta guardarli, tutti maschi giovani e sani come pesci, niente affatto denutriti, niente affatto feriti dalle granate, che hanno lasciato indietro, vigliaccamente, le madri, le le fidanzate, i bambini e i vecchi. Altro che il pius Aeneas, che fuggì da Troia in fiamme portando sulle spalle il vecchio padre, Anchise, e tenendo stretto per mano il figlioletto Ascanio; e che, quando si accorse che la diletta sposa Creusa non era più con loro, tornò indietro, ripercorse le strade già invase dal nemico, rischiò cento vole la vita nel vano tentativo di ritrovarla. 

Questi non si sono fatti alcuno scrupolo di piantare le famiglie nel bisogno e nel pericolo, se è vero che si trovavano nel bisogno e nel pericolo; ma è evidente che non è così, basta guardare i luoghi di provenienza: gli spacciatori nigeriani vengono da una zona tranquilla di quel Paese, dove non ci sono né guerre, né terrorismo, né carestie: e allora, come la mettiamo?
Però il neoclero progressista non demorde, non si arrende: continua a ripetere, come un mantra, la favola bella e commovente dei disperati in fuga da guerra e fame, che noi dobbiamo accogliere, che noi dobbiamo ospitare, che noi dobbiamo amare, che noi dobbiamo integrare (come se loro lo desiderassero...), che noi dobbiamo vedere come se fossero degli angeli mandatici incontro dal Signore Iddio: parola di monsignor Lauro Tisi, arcivescovo di Trento, bergogliano d.o.c. e tipico esponente di questo neoclero che ad altro non pensa se non ai diritti, veri o presunti, di questo esercito d'invasori islamici camuffati slealmente da profughi, i quali forzano i nostri confini, ogni giorno, spacciandosi per scampati a terribili persecuzioni, e che fanno leva sul nostro buon cuore e sul senso di colpa, che proprio il clero progressista, insieme a una schiera d'intellettuali di sinistra, da molti anni si è fatto un dovere d'instillarci, asserendo che, se l'Africa è povera, se il terzo Mondo è povero, disperatamente povero, ciò accade perché è sfruttato dalle nostre multinazionali, e quindi (sic: qui la logica zoppica alquanto, ma che importa; costoro sono teologi della pancia e sociologi del sentimento, non persone capaci di un pensiero razionale) che noi siamo corresponsabili, siamo colpevoli a nostra volta, e ora dobbiamo rimediare, dobbiamo riparare, per esempio offrendo case, alberghi, tutto quel che serve a questa gente affinché s'installi il più comodamente possibile in Italia. Né mancano i casi limite, i casi paradigmatici, come quello del professore di Treviso che, dopo aver ospitato per anni sei "profughi" in casa sua, ora se n'è andato via con la moglie, ospite di uno di codesti preti progressisti, per lasciare la casa tutta intera ai suoi giovani ospiti di colore, e ciò pur avendo, il professore, quattro figli suoi. La valenza pedagogica di atti come questo rimane, peraltro, misteriosa: in virtù di quali meriti, di quali sacrifici, di quali atti suscettibili di essere premiati, quei sei giovanotti si son visti regalare l'uso di una casa che, se non è spuntata come i funghi in una  notte, deve essere costata anni di lavoro, di sacrifici, di rinunce? E' per insegnare quale principio morale che quei giovani, che non hanno mai lavorato, che non hanno fatto nulla per questo paese, se non premiare il fatto di presentarsi da clandestini e di pretendere accoglienza, che ora si vedono premiati con una casa, la quale, per milioni di italiani poveri o impoveriti dalla crisi, resta al di là della barriera dei sogni, pur con tutta la buona volontà e la voglia di lavorare di questo mondo?
Ma torniamo alla domanda iniziale. Molti preti progressisti ritengono giusto e doveroso vedere in qualsiasi straniero, e quanto più straniero, quanto più scuro di pelle, tanto meglio (un vero e proprio razzismo alla rovescia) dei fratelli, degli angeli, dei santi, e vedono, invece, in quegli italiani che non sono d'accordo con questa invasione mascherata e si preoccupano per la nostra identità, per la nostra civiltà, per la nostra religione, per il futuro dei nostri figli, dei nemici veri e propri. Ecco cosa c'è scritto, per esempio, sulla porta della canonica di Vicofaro, provincia di Pistoia, dove il parroco, don Massimo Biancalani, da tempo ospita una comunità di "rifugiati": VIETATO L'INGRESSO AI RAZZISTI. Poi, non contento, la scorsa estate ha postato delle immagini dei suoi giovani e baldi negri che sguazzano in piscina, perché, poverini, loro non sono abituati al gran caldo che fa in Europa (si vede che ci sono abituati i pensionati italiani poveri che non possono permettersi, non diciamo la piscina, ma neanche l'aria condizionata), e, per buona misura, ha  accompagnato le gioiose fotografie con questa scritta: E oggi... piscina! Loro sono la mia patria, i razzisti e i fascisti i miei nemici!

