Che fare quando una società è dominata da una classe dirigente di morti che camminano? Per Gesù un bel po’di persone sono già morte da vive, dovrebbero seppellirsi da sole. I 6 milioni di bambini italiani che non sono mai nati
di Francesco Lamendola
Leggiamo nel Vangelo di Matteo questo brevissimo ed enigmatico episodio (8, 21-22): E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».Fiumi d’inchiostro sono stati versati su quelle parole di Gesù, cercandovi chissà quali misteriosi e reconditi significati: eterna tentazione dello gnosticismo, anche in salsa cristiana: trovare un livello di “sapienza” nascosto, inaccessibile al volgo ma esperibile dagli illuminati, dagli eletti. Comunque, alla fine, bisogna arrendersi all’evidenza: per Gesù, un bel po’ di persone sono già morte da vive; sono dei cadaveri ambulanti, ovviamente in senso morale e spirituale. Quelle persone sono già morte, e non lo sanno. Se ne vanno in giro con l’aria più normale di questo mondo e pretendono perfino di prendersi cura degli altri, sepoltura dei propri cari compresi: ma dovrebbero piuttosto seppellire se stessi, se solo si rendessero conto di quel che è diventata la loro vita. Un giudizio severissimo, quasi spietato. Che contrasta con l’immagine edulcorata, un po’ zuccherosa, che una certa cultura cattolica “progressista” pretende di fare del Vangelo e del suo fondatore.
Ma Gesù, lo abbiamo detto tante volte, non era un buonista; e quando un giovane adulatore, una volta, gli si rivolse chiamandolo Maestro buono, Egli lo riprese, dicendo: Perché mi dici: buono? Uno solo è buono: il Padre nostro che è nei cieli.
Ma Gesù, lo abbiamo detto tante volte, non era un buonista; e quando un giovane adulatore, una volta, gli si rivolse chiamandolo Maestro buono, Egli lo riprese, dicendo: Perché mi dici: buono? Uno solo è buono: il Padre nostro che è nei cieli.
George Soros premia Emma Bonino: la grande italiana per la neochiesa di Bergoglio
Il mondo, dunque, è pieno di morti viventi: gente che crede di essere viva, mentre porta a spasso il proprio cadavere. Succede in politica, nell’economia, nella cultura; oltre che, naturalmente, nella sfera della vita d’ogni giorno delle persone comuni. Sono dei morti viventi quei sedicenti intellettuali, per esempio, i quali continuano a pensare vecchio, a scrivere vecchio, a spacciare per cose vive e attuali le loro idee superate, le loro nostalgie puerili, le loro utopie fallimentari. Questi Camilleri, per esempio, che inondano il mercato librario con le imprese di un commissario siciliano che non s’imbatte mai in un caso di mafia, mai, neanche una volta: e intanto dipinge una Sicilia di maniera, tutta eros, corna, palazzi barocchi e mare blu; e che profitta della sua notorietà per dichiarare che l’immigrazione è una cosa meravigliosa e che chi non è d’accordo è vecchio, non sa vedere il futuro. Scrivono romanzi ed articoli come se fossimo ancora negli anni Sessanta del Novecento: non rassegnati al fatto che la realtà ha sbugiardato le loro illusioni, le loro velleità, insistono a riproporle, cercano di apparire giovani solo perché, avendo il sostegno dei mass-media, hanno accesso ai salotti televisivi e si godono il facile applauso del pubblicato pagato per quello. Stessa tipologia nel mondo dell’impresa: Marchionne che porta via la Fiat, dopo che questa ha usufruito di fiumi di denaro pubblico dallo Stato, e ora punta tutte le sue carte sul taglio del costo del lavoro, delocalizzando gli stabilimenti e sottraendosi al fisco italiano, è l’emblema di questa incapacità di rinnovarsi, di pensare in modo creativo. Nella classe politica la presenza dei morti viventi è ancora più ingombrante. Che siano dei morti viventi, delle persone che non hanno nulla da dire e nulla da dare, lo si vede non appena sono messi alla prova del voto: un esercito di nominati che si squaglia, si dissolve come nebbia al sole, dopo aver ingombrato il campo, cioè il Parlamento e i governi, per anni e anni, paralizzando la società italiana e bloccando qualunque possibilità di autentica ripresa, anche economica. Che fine hanno fatto, alla prova del voto, i Grasso, le Boldrini, i Gentiloni? Spariti, dissolti: tornati nel nulla da cui erano venuti fuori. Ora c’è un morto vivente, Silvio Berlusconi, che si aggrappa con furia rabbiosa al palcoscenico della politica e che, col suo cadavere (politico), continua a ostacolare, a bloccare ogni speranza di ripresa della società, dell’economia, del sistema Italia. Pur di far valere il proprio ego patologico, pur di proteggere strenuamente il suo impero finanziario - cresciuto di sei o sette volte negli ultimi vent’anni, mentre l’Italia ha subito un massacro finanziario che l’ha impoverita come non si era mai visto da che esiste come nazione indipendente – sarebbe disposto a far fallire qualunque tentativo di creare un governo capace di esprimere almeno un poco i veri interessi nazionali del Paese, e non quelli dei banchieri e dei burocrati