ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 1 dicembre 2018

Cosa vuol dire in pratica?

Se la Chiesa diventa un ricovero

Fa una certa impressione sentir dire dal Papa: “Molte chiese, fino a pochi anni fa necessarie, ora non lo sono più, per mancanza di fedeli e di clero”. È un segno dei tempi, ha aggiunto, la Chiesa deve adattarsi alla situazione. Fa una certa impressione sentire pure il Cardinal Ravasi che i cattolici sono ormai una minoranza in occidente. Nell’occidente cristiano; figuriamoci nel mondo.

Tutto questo non è accaduto con Papa Bergoglio. È una storia lunga, secolare, viene da lontano. Col suo papato il processo si sta però accelerando.
Papa Francesco ha auspicato di dismettere le chiese per aiutare i poveri, aggiungendo che “non ha valore assoluto il dovere di tutelare e conservare i beni culturali della Chiesa, perché in caso di necessità devono servire al maggior bene dell’essere umano e specialmente al servizio dei poveri”. Dunque, dismettiamo le Chiese e usiamole per ospitare poveri, in particolare migranti.
Cosa vuol dire in pratica? Che le Chiese diventano ricovero per i bisognosi o patrimonio immobiliare da vendere, affittare e il ricavato da destinare all’accoglienza dei migranti? Le ipotesi in campo sono di quattro tipi: a) che diventino luoghi di culto di altre religioni, per esempio islamica, come stava accadendo per la Chiesa dei Cappuccini di Bergamo. b) che diventino musei o luoghi di cultura, come auspica Ravasi. c) che vengano cedute o locate per le più svariate attività: ristorazione, alberghi, beauty farm. d) che vengano trasformate in ostelli e ricoveri per i migranti e i barboni.
Nel primo caso c’è un vago sapore di nemesi storico-religiosa. Molte chiese sorsero in luoghi sacri di religioni precristiane, nella convinzione che l’aura del sacro perdurasse. Ma suscita preoccupazione religiosa e civile pensare che oggi potrebbero diventare moschee e centri di raccolta islamica.
Nel secondo caso, sicuramente la destinazione è più sobria e neutrale, da luogo di culto a cultura, ma riduce la religione a museo. E poi se la fede cristiana lascia la sua eredità alla cultura, ha vinto l’illuminismo? E il cinema, ad esempio, è compatibile oppure no, e la musica fino a che punto? Insomma un grappolo di perplessità per un uso comunque secondario.
La terza ipotesi è la vendita o locazione commerciale per usare poi i ricavati in opere di carità. Già succede di vedere chiese sconsacrate diventate alberghi, trattorie, beauty farm. Dal Risorto al Resort. Soluzione più redditizia, ma simbolicamente la più sconfortante in assoluto.
Infine la trasformazione delle chiese in ricoveri per i poveri ha una motivazione umanitaria nobile. Ma si può liquidare un luogo di culto, un patrimonio di generazioni per soccorrere una quota di poveri del nostro presente? Se i papi avessero distribuito i soldi ai poveri del loro tempo, oggi non avremmo magnifiche cattedrali, capolavori d’arte, luoghi di preghiera per le generazioni in cui viene consacrata e affidata la vita, il matrimonio, la morte. In ogni chiesa c’è il respiro e l’affanno di generazioni, il sacrificio e la fede di chi l’ha edificata, frequentata, vissuta; c’è il ricordo dei santi e dei martiri, il legame sacro di una comunità, la sua anima, la sua storia, la sua identità. Capisco la desolazione di chiese vuote ma si può liquidare una fede cambiandole la destinazione d’uso, riducendola a pura assistenza sociale?
Per aiutare i poveri si potrebbe cominciare a cedere o usare il vasto patrimonio immobiliare della Chiesa, di cui l’Unione europea ha sollevato la questione dell’Ici non pagata. Non i luoghi di culto, ma le proprietà, i palazzi, le case. Non sarebbe più francescana una Chiesa povera, piuttosto che una Chiesa dei poveri? Cominciate dalle proprietà e dagli affitti, piuttosto che dalle Chiese e i luoghi sacri. E poi confidate nella Divina Provvidenza…
Anche la neochiesa celebra il Black Friday e pensa alla svendita degli edifici religiosi 