Neovangelo? Non ci risulta che Gesù Cristo abbia mai detto: "Odiate i vostri nemici", casomai tutto al contrario

In queste poche righe c'è tutto un concentrato, un intero universo di deriva teologica e pastorale della neochiesa: in un certo senso, sono preziose, perché recano una testimonianza che aiuta a capire i meccanismi psicologici e culturali che stanno alla base di simili atteggiamenti. Dunque: don Biancalani dichiara di non avere patria; o meglio, dichiara che la sua patria sono i giovani negri ospiti della sua comunità. Subito dopo dichiara che i razzisti e i fascisti sono i suoi nemici, e questa è la parte davvero notevole. I razzisti, a quel che è dato di capire, sono tutti gli italiani ai quali non appare così chiaro per quale ragione l'Italia debba essere invasa e sommersa da milioni di africani e altri stranieri, provenienti da civiltà del tutto aliene alla nostra (altro discorso è, ad esempio, per gli europei dell'Est). Quanto ai fascisti, costui non s'è accorto, ma si trova in buonissima compagnia, che il fascismo è morto da settant'anni, e che quanti ne parlano come se fosse vivo, lo fanno perché hanno bisogno di qualcuno da odiare, qualcuno da zittire, qualcuno da insultare. In ogni caso, sia i "razzisti" che i "fascisti", nell'ottica di don Biancalani, sono italiani. Conclusione: i miei fratelli non sono gli italiani, a meno che la pensino come me; gli altri, quelli che dissentono, sono miei nemici. Esatto, proprio così: miei nemici. 

La Chiesa è universale, non internazionalista

di Francesco Lamendola
continua su:
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/la-contro-chiesa/4749-la-chiesa-universale

L'ITALIA DI SANTI E "CANNIBALI"

Dove è scritto che si deve regalare l’Italia ai negri? Da Kabobo ai cannibali nigeriani: noi italiani non amiamo né la nostra patria né la nostra religione, ma politici e vescovi:"fino a quando abuserete della nostra pazienza?" 
di Francesco Lamendola  

  