di Bruxelles (gli stessi che fecero cadere il suo governo nel 2011, ma l’ha già dimenticato e non esita a cercare la loro protezione per mettere i bastoni fra le ruote di Salvini). E con lui l’esercito delle bellone, delle raccomandate, delle igieniste dentali, delle formose laureate a pieni voti che meritano di fare strada, e con le quali ha riempito le aule di Camera e Senato, procurando loro una carriera a spese nostre, di noi contribuenti, per ricompensarle di ciò che ha ricevuto da loro: quando ci libereremo di simili presenze? Sono morte e non lo sanno; portano in giro le loro tette decorative, e non vogliono capire che la loro stagione è finita, è finito il tempo in cui un satrapo comprava tutto e tutti, per metter su governi il cui solo scopo era fare gl’intessi del suo impero finanziario. E così i pennivendoli che hanno celebrato le sue qualità inesistenti e si sono adattati a fare da paggi e da valletti per un quarto di secolo: morti viventi che spariranno nel nulla dal quale son usciti, lasciandosi dietro le spalle un giornalismo umiliato e allo sbando, una pubblica informazione prostituita oltre ogni limite della decenza e del buon gusto.
Ieri, per esempio (22 maggio 2018), il TG1 ha ricordato i quarant’anni della legge 194 con un servizio costruito intorno a un’intervista a Emma Bonino, naturalmente senza alcun contraddittorio: meraviglioso esempio di obiettività e imparzialità dell’informazione. A chi domandare il bilancio di una legge contestatissima e discutibilissima, se non a colei che l’ha voluta e fatta approvare? Certo, non sarà lei a fare una riflessione, non diciamo etica, ma neppure politica, su quei sei milioni di bambini italiani che non sono mai nati grazie alla sua legge, e che il nostro Paese ha pensato bene di rimpiazzare con sei milioni d’immigrati africani e asiatici in età da procreare, e che fra una generazione saranno diventati quattro o cinque volte tanti. E quali perle di saggezza hanno sentito uscire dalle labbra della signora, della grande italiana, definita tale da Bergoglio, gli utenti che hanno ascoltato il servizio pagato dalla televisione di Stato? Che gli aborti non sono abbastanza, perché troppi medici fanno l’obiezione di coscienza; che ci vogliono più aborti, insomma, così come, secondo lei, la ricetta per uscire dalla crisi doveva essere, per l’Italia, più Europa. Quel che pensino gli italiani di lei, si è visto alle elezioni: ha preso tre voti in tutto, e continua a sedere in Parlamento solo grazie a un escamotage del sistema elettorale. Come la signora Boldrini, come il signor Grasso, e come il signor Mattarella, anche la signora Bonino non rappresenta nessuno; gli italiani non sanno che farsene di lei L’avevano, anzi, già dimenticata: a riportarla in vita, politicamente parlando, è stato il (falso) papa argentino, con le sue lodi e i suoi complimenti. Lodi e complimenti perfettamente logici e coerenti, si capisce, da parte del capo della Chiesa cattolica: chi meglio della signora Bonino, che negli anni ’70 reclamizzava l’aborto fai-da-te mediante una pompa da bicicletta infilata nella vagina, e che è sempre stata in prima fila nelle battaglie per il divorzio, l’eutanasia, la droga libera e le unioni di fatto, incluse quelle gay, oltre che per l’aborto come diritto sacrosanto della donna? Certo, il diritto di nascere di quei bambini è stato un po’ sacrificato; ma che volete farci, questo è un dettaglio che non mette in imbarazzo il neoclero, e per i cattoprogressisti l’aborto resta pur sempre una valida conquista. Morti viventi, lei e lui: la signora radicale e il papa venuto dalla fine del mondo: mietono applausi, ma le piazze sono semivuote; si candidano alle elezioni, ma prendono solo i voti degli amici e dei parenti. Nessuno sa che farsene di loro: le cose di cui parlano, il modo in cu ne parlano, non hanno attinenza con la realtà. Vivono in una bolla ideologica, scambiano i fatti per le loro farneticazioni; e, com’è logico, si fanno i complimenti fra di loro: asinus asinum fricat. Così, la signora Bonino viene invitata dai preti progressisti a parlare, nelle chiese, di migranti e di accoglienza: chi più qualificato di lei, la signora dei sei milioni di aborti? E il papa, a sua volta, è il beniamino di simili personaggi: a loro piace moltissimo; ai cattolici veri, forse un po’ meno. E se avessimo una libera stampa, o una stampa un po’ meno serva di quel che è, ormai lo saprebbero tutti: che Piazza San Pietro, quando parla il signor Bergoglio, è mezza vuota, come non lo era stata mai in passato. Logico: che ci vanno a fare, i cattolici? A ricevere la benedizione da uno che dice che Dio non è cattolico? Da uno che parla poco di Gesù, mai del peccato, mai della vita eterna? Che parla sempre di migranti, di migranti, di migranti, e predica l’accoglienza, l’accoglienza, l’accoglienza; e che, se proprio gli rimane qualcos’altro da dire, parla di ambiente, di animali, di foreste, di conservare la natura?
Morti viventi, lei e lui: la signora radicale degli aborti e il (falso) papa venuto dalla fine del mondo
Oggi, a mezzogiorno, durante un noto talk-show televisivo, si parlava, fra e altre cose, di Viktor Orban e del “caso” ungherese, di questo antipatico, piccolo Stato dell’Europa centrale che si permette di non essere solidale, di respingere i “disperati” migranti dalle sue frontiere, insomma di pensare innanzitutto a se stesso, cosa evidentemente disdicevole e inaudita. Al filosofo Diego Fusaro, il quale, pur partendo da premesse strettamente marxiste, riconosceva i meriti di quel governo nel mettere sotto il controllo dello Stato gli strumenti essenziali della vita economica, estromettendo, viceversa, il Fondo Monetario Internazionale dall’Ungheria, cosa che ha permesso a quel Paese di saldare il debito pubblico, gli ospiti radical-chic replicavano, sussiegosi e accigliati: Ma Orban è un fascista!Come dire: l’ideologia è più importante dei fatti, viene prima dei fatti; chi se ne frega dei fatti, l’importante è ideologia politically correct. Ideologicamente, Orban è un nemico della tradizione comunista: dunque, abbasso Orban! E se lui, poi, è riuscito a fare, e sta continuando a fare, delle cose che, in un tempo non certo molto lontano, sarebbero state riconosciute come di sinistra, o, quanto meno, sta facendo gli interessi della sua nazione e del suo popolo, e non di qualcun altro, non della speculazione finanziaria internazionale, non di George Soros, questo, chi sa perché, improvvisamente non ha più importanza per i signori intellettuali nostrani progressisti, gli stessi che non hanno trovato nulla di strano e nulla di disdicevole nella visita-lampo di George Soros, il grande pescecane internazionale, in Italia, nel maggio del 2017, quando costui venne ricevuto, con tutti gli onori, dal premierGentiloni (il quarto premier italiano consecutivo non eletto dal popolo), come un ospite di riguardo, quasi come un capo di Stato.Ma a chi interessa Soros? Non ai nostri intellettuali progressisti, esponenti di una sinistra che gli operai non votano più da un pezzo, ma che piace tanto alle banche e ai grossi industriali, come De Benedetti, nonché alla massoneria mondiale e alla Banca centrale europea; a loro interessa snidare e denunciare i fascisti, ovunque si trovino, ovunque si nascondano. Sono passati settant’anni dalla morte di Mussolini e dalla fine del fascismo, ma questi implacabili difensori dei diritti e delle libertà non si sono mai stancati di vigilare, sorvegliare, stare pronti sul piede di guerra, affinché il fascismo, che è sempre in agguato, non ritorni. Orban è un fascista, e questo chiude qualsiasi discorso su di lui: non ha importanza cosa faccia e cosa non faccia: conta solo il fatto che è un “fascista”. E bisognava vedere con quanta supponenza, con quanto disprezzo, con quanta acredine, quei salottieri di professione sentenziavano che Orban è un fascista: non sapevano dire altro, non erano capaci di argomentare qualcosa di diverso. Morti viventi anche loro; cadaveri ambulanti che portano a spasso un cervello ammuffito e un rosario di luoghi comuni.
Lasciate che i morti seppelliscano i morti
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