Pare dunque che siamo prossimi ai saldi di fine religione, finalmente annunciati a mezzo stampa dal curatore fallimentare preposto a liquidare, una buona volta, tutta la mercanzia accumulata in saecula saeculorum da quel soggetto arraffone e decrepito che passa sotto il nome di Chiesa. Il Gran Funzionario nominato dal collegio cardinalizio si è dimostrato invero molto efficiente e, dopo aver provveduto a realizzare in tempi rapidi lo sgombero degli immobili sacri e delle loro pertinenze, provvede ora alla dismissione. Come da mandato ricevuto: sfrattare Dio e quelli che si ostinano ad andarGli dietro.
Ma purtroppo c’è un inghippo nella procedura calendarizzata dall’impresa Santa Marta. Mettendola in pratica, si ricadrebbe infatti nella fattispecie della vendita di cosa altrui. Le chiese e gli arredi sacri, spiace per loro, non appartengono al signor Bergoglio e ai suoi dipendenti, appartengono a tutto il “popolo di Dio”, antenati e posteri inclusi, che ne è custode in nome e per conto del Padre. Ci duole che un così spontaneo slancio di generosità non possa avere la soddisfazione che si merita.
Quindi, poiché sentitamente condividiamo il nobile fine filantropico degli amministratori pro tempore del patrimonio ecclesiastico, e ci preme si compia, ci permettiamo di suggerire alle intraprendenti gerarchie una soluzione alternativa, sicuramente praticabile, e altresì opportuna ed edificante.
Le Santità, le Eccellenze, le Eminenze, i Monsignori, potrebbero provvedere subito, senza particolari formalità, a vendere per esempio le proprie vetture, ma non solo. Giustamente padre Sosa ci ha fatto notare come i Vangeli non siano poi così attendibili, perché al tempo di Gesù non esistevano i registratori, e allora noi diciamo che sarebbe bello se i pastori dessero a tutti il buon esempio e tornassero alle origini della fede cristiana e si liberassero di tutte le diavolerie che il progresso ha portato con sé in questi secoli, generando peraltro inquinamento ingravescente e degrado ambientale. La nostra proposta è: liberatevi, appunto, dei registratori, liberatevi di televisori, smartphone, computer, lavastoviglie, aspirapolveri, frullatori, vibratori, termosifoni, condizionatori, eccetera eccetera. Illuminate le vostre stanze a candela, riscaldatevi col fuoco del camino. Girate scalzi.
Sarebbe un gesto bello e significativo, coerente col modello francescano del nuovo pontificato e pure col credo ecologista della Laudato Sì. Segnerebbe la fine del clericalismo economico.
Del resto, San Paolo parlava così “Ho imparato a essere povero e ho imparato a essere ricco; sono iniziato a tutto, in ogni maniera: alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil. 4,12-13). Dopo il tempo della abbondanza, forse è ora di sperimentare quello dell’indigenza.
Ma per le chiese, vedete, il discorso è diverso. Le chiese – eccezion fatta per gli hangar edificati dalle archistar, dei quali consigliamo l’immediata demolizione per inquinamento visivo – sono state erette e decorate col sudore della fronte da quel popolo di poveri (poveri veri) che nei secoli, nonostante le carestie, le guerre, le invasioni, il freddo e le intemperie, hanno risparmiato l’obolo della vedova o faticato come carpentieri e falegnami. Sono state costruite e abbellite grazie alla pietà dei ricchi e alla munificenza dei nobili che, anziché sperperare le proprie sostanze al casinò o in festini porno, hanno cooperato alla pietrificazione eterna dell’immagine, pur minima e imperfetta, del regno di Dio su questa terra. In ciascuna di queste chiese è depositata, stratificata, la fede di generazioni e generazioni unite insieme in una catena ininterrotta di devozione, di supplica, di pianto e di gratitudine a Dio.
Dentro le nostre chiese silenziose si può ancora vedere la bellezza, percepire la comunione di fede, respirare quell’ossigeno dell’anima che di cui la gerarchia ci ha privato nelle sue celebrazioni blasfeme. Si può provare il conforto che scende dal pregare in compagnia dei nostri santi noti e ignoti e di tutti i peccatori che, entrati in quella casa di Dio, hanno piegato le ginocchia e giunto le mani, sentendo intorno il silenzio dei morti e la melodia dei cori angelici.  Dio non è solo, mai. Solo e disperato è chi vuol mettersi al posto di Dio.
– di Elisabetta Frezza e Matteo Donadoni
By Redazione On 1 dicembre 2018 · 2 Comments

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