L’Italia è il nostro Paese; è la culla della nostra civiltà; è la nostra patria, come si diceva una volta, e come nessun altro popolo al mondo si vergogna di dire, quando vuol definire la propria identità e, nello stesso tempo, mostrare amore, attaccamento e fierezza nei suoi confronti. I francesi parlano di “patria”, gli statunitensi parlano di “patria” e si alzano anche in piedi quando una banda intona l’inno nazionale; perfino i tedeschi, che pure hanno subito un terribile e pluridecennale lavaggio del cervello, mirante a colpevolizzarli se solo osavano formulare un pensiero del genere, hanno recuperato il concetto di “patria”. Perfino piccoli popoli, come gli ungheresi, o i cechi, o gli slovacchi, sono fieri della propria patria, della propria identità, e vogliono difenderla con le unghie e coi denti. I polacchi vogliono restare polacchi, non vogliono negri, non vogliono falsi profughi né invasori travestiti da richiedenti asilo. Sono tutti xenofobi e razzisti, tutti fascisti e populisti? I russi non solo amano e sono fieri della loro patria, ma non tollerano che gli stranieri vengano in casa loro anche solo per reclamizzare ideologie contrarie ai valori della loro civiltà: che sono, oltre la patria, Dio e la famiglia. Quando il nostro (o la nostra?) Luxuria è volato/a in Russia per proclamare che gay è bello, l’hanno caricato/a su un aereo e rispedito/a al mittente, in quattro e quattr’otto. Una comitiva italiana, organizzata da una parrocchia e accompagnata da tanto di preti e suore, è stata cacciata fuori da una chiesa di Cracovia perché i ragazzi facevano fotografie, parlavamo a voce alta e due di loro si tenevano a braccetto: scandalo, parole grosse, senso d’indignazione. Secondo noi, i custodi di quella chiesa hanno fatto benissimo: non si entra nella casa di Dio per fare foto, per chiacchierare o per stare abbracciati; si entra per pregare; e anche se ci si entra solo per ragioni di tipo cultuale, si devono osservare le regole del luogo. Quei ragazzi erano stati avvisati all’ingresso, su come comportarsi; non hanno saputo rispettare l’impegno: hanno meritato di essere cacciati. Dove la patria e la religione sono una cosa seria, dove sono sentiti dalla gente, nessuno può permettersi di scherzarci troppo; tanto meno uno straniero, il quale, anche se in veste di turista, è tenuto asl massimo rispetto nei confronti di ciò che è importante per quel popolo. Non come a Parigi, dove le Femen che hanno fatto irruzione a Notre Dame, a seno nudo, ballando oscenamente e percuotendo una campana secolare, per il puro piacere di dare scandalo ai fedeli, sono state processate, sì, ma poi completamente assolte, mentre i custodi che le avevano fatte uscire sono stati multati per essere stati troppo bruschi. E sì che i francesi hanno l’amor di Patria; ma non hanno più il timor di Dio. L’hanno perso da almeno due secoli, con l’illuminismo e la rivoluzione, e poi con le leggi sulla secolarizzazione; per cui non importa loro se qualcuno offende la religione cristiana. Noi italiani non amiamo né la nostra patria né la nostra religione, dato che permettiamo a chiunque di sfigurarle, di offenderle, d’insozzarle. Quanto agli spagnoli, hanno costruito un muro, a Ceuta e Melilla, lungo alcuni chilometri e alto sei metri, per fermare l’invasione dei cosiddetti migranti dall’Africa sub-sahariana: i poliziotti in tenuta da guerriglia lo sorvegliano notte e giorno, e non vanno tanto per il sottile quando si tratta di respingere chi tenta di scavalcarlo. Perché il signor Bergoglio, che odia tanto i muri e proclama il dovere cristiano di costruire sempre e solo ponti, non va in Spagna, o magari a Ceuta e Melilla, a rimproverare gli spagnoli? perché non li ha accusati di essere xenofobi, insensibili e cattivi cristiani? Semplice: perché, probabilmente, l’avrebbero trattato come i russi hanno trattato Luxuria, come si trattano i demagoghi, i cialtroni e i sobillatori, che vanno a rompere le scatole in casa altrui e pretendono di dettare agli altri le regole ch’essi devono seguire: lo avrebbero caricato gentilmente su un aereo e rispedito in Vaticano. Dove, sia detto fra parentesi, i muri ci sono, eccome, e sono spessi alcuni metri; e dove, sempre per pura coincidenza, non ci risulta che sia ospitato nemmeno un migrante. Quelli, i neopreti della neochiesa li scaricano sull’Italia; Bergoglio è andato di persona a Lesbo per portarne alcuni col suo aereo personale, tutti rigorosamente musulmani; e far bella figura a costo zero.
Dunque: l’Italia è la patria degli italiani; ed è anche, senza alcuna retorica, il Paese che ha dato il massimo contributo alla civiltà dell’Occidente, a parte la Grecia antica. È un Pese bellissimo, carico di storia e arte, carico di civiltà: ogni angolo, ogni strada, ogni paesino custodiscono qualche gioiello di pittura, scultura o architettura; nessun popolo più dell’italiano ha dato impulso all’Europa e al mondo, affinché diventassero ciò che ora sono. Da san Francesco, che ha costituito il modello insuperabile della spiritualità cristiana, a Dante, che ha dato all’umanità uno dei suoi massimi poemi, a Colombo che ha scoperto l’America, aLeonardo che ha riverberato il suo genio artistico e scientifico sul mondo, a Marconi che ha inventato il telegrafo senza fili, nessun altro popolo può vantare una tal messe di personalità illustri, di statura universale. L’Italia era un Paese povero, privo di materie prime, giunto in ritardo all’unità politica e alla rivoluzione industriale: eppure ha saputo crearsi un posto rispettabile fra le nazioni. I suoi soldati, sul Piave e El Alamein, hanno dato la vita per difenderne i confini. Per due volte, con Roma pagana e poi cristiana, l’Italia è stata al centro del mondo; e in nessun altro Paese d’Europa, e probabilmente del mondo, sono così vivi il culto della bellezza, dell’eleganza, il piacere delle cose ben fatte, la cortesia verso lo straniero, la pietà verso il debole e il vinto, il rispetto per la cultura e l’ammirazione verso l’intelligenza; anche se, bisogna ammetterlo, queste qualità sono da tempo in declino: non però fino al punto che l’immenso capitale accumulato sia andato già tutto disperso. E questo Paese povero, da solo, si  è tirato in piedi; da Paese di emigranti, è diventato uno dei primi Paesi al mondo, con una delle economie più forti (almeno fino a quando i suoi sciagurati governanti lo hanno gettato in pasto all’Unione europea, per distruggerne la capacità produttiva a vantaggio della Germania), grazie al lavoro, all’abilità, alle fatiche e alla eccezionale capacità di sacrifico dei nostri padri e dei nostri nonni.
Ora, non si sa perché, tutto questo deve essere praticamente regalato a una massa continuamente crescente di stranieri, d’immigrati, di falsi profughi, in larga parte provenienti dall’Africa nera, e in massima parte di religione islamica. Non si sa perché, sia i nostri governanti, sia i nostri uomini di Chiesa, a partire da un certo momento, non fanno altro che ripeterci come queste persone, questi disperati, in fuga da guerra e fame, hanno diritto di essere accolti, ospitati, amati, soccorsi, tollerati se disturbano, perdonati se delinquono, trattati sempre con un occhio di riguardo perché, poverini, sono dei disperati, fuggiti da guerra e fameSolo che non è vero niente. Forse il 5% di essi sono realmente dei profughi; gli altri sono delle persone che, nei rispettivi Paesi, non hanno mai conosciuto né guerra, né fame; non sono mai stati costretti a lasciare le loro case e i loro villaggi, né dalle violenze degli uomini, né dalle calamità naturali; anzi: sono dei benestanti, dei proprietari terrieri, dei pastori padroni del proprio bestiame, in grado di pagare qualche migliaio di dollari per mettersi in viaggio alla volta dell’Europa, dove hanno deciso che devono arrivare ad ogni costo. E, una volta arrivati, non si sa perché - nessuno ce lo ha spiegato, né il premier Gentiloni, né il presidente Mattarella, né, tanto meno, il (falso) papa Bergoglio, che fa il generoso con ciò che non è suo - essi mettono radici e più non se ne  vanno, anzi, chiamano amici e parenti, si fanno raggiungere da mogli, figli e fidanzate, nonché dai genitori. Se vedono respinta la loro domanda di ottenere lo status di rifugiati, e ricevono un decreto di espulsione, lo ignorano, se ne infischiano e rimangono, passando alla clandestinità – e, molto spesso, alla criminalità. Quanti ce ne sono, di siffatti clandestini? Le cifre fornite dal ministero dell’Interno parlano di seicentomila, e scusate se è poco: parliamo di seicentomila mine vaganti per le nostre città e le nostre strade; ma il numero reale va moltiplicato per parecchie volte tale cifra. Non siamo ciechi: abbiamo occhi per vedere.Se fossero seicentomila, in un Paese di 60 milioni d’abitanti non si noterebbero a ogni passo: invece si capisce al volo che il loro numero è enormemente superiore a quello stimato. Così come si vede al primo sguardo che non sono affatto dei profughi: non occorre controllare i documenti, lo si vede. Niente donne, niente vecchi, pochissime famiglie: ma che razza di profughi sono? Quasi tutti baldi giovanotti, pieni di forza e di salute; e sempre più insolenti, sempre più arroganti. Non gradiscono il cibo delle mense, nei centri di accoglienza; scioperano e protestano perché non li mandano in albergo; provocano incidenti e tafferugli, ma non li si può nemmeno trasferire: quante volte i carabinieri, venuti per portare via i più facinorosi, gli agitatori di professione, hanno subito l’umiliazione di doversene andar via con le pive nel sacco, fra le risate di scherno dei cosiddetti profughi, fieri della loro ennesima vittoria? Quante volte il prefetto di turno, il questore di turno, hanno ceduto le armi, si sono arresi, vuoi, come dicono loro, per evitare guai peggiori, vuoi per non giocarsi la poltrona, visto che, non appena un sedicente profugo si sbuccia un ginocchio, partono interrogazioni parlamentari, manifestazioni rabbiose dei centri sociali, proteste degli intellettuali politicamente corretti; mentre se a prendere le botte sono le forze dell’ordine, nessuno si scomoda, nessuno s’indigna e nessuno se la prende calda. Ah, già, ci scordavamo: carabinieri e poliziotti sono pagati (e sai quanto!)  per fare il loro mestiere, se un negro li prende a bastonate, o a coltellate, fa parte degli incerti del mestiere; ma il negro, poverino, soffre di disagio ambientale (come recita la sentenza di un giudice, purtroppo in perfetta serietà), bisogna capirli. Come quel Kabobo che a Milano, brandendo una piccozza, spaccò il cervello a tre ignari cittadini italiani che passavano per strada; o come quella ragazza finita a  pezzi dentro due valigie, per mano degli spacciatori nigeriani, e il suo cuore non si è trovato, voi vedere che se lo sono mangiato ancora caldo, come pasto cannibalesco, secondo le loro civilissime abitudini? Sì, lo sappiamo; è molto, molto scorretto parlare di queste cose; sono discorsi che non bisognerebbe fare. Non bisognerebbe alimentare l’insofferenza e l’intolleranza; non bisognerebbe contribuire a surriscaldare gli animi (che sono già surriscaldati e non per colpa di chi lancia l’allarme, ma per colpa di chi ha creato questa assurda situazione). Eh, sì: che brutta cosa parlar male dei migranti, che Iddio stesso ci mandato come angeli del Cielo, parola di monsignor Tisi, arcivescovo di Trento.

La neochiesa di padre Massimo Biancalani. Il sacerdote della parrocchia di Vicofaro e alcune sue foto postate con il commento: “sono un dono di Allah” 

Dove è scritto che si deve regalare l’Italia ai negri?

di Francesco Lamendola
continua su:

